Record di candidati indigeni per le elezioni in Brasile

Difendere il proprio territorio, ma soprattutto per difendersi dal genocidio, secondo l’avvocato Ricardo Rao

Circa 34mila chilometri quadrati – un’area superiore a quella del Belgio – di foresta amazzonica disboscata dal 2019, anno in cui Jair Bolsonaro è stato eletto Presidente del Brasile, a oggi. Senza contare la gestione della pandemia da Covid-19, che ha contato oltre 34milioni di contagi e 600mila decessi e che ha fortemente interessato la comunità indigena, spesso abbandonata a se stessa e alle proprie difficoltà. Queste sono solo alcune delle ragioni che giustificherebbero l’aumentato numero di candidati indigeni alle elezioni politiche in Brasile: si parla di quasi il doppio rispetto alle elezioni precedenti.

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Le miniere clandestine di oro devastano l’Amazzonia

A rischio ecosistema naturale e sopravvivenza delle popolazioni indigene

Il destino della foresta dell’Amazzonia e dei popoli indigeni che se ne prendono cura dipenderà anche dal risultato del prossimo ballottaggio per le presidenziali del Brasile del 30 ottobre.

Un recente studio condotto dal gruppo di ricerca Forensic Architecture della Goldsmith University of London, in collaborazione con il Climate Litigation Accelerator della New York University, ha ricostruito la sequenza temporale di una serie di eventi di intimidazione e distruzione causate dall’estrazione dell’oro nel territorio del popolo indigeno Yanomami nello stato di Roraima, regione Nord del Brasile, mettendoli in relazione con le politiche dell’amministrazione Bolsonaro.

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SPECIALE TREGUA IN UCRAINA La strada verso la pace parte da tregua armata e dialogo

Una Russia politicamente indebolita è un pericolo per l’Umanità, secondo Alberto Castelli. Necessaria un’azione diplomatica compatta e autonoma dell’Europa

“La guerra non si fa di colpo, e nemmeno la pace. Se da un lato questo conflitto era già in incubazione dal 2014, dall’altro in questo momento l’obiettivo non deve essere la firma di un trattato di pace domani, ma che tacciano le armi, se non del tutto almeno in qualche pezzo dello scacchiere. I pacifisti dovrebbero chiedere una tregua e un inizio di dialogo: è questo che realisticamente si può sperare nell’immediato sul piano della realpolitik. Nel frattempo l’opinione pubblica può spingere i potenti verso la pace, e chiaramente sperare che ascoltino” afferma ad Agenda17 Alberto Castelli, docente di Storia e teorie della democrazia presso l’Università dell’Insubria.

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SPECIALE TREGUA IN UCRAINA In Europa i pacifisti sono maggioranza. Assoluta nel nostro Paese

Ricerca in dieci nazioni. Forti differenze, ma solo un europeo su quattro ritiene la punizione della Russia prioritaria

“L’indagine rivela uno scollamento sempre più marcato tra le posizioni assunte da molti governi europei e il sentimento dell’opinione pubblica nei rispettivi Paesi. Il divario più significativo che si profila è tra coloro che vorrebbero mettere fine alla guerra il più rapidamente possibile e coloro che vorrebbero continuare a combattere fino alla sconfitta della Russia.” Questa è la situazione fotografata dall’European Country on Foreing Realtions sulla base di 8mila interviste condotte in dieci Paesi dell’Unione relativamente alla posizione dei cittadini europei sulla guerra scaturita a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

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SPECIALE TREGUA IN UCRAINA Escalation nucleare del conflitto?

Un azzardo enorme con risultati limitati. Riprendere i negoziati strategici russo- americani

Negli ultimi giorni, in particolare dopo il messaggio televisivo del 21 settembre e il discorso del 30 settembre del presidente russo, è cresciuta la preoccupazione di analisti e opinionisti che Vladimir Putin possa usare armi nucleari “tattiche” nella sua guerra contro l’Ucraina. Il rischio nucleare è stato amplificato dal presidente americano Joe Biden, che in un discorso del 6 ottobre ha descritto l’attuale situazione di stallo in Ucraina, con Putin che minaccia di usare tutti i mezzi a sua disposizione per difendere la Russia e il territorio che ha conquistato, come il momento nucleare più pericoloso dalla crisi dei missili di Cuba, avvenuta 60 anni fa, proprio in questo mese.

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SPECIALE TREGUA IN UCRAINA Da posizioni diverse si chiede di articolare un percorso negoziale

Appelli di ambasciatori e intellettuali

Tutte le guerre finiscono, prima o poi. Uno dei problemi è come finiscono. Il problema della guerra in Ucraina – solo uno dei numerosi, e spesso ferocissimi, conflitti in atto nel Mondo – è che potrebbe finire con un conflitto nucleare.
Certamente si tratterebbe di un azzardo enorme da parte della Russia e dai risultati militari e politici incerti, ma non da escludere completamente. Soprattutto non è possibile escludere che scelte che oggi paiono illogiche diventino domani opzioni convenienti o quantomeno disperatamente obbligate.

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Obiettivo 4 La libertà dei popoli indigeni passa attraverso l’educazione

Il caso dell’America latina: l’analisi di Anita Gramigna, pedagogista di Unife

Il metodo dialogico di Paulo Freire, la visione olistica e il sincretismo fra cultura indigena e cultura europea-cristiana possono aiutare i popoli nativi latinoamericani a rivendicare i propri diritti. Fondamentale il ruolo delle donne nell’educazione dei figli alla lotta identitaria.

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Divieti di balneazione estivi: la temperatura elevata del mare può aver favorito la sopravvivenza dei batteri fecali

Servono nuovi dati e modelli secondo i ricercatori Cnr Penna e Quero

L’estate è stata caratterizzata da numerosi divieti di balneazione per elevata concentrazione di Escherichia Coli ed enterococchi intestinali, un fenomeno solitamente legato alle piogge abbondanti e che si esaurisce di in 24-48 ore, ma che quest’anno ha avuto caratteristiche diverse. Come dichiarano ad Agenda17 Grazia Marina Quero e Pierluigi Penna, ricercatori del Centro nazionale di ricerca per le risorse biologiche marine (Cnr-Irbim) di Ancona: “Quest’ estate la situazione è stata più complessa: si sono avute alte concentrazioni di batteri fecali anche senza pioggia”.

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Aumenta il ricorso delle donne ai Centri antiviolenza, ma mancano fondi

La violenza dei partner ed ex ha forme diverse, anche subdole. Serve Reddito di libertà e autodeterminazione, secondo Castagnotto e Baglioni del Centro donna giustizia di Ferrara

Nel 2021, le donne accolte nei Centri antiviolenza gestiti dall’organizzazione Donne in rete contro la violenza (D.i.Re) sono aumentate del 3,5% rispetto al 2020, nonostante le restrizioni dovute alla pandemia e l’assenza di stabilità dei finanziamenti. Questo dato va interpretato alla luce di due fenomeni: “da una parte la pandemia ha innescato dinamiche che hanno favorito un’escalation delle violenze, diventate più gravi e pesanti, dall’altra le donne maturano la consapevolezza di essere in una situazione di bisogno e di avere la possibilità di chiedere aiuto, contando sull’esistenza di luoghi sicuri e accoglienti come i Centri antiviolenza” affermano ad Agenda17 Paola Castagnotto, Presidente del Centro donna giustizia di Ferrara, e Daria Baglioni, Coordinatrice del progetto “Uscire dalla violenza” dello stesso Centro.

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Domani giornata per la liberazione di Assange: eventi in tutto il Mondo

Ora più che mai abbiamo bisogno del giornalismo scientifico di WikiLeaks, l’unico in grado di fare inchiesta sui dati nascosti nei file segreti

Chi ha fatto esplodere i gasdotti Nord Stream 1 e 2, posati sul fondo di un tratto di mare sorvegliatissimo dalla flotta e aviazione NATO? Chi ha fatto saltare il ponte che collega la penisola di Crimea alla Russia, un’arteria vitale sotto stretto controllo russo? Le fonti di parte si sono scatenate in ricostruzioni di propaganda. E questo è normale in guerra. Le fonti giornalistiche – quelle, in verità sempre più rare, lontane dalle parti – arrancano e azzardano. Ipotesi. Ipotesi che sono perlopiù deduzioni da proposizioni generali di tipo retorico (ad esempio “a chi giova?”). Altro non possono fare, perché mancano i dati, mancano le prove, manca la “pistola fumante” dell’inchiesta giornalistica.

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