Un diciottesimo obiettivo di sviluppo sostenibile per la protezione dell’ambiente sopra la Terra. Questa la proposta di un gruppo di esperti ed esperte pubblicata su One Earth per contrastare il problema dei detriti spaziali.
La proposta intende trarre ispirazione dal quattordicesimo obiettivo, La vita sott’acqua, e dalla gestione dei rifiuti di plastica negli oceani, proponendo alcune strategie: un tetto massimo al lancio di nuovi satelliti, la rimozione o il riciclo di quelli inutilizzati, la responsabilità estesa del produttore, un trattato internazionale vincolante e un nuovo obiettivo di sviluppo sostenibile.
Milioni di detriti, ma lo Spazio orbitale è una risorsa limitata così come l’oceano
Secondo l’ultimo aggiornamento dello Space Debris Office dell’Agenzia spaziale europea (ESA), dal 1957 a febbraio 2025 sono stati lanciati circa 20.650 satelliti. Di questi, 13.660 sono ancora in orbita, ma 2.660 non sono più funzionanti.
Considerando satelliti abbandonati, parti di razzi e frammenti risultanti da collisioni o esplosioni, si stima che ci siano più di 40mila detriti più grandi di 10 cm, 1 milione più grandi di 1 cm, 130 milioni più grandi di 1 mm e 100 trilioni di pezzi ancora più piccoli.
Il rischio è che l’accumulo di detriti inneschi una serie di collisioni a cascata, rendendo impraticabili le orbite utili: la cosiddetta “sindrome di Kessler”. A seconda della loro funzione, infatti i satelliti devono essere posizionati in orbite specifiche, dette basse fino a 2.000 km sopra la superficie terrestre (come i satelliti per il telerilevamento e le nuove costellazioni commerciali), medie da 2.000 km a 35.786 km (il GPS) e geostazionarie oltre 35.786 km (come alcuni satelliti per le telecomunicazioni e il meteo).
“Non è facile stabilire quanto siamo vicini alla saturazione di un regime orbitale. – spiega Germano Bianchi, responsabile del radiotelescopio Croce del Nord di Medicina (Bologna), con cui vengono monitorati gli oggetti orbitanti – Sicuramente la zona più critica è quella più vicina alla Terra, l’orbita bassa dove c’è la più alta densità di satelliti orbitanti. Abbiamo fasce orbitali molto critiche, attorno ai 700 e i 900 km di quota, dove in passato sono avvenute frammentazioni che le hanno rese inagibili per anni, in particolare lo scontro nel 2009 tra il satellite russo Cosmos e quello americano Iridium.”

L’accumulo di detriti spaziali a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso è analogo, anche se con differenti ordini di grandezza in termini di massa, a quello dei rifiuti di plastica negli oceani nello stesso periodo di tempo, che oggi ammontano a 170 trilioni di particelle.
L’oceano e lo Spazio sono accomunati dall’essere ambienti che trascendono qualunque confine e non appartengono a nessuna Nazione.

Questa proprietà condivisa, assieme a interessi commerciali, alla loro apparente vastità e alla lontananza dall’esperienza quotidiana fa sì che si tenda a sfruttarli senza sentire il bisogno di averne cura. Ma lo Spazio, come l’oceano, va considerato una risorsa limitata e a entrambi i tipi di rifiuti va applicata la gerarchia di gestione che vede al primo posto la prevenzione e poi, in ordine, il riutilizzo, il riciclo e il recupero di energia, da preferire alle discariche e all’abbandono.
Dalle linee guida a un trattato internazionale vincolante
Già nel 2002 il Comitato di coordinamento interagenzie per i detriti spaziali (IADC) aveva pubblicato le “Linee guida per la mitigazione dei detriti spaziali”, che raccomandavano un piano per il monitoraggio di malfunzionamenti per prevenire rotture e collisioni, lo smaltimento o la messa in sicurezza di ogni forma residua di energia alla fine della missione in modo da non causare esplosioni, e l’astensione dalla distruzione intenzionale di satelliti (ad esempio tramite missili antisatellite).
Il documento inoltre raccomandava, alla fine dell’operatività, di manovrare i satelliti posti in orbite alte geostazionarie verso orbite “cimitero” al di fuori della fascia più affollata e di predisporre il rientro in atmosfera di quelli posti in orbite basse entro venticinque anni, possibilmente in modo controllato o tale per cui i frammenti non causassero danni a persone o proprietà.

Tuttavia, queste linee guida sono raccomandazioni non obbligatorie e a oggi non sono seguite a sufficienza per rendere sostenibile l’utilizzo dell’orbita, soprattutto perché richiederebbero maggiori costi per i produttori per implementare le tecnologie necessarie.
Manca la consapevolezza della responsabilità estesa del produttore che porti a progettare un prodotto considerando anche l’impatto ambientale e che, nel caso dell’inquinamento da plastica degli oceani, si sta lentamente facendo strada tramite educazione, incentivi a soluzioni innovative e divieti (come per la plastica monouso).
In questo senso, sottolinea Bianchi, “un’importante iniziativa promossa dall’ESA a novembre 2023 è la ‘Zero Debris Charter’. Sarà uno sforzo a livello mondiale per ridurre la presenza di detriti nello Spazio entro il 2030 attraverso la mitigazione e la rimozione. Hanno già aderito diciannove Paesi e più di cento aziende, centri di ricerca e organizzazioni internazionali.” Per raggiungere questo scopo l’ESA punta a rendere procedura ordinaria l’in-orbit servicing, di cui si parlerà nel prossimo articolo.

Ma le iniziative volontarie non sono sufficienti. È necessario sviluppare un trattato internazionale giuridicamente vincolante tramite un comitato intergovernativo che includa tutti gli stakeholder: l’Organizzazione delle Nazioni unite (Onu), agenzie spaziali nazionali come l’ESA, aziende private come SpaceX, enti regolatori internazionali come lo IADC e organizzazioni ambientali. Così come nel 2022 l’Onu ha dato mandato a un comitato intergovernativo di negoziare un trattato vincolante che affrontasse l’intero ciclo di vita della plastica dalla produzione agli oceani.
Un diciottesimo obiettivo per proteggere l’orbita così come gli oceani
Il problema dei detriti spaziali va dunque affrontato in un’ottica di governance multilaterale. Un segnale in questo senso arriva dall’Onu. “Il ‘Patto per il futuro’ adottato dall’Onu lo scorso settembre – afferma Bianchi – ha sottolineato l’importanza della sostenibilità spaziale, riconoscendo che l’uso crescente dello Spazio deve essere gestito attentamente per prevenire detriti, esaurimento delle risorse e altri rischi ambientali a lungo termine che potrebbero mettere a repentaglio il futuro delle attività spaziali.”
Le autrici e gli autori dell’articolo su One Earth propongono all’Onu anche un passo in più: istituire un diciottesimo Obiettivo di sviluppo sostenibile per “conservare e utilizzare in modo sostenibile l’orbita terrestre per proteggerla per le generazioni future”, ispirato quattordicesimo obiettivo, “La vita sott’acqua”, che recita “conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”. In questo modo, si potrebbe diffondere maggiormente la consapevolezza che “l’orbita della Terra non è disconnessa dalla Terra”.

“Sarebbe un segnale importante inserire come obiettivo la protezione dell’orbita perché è un problema ancora poco conosciuto e che le generazioni future dovranno affrontare, e prima lo si farà, prima si eviterà il rischio di non poter più avere orbite libere dove posizionare i satelliti, che oggigiorno tutti noi utilizziamo anche se a volte non ce ne accorgiamo. – commenta Bianchi – Poi però sono molto scettico sulle soluzioni che si andranno a cercare, soprattutto quando occorre mettere d’accordo 193 Paesi. Purtroppo, ho visto già fallire la lotta contro il cambiamento climatico.” (1.Continua)