Fino a 2mila miliardi di euro in vent’anni. Questo il costo per bonificare tutta l’Europa dai cosiddetti “inquinanti eterni”, ovvero le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), calcolato dall’inchiesta Forever Lobbying Project che ha coinvolto quarantasei giornalisti e ventinove media partner in sedici Paesi, assieme a un gruppo di diciotto esperti. L’inchiesta ha anche analizzato le tesi dei gruppi di lobbying che difendono le industrie chimiche e dimostrato come siano false o fuorvianti.
La bonifica costerà 100 miliardi di euro all’anno se non saranno vietati anche i PFAS emergenti
I PFAS sono composti chimici persistenti e bioaccumulabili e queste proprietà li rendono pericolosi per l’ambiente e la salute umana. Un’eventuale bonifica dovrebbe riguardare una notevole varietà di siti: dai suoli contaminati alle fonti di acqua potabile, dalle discariche agli impianti di trattamento delle acque reflue, dalle basi militari agli aeroporti, dalle industrie di produzione a quelle che li utilizzano.
Come già spiegava ad Agenda17 Luisa Pasti, docente di Chimica analitica presso l’Università di Ferrara, le tecnologie per rimuovere i PFAS non sono ancora del tutto sviluppate, per questo il risanamento ambientale è difficile e costoso.

Mettendo a punto assieme agli esperti una metodologia scientifica, l’inchiesta Forever Lobbying Project ha quantificato questi costi. Considerando solo l’inquinamento dovuto ai quattro PFAS “storici”, molecole a catena lunga per cui esistono già restrizioni o divieti (PFOS, PFOA, PFNA e PFHX), la bonifica risulta costare 95 miliardi di euro in vent’anni. Questo scenario assume che l’emissione di PFAS si fermi immediatamente e che solo questi quattro PFAS rappresentino un problema.
Ma queste assunzioni non corrispondono alla realtà. Considerando che l’emissione continui e che sia confermata la pericolosità anche dei nuovi PFAS a catena corta e ultracorta, i costi salgono a 2 trilioni di euro in vent’anni: 100 miliardi di euro ogni anno, che potrebbero continuare a dover essere spesi per sempre se questi composti emergenti non saranno vietati. Un costo che finirà per ricadere sui cittadini, essendo difficile risalire ai veri responsabili per un inquinamento tanto diffuso, eccetto che per specifici siti contaminati da determinate aziende.
Le argomentazioni delle compagnie di lobbying sono false, fuorvianti o allarmiste
L’Agenzia europea delle sostanze chimiche (European Chemicals Agency, ECHA) sta attualmente valutando la proposta di restrizione totale a produzione e uso di PFAS avanzata da cinque Paesi, contro la quale le industrie hanno attivato una potente azione di lobbying. L’inchiesta Forever Lobbying Project ha analizzato 1.178 argomentazioni dei lobbisti, dividendole in tre tipi: scientifiche (come “non tutti i PFAS sono tossici”), circa l’assenza di alternative ed economiche.
Se è vero che non tutti i PFAS sono uguali, hanno tutti in comune la persistenza che, secondo gli esperti che hanno seguito l’inchiesta, va usata come indicatore sufficiente di potenziali effetti avversi e quindi della necessità di una regolamentazione. Inoltre, gli autori degli articoli scientifici richiamati dai lobbisti sono consulenti delle stesse industrie chimiche e si basano su un “criterio” inesistente dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse, Organization for Economic Co-operation and Development OECD).
Le compagnie di lobbying in molti casi non sono in grado di produrre argomentazioni a sostegno dell’affermazione “non ci sono alternative” e sembrano ignorare che la proposta di restrizione già prevede periodi di transizione nelle applicazioni in cui le sostanze sostitutive sono ancora in via di sviluppo. L’inchiesta ha poi scoperto che esistono già alternative per quasi due terzi delle applicazioni precisamente identificabili nelle argomentazioni dei lobbisti.
Per quanto riguarda gli impatti economici negativi paventati, come la perdita di posti di lavoro e di competitività, le valutazioni dei lobbisti si basano su una metodologia discutibile che già in altri casi passati ha portato a sovrastimare i costi di quella che è una trasformazione e non una recessione. E non considerano invece che, eliminando l’inquinamento da PFAS, l’Europa potrebbe risparmiare da 52 a 84 miliardi di euro l’anno spesi per i danni alla salute umana.
Secondo Gary Fooks, un esperto dell’Università di Bristol che si occupa degli impatti nocivi causati dalle aziende, “le affermazioni delle industrie sui costi sono coerenti con quella che viene definita ‘distopia normativa’, una narrazione sproporzionata che afferma che una direttiva proposta porterà a conseguenze sociali ed economiche negative ampiamente diffuse, indiscriminate e significative.” Le tattiche di disinformazione usate dalle industrie chimiche sono quelle tipiche utilizzate per difendere il tabacco, i combustibili fossili, i pesticidi e altri prodotti chimici pericolosi.
Un’indagine di Greenpeace rivela la diffusione dei composti ultracorti in Italia
A gennaio 2026 entrerà in vigore in Italia la Direttiva europea sull’acqua potabile, che fissa i limiti di 500 ng/L per la somma totale di PFAS e di 100 ng/L per la somma dei ventiquattro tipi più pericolosi (che non include i composti ultracorti). Tuttavia, come aveva spiegato Luisa Pasti ad Agenda17, i limiti che andrebbero rispettati sono quelli basati su dati tossicologici e sono molto più bassi.

Per questo, Greenpeace Italia ha condotto un’indagine indipendente prelevando 260 campioni in 235 Comuni italiani e analizzando la presenza di cinquantotto tipi di PFAS, incluse le nuove molecole a catena ultracorta come il TFA (acido trifluoroacetico). Nel 79% dei campioni è stato rilevato almeno un tipo di PFAS. Il TFA è stato ritrovato nel 40% dei campioni e in concentrazioni spesso di un ordine di grandezza maggiore rispetto agli altri PFAS, superando in alcuni casi i 200 ng/L.