Controllo dell’alimentazione, attività fisica, diete spesso drastiche e, nei casi più gravi, la chirurgia bariatrica per modificare il sistema digerente sono stati sinora gli strumenti a disposizione per il trattamento dell’obesità
Le cose sono cambiate con Il recente arrivo sul mercato italiano di farmaci come semaglutide e più recentemente, a seguito dell’approvazione di Aifa, di tirzepatide che aiuta a perdere peso e controllare il diabete di tipo 2.
Ne abbiamo parlato col professor Giulio Marchesini Reggiani, docente dell’Alma Mater di Bologna già direttore del dipartimento di Dietetica clinica al Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna dove è stato responsabile per un ventennio del Programma di gestione integrata della grande obesità.
“Sicuramente stiamo vivendo una fase assolutamente nuova nel contrasto all’obesità – afferma Marchesini Reggiani – e delle sue complicanze. Questi nuovi farmaci sono in grado di determinare una perdita di peso prima inimmaginabile. Farmaci come semiglutide, agendo sui recettori ormonali del GLP-1 (polipeptide glucagone simile-1) sono in grado di produrre un calo ponderale del 15-17%, valori che arrivano al 22% e oltre nel caso del tirzepatide che attiva sia i recettori ormonali del GLP-1, sia quelli del GIP (polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente).
Legando entrambi i recettori, il farmaco aumenta la secrezione d’insulina a livello pancreatico, la sensibilità insulinica e riduce l’assunzione di cibo. Si tratta risultati sinora sino ad ora raggiungibili solo con la chirurgia bariatrica [chirurgia che riduce l’assunzione di cibo tramite la diminuzione della capacità gastrica (interventi di “restrizione”) e/o la riduzione della capacità di assorbimento di sostanze nutritive da parte dell’intestino (interventi “ipoassorbitivi”), o tramite interventi misti in grado di dare una sazietà precoce con meccanismo metabolico, ndr].”
E sono già in fase di sperimentazione farmaci tri-agonisti, che legano anche i recettori per il glucagone, con effetti sul peso ancora maggiori.
“I farmaci sono efficaci – avverte il docente -, ma non agendo sui meccanismi patogenetici dell’obesità. Alla sospensione del farmaco segue un ritorno al peso precedente; sono quindi farmaci che vanno assunti in maniera continuativa.
Si sta, comunque, valutando la possibilità di somministrazioni periodiche dopo la perdita di peso ma di questo non sappiamo ancora nulla.
Al di là dei sintomi gastrointestinali, come nausea e diarrea, lieve o moderata, che possono accompagnare l’assunzione dei nuovi farmaci, tra gli effetti collaterali da tenere in massima considerazione vi è la forte perdita di massa magra che accompagna la rapida perdita di peso. Per tale motivo reputo essenziale accompagnare il trattamento farmacologico con l’adozione di adeguati stili di vita (alimentazione ed attività fisica ).
Uno studio ha messo a confronto il trattamento con la sola semaglutide ed il suo utilizzo abbinato alla terapia cognitivo comportamentale a sostegno degli stili di vita evidenziando che questa seconda opzione comporta una riduzione aggiuntiva di Bmi (Body mass index ) di appena un punto percentuale. Questo ha fatto pensare che fosse inutile insistere sul cambiamento degli stili di vita, mentre in realtà – sottolinea Marchesini – è di fondamentale importanza abbinare la terapia comportamentale per la promozione degli stili di vita, in particolare l’attività fisica, per contrastare la perdita di massa magra. Perdere la muscolatura comporta una serie di effetti negativi sul mantenimento di un adeguato assetto metabolico, sulla forza e sulla perfomance psicofisica del paziente.”
Tirzepatide, recentemente approvato, è espressamente indicato per persone con obesità e in sovrappeso in presenza di almeno una comorbidità e, va ricordato, in aggiunta a dieta ipocalorica e attività fisica. Inoltre trova indicazione nel diabete di tipo 2 non controllato con altri farmaci e/o gli stili di vita.
Spesa a totale carico del paziente per una patologia che colpisce i più poveri
Tirzepatide, sviluppato da Eli Lilly, ha ricevuto lo scorso giugno il “Prix Galien International”, una sorta di premio Nobel della farmacologia, nella categoria Best pharmaceutical product.
Già approvato a maggio 2022 dall’ente regolatorio americano (Food and drug administration, FDA), da allora tirzepatide è stato autorizzato nel trattamento del diabete di tipo 2 in più di cinquanta Paesi, tra cui l’Unione europea, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, Svizzera e Cina e in circa trenta Paesi, tra cui l’Unione europea, per la gestione del peso.
Il farmaco, va iniettato per via sottocutanea una volta la settimana ed è ora disponibile in Italia (nome commerciale Mounjaro) come trattamento di classe CNN (classe C non negoziata) pertanto a totale carico del paziente, con un costo stimato di 350 euro mensili. Un costo difficilmente sostenibile dai meno abbienti col rischio concreto che i nuovi farmaci siano fonte di nuove diseguaglianze in salute.
Al momento, fanno sapere dall’azienda produttrice, proseguono le interlocuzioni con AIFA per rendere disponibile tirzepatide ai pazienti italiani a carico del Servizio sanitario nazionale.