Carcere. Mai così tanti morti e suicidi. Anche fra le guardie carcerarie Un girone di violenza che cresce per il diminuire di spazio vitale, delle alternative alla detenzione e delle possibilità di reinserimento. Convegno Unife “Resta diritto. Il carcere e i diritti che restano"

Carcere. Mai così tanti morti e suicidi. Anche fra le guardie carcerarie

Un girone di violenza che cresce per il diminuire di spazio vitale, delle alternative alla detenzione e delle possibilità di reinserimento. Convegno Unife “Resta diritto. Il carcere e i diritti che restano"

Al 2 dicembre sono ottantasette i suicidi nel 2024 nelle carceri italiane, su un totale di 233 morti: in tutto il 2023 erano 191, con sessantuno suicidi. Sono i dati di Ristretti orizzonti, che certifica il numero più alto di decessi e di suicidi dal 1992, con i detenuti che si tolgono la vita con una frequenza diciannove volte maggiore rispetto alle persone libere. E a ciò si aggiungono i suicidi di sette agenti di polizia penitenziaria, ulteriore segnale del disagio e della disperazione che si respirano all’interno delle strutture. 

Secondo il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, è soprattutto il sovraffollamento a determinare l’incremento dei suicidi e degli eventi espressione del disagio detentivo, come aggressioni, autolesionismo, tentati suicidi, omicidi e aggressioni al personale. Tutto ciò, cui si aggiungono i casi di percosse all’atto dell’arresto, le violazioni di norme penali e le rivolte, è in notevole aumento rispetto allo scorso anno.

A gestire questa situazione mancano però oltre 18mila unità di Polizia penitenziaria rispetto al fabbisogno: non è un caso quindi che il fenomeno riguardi anche gli agenti, che rappresentano il corpo di forze dell’ordine con il maggiore tasso di suicidi.

Domani, organizzato dal Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Ferrara e dallo Sportello di orientamento legale extragiudiziale per le persone detenute nella Casa circondariale di Ferrara, in collaborazione con l’Associazione L’Altro Diritto, il Convegno “Resta diritto. Il carcere e i diritti che restano” offrirà una giornata di dibattito a più voci sul carcere, visto con gli occhi di chi lo conosce da vicino.

Sovraffollamento, ma non solo: servono prospettive di futuro e reinserimento sociale

Recentemente il deputato Roberto Giachetti ha avanzato un’interrogazione al Ministero della giustizia per chiedere chiarezza sui dati e sulle cause di morte dei detenuti, poiché i dati rilasciati dal Garante certificano un numero di suicidi inferiore rispetto a quelli sopra riportati. Chiede inoltre quali misure siano previste per contrastare il sovraffollamento e se sarà rivista la collocazione dei detenuti nelle sezioni a regime chiuso.

Sono queste infatti le due situazioni più preoccupanti. Il sovraffollamento è la causa principale di suicidi: a fine novembre erano oltre 15mila le persone in più rispetto alla capienza, con un tasso pari al 133,44%. Crescono anche le aggressioni: oltre 5mila finora, di cui quasi 2mila contro agenti di polizia. Sei le rivolte dietro le sbarre e poco meno di 2mila (1842) i tentati suicidi.

Ma non solo. Secondo Ristretti orizzonti, ad accomunare i gesti di persone da poco arrestate con quelli vicini al termine della pena è la mancanza di prospettive: di recuperare la rispettabilità persa durante i lunghi anni del processo; di trascorrere utilmente la detenzione; di riprendere una vita “normale” dopo la detenzione. Per ridurre il rischio di suicidi si può agire su più fronti: la tutela della dignità sociale delle persone incarcerate in attesa del processo, la qualità della pena, la riduzione del sovraffollamento e della mancanza di operatori, e il reinserimento nella società, affinché la pena recuperi il suo ruolo primario di ri-educazione. 

Perché, sottolineano, “dove non arriva il volontariato c’è il vuoto.”

Cresce l’uso dell’isolamento (e le violenze al suo interno), usato come strumento di controllo dei detenuti

Ha recentemente fatto notizia anche l’inchiesta di Trapani, durata due anni, su reiterate violenze fisiche e verbali ai danni dei detenuti. Tali violenze sono avvenute perlopiù nel reparto di isolamento, dove avvengono anche gran parte dei suicidi. Secondo l’ultimo rapporto di Antigone, l’isolamento per motivi disciplinari è la più grave fra le sanzioni previste dalla Legge sull’ordinamento penitenziario e consiste nell’esclusione dalle attività in comune per massimo quindici giorni. 

Si tratta di una pratica usata soprattutto negli istituti con più della metà dei detenuti stranieri ed è usata principalmente nei confronti di stranieri, appartenenti a gruppi svantaggiati e persone vulnerabili. Inoltre, sono spesso sanzionate le persone con disabilità mentale o affette da disagio psichico, condizioni che il diritto internazionale ritiene però incompatibili con l’isolamento. Questa tendenza è conseguenza di carenze strutturali più ampie, come la crescente presenza in carcere di detenuti con disturbi psichiatrici, la mancanza di assistenza nei loro confronti, l’approccio punitivo nella gestione degli istituti penitenziari, l’incarcerazione di massa e la criminalizzazione delle persone vulnerabili. 

(ⓒrapportoantigone.it)

Sempre più di frequente, è quindi usato come tecnica per controllare i detenuti che il personale fatica a gestire anziché come strumento di sanzione disciplinare. “Attualmente – scrive Antigone – i fattori che determinano la pericolosità sembrano in realtà tradursi in fattori di vulnerabilità.” E non casualmente, è quasi sempre qui che si verificano i principali episodi di violenza da parte degli agenti.

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