Onu, Patto per il futuro. Utopia o speranza? Equilibri politici sempre più precari. Il futuro è nelle mani dei Paesi asiatici, secondo l’economista Paolo Pini (2) I Brics e lo scenario internazionale: Paesi molto diversi, ma tutti non allineati al volere statunitense

Onu, Patto per il futuro. Utopia o speranza? Equilibri politici sempre più precari. Il futuro è nelle mani dei Paesi asiatici, secondo l’economista Paolo Pini (2)

I Brics e lo scenario internazionale: Paesi molto diversi, ma tutti non allineati al volere statunitense

Cos’è cambiato negli ultimi anni, durante i quali lo scenario internazionale è diventato più precario e le grandi istituzioni internazionali hanno perso la loro autorità? Lo abbiamo chiesto a Paolo Pini, già docente di Economia politica presso l’Università di Ferrara, dopo i due vertici internazionali, quello dell’Organizzazione delle Nazioni unite (Onu) per un Patto per il futuro e il summit dei Brics a Kazan, per valutare l’attuale e difficile scenario geopolitico globale. 

 “Anzitutto – sostiene Pini – le tensioni internazionali sono aumentate. Il fronte mediorientale è più pericoloso di quello ucraino perché lì è in atto uno scontro non per ragioni presentate come prettamente nazionali, come in Ucraina (anche se, in realtà, anche qui di fatto lo scontro è tra Usa e Russia). In Medio Oriente però il contrasto coinvolge direttamente sia Paesi che gravitano attorno l’area russa, come Iran, Siria e Libano, sia Paesi con forti interessi economici sui mercati finanziari americani e, contemporaneamente, con i Paesi asiatici.

Paolo Pini, già docente di Economia politica presso l’Università di Ferrara (ⓒunife)

Penso ad esempio ad Arabia Saudita o Emirati Arabi, coinvolti nei mercati americani con gli investimenti in petrodollari ma al contempo vicini ai fondatori dei Brics, tanto che oggi si parla di Brics+. Dal summit dello scorso anno, infatti, il numero di Paesi che hanno chiesto di entrare nei Brics o partecipano alle loro riunioni è notevolmente aumentato. In America centrale e latina, ad esempio, tra i pochi Paesi ancora fuori c’è l’Argentina per questioni politiche interne, ma gli altri vanno avanti, compresi quelli con relazioni molto strette con gli Usa. Allo stesso modo, Paesi che si erano distanziati politicamente dalla Russia sono comunque interessati a far parte del gruppo.

A tutto ciò gli Stati uniti hanno reagito coalizzando uno stretto numero di alleati e vincolandoli alle loro politiche, tra i quali i Paesi europei. Tutti gli altri, invece, non hanno intenzione di adeguarsi alla dottrina statunitense perché hanno evidenti interessi economici con India, Cina e Russia.”

I contrasti internazionali si giocano soprattutto sul piano economico

“Il problema sorge – prosegue – quando le sanzioni imposte dagli Usa nei confronti di questi ultimi bloccano tutte le transazioni internazionali all’interno del sistema swift che le regola e/o estendono queste sanzioni ai Paesi che decidono di commerciare ugualmente con loro.

(ⓒinfobrics.org)

Per questo diventa inevitabile cercare altre vie, ma trovare alternative al dollaro non è semplice, ad esempio nel documento finale di Kazan si dà molto valore alle transazioni con valute nazionali. Per uscire dal sistema del dollaro, infatti, ci sono due strade: o i singoli Paesi fanno scambi in valuta nazionale oppure trovano un’alternativa comune al dollaro. Ma qui entrano in gioco gli interessi particolari, ad esempio la Cina spinge perché sia usata la sua moneta, e i rapporti tra gli Stati, pensiamo ai problemi militari e politici tra India e Cina: manca la fiducia reciproca e gli ostacoli non sono facili da superare.

Infine, molti Paesi dei Brics+ mantengono uno scambio significativo con l’area del dollaro, per cui è chiaro che un eventuale passaggio da un sistema all’altro li metterebbe in difficoltà. Quindi non è un problema da poco, ma sono convinto che la direzione verso cui si va sia quella: questi Paesi sono consapevoli delle crescenti difficoltà statunitensi nel mantenere e consolidare la loro egemonia e non è un caso che gli Usa utilizzino la guerra come estrema soluzione, visto che non riescono più da un punto di vista politico ed economico a essere predominanti.”

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