Giustizia climatica: annullata la prima sentenza contro Shell. Manca un consenso scientifico unanime sulla percentuale di riduzione delle emissioni, secondo la Corte dell’Aja Si conferma l’incertezza del diritto al clima: scienza e giudici non possono diventare legislatori

Giustizia climatica: annullata la prima sentenza contro Shell. Manca un consenso scientifico unanime sulla percentuale di riduzione delle emissioni, secondo la Corte dell’Aja

Si conferma l’incertezza del diritto al clima: scienza e giudici non possono diventare legislatori

Al momento non c’è sufficiente consenso tra i climatologi su una percentuale specifica di riduzione delle emissioni a cui una singola azienda dovrebbe attenersi: è la motivazione con cui la Corte dell’Aja ha accolto l’appello della multinazionale britannica Shell contro il giudizio di primo grado con il quale un tribunale olandese le aveva imposto di ridurre le proprie emissioni di CO2 del 45% entro il 2030. 

Per la Corte, infatti, non si può imporre una soglia precisa a una singola azienda: ne escono sconfitti gli ambientalisti ma, soprattutto, è stata ancora una volta messa a tacere la voce dell’ambiente.

Il direttore di Friends of the Earth International, tra le associazioni che stanno portando avanti la causa contro Shell (©foei.org)

Nel 2021, un tribunale olandese intimò infatti a Shell di ridurre le proprie emissioni: “anche un gigante come la Shell – aveva commentato Marco Magri, giurista dell’Università di Ferrara – deve avere una politica industriale adeguata agli Accordi di Parigi del 2015. Questo è il principio più importante stabilito dai giudici nella sentenza.” 

Al momento, invece, non sembra essere così: la Corte dell’Aja, pur sottolineando il dovere di Shell di limitare la produzione di gas serra, ha infatti accolto l’appello per due principali motivi: la soglia specifica indicata e il fatto che sia stata imposta a una sola azienda.

La debolezza del diritto climatico internazionale e il ruolo cruciale della scienza

D’altra parte, Shell aveva già preannunciato che la mancata violazione di norme specifiche sarebbe stato un punto cardine del ricorso, e abbiamo già visto come la giustizia climatica sia un tema complesso a livello giuridico

Il caso Shell è importante perché si inserisce in un quadro generale che vede crescere il livello di organizzazione del contenzioso in materia climatica, e il numero delle cause climatiche

Tuttavia, il quadro normativo rimane incerto e il ruolo della scienza cruciale: in queste sentenze, secondo Magri, la scienza assume infatti un valore normativo al pari delle altre regole giuridiche. 

Allo stesso tempo, però la scienza e i giudici non possono diventare legislatori: “il consenso o il mancato dissenso della ‘comunità scientifica’ – afferma il giurista – non fa di quest’ultima un legislatore parallelo. È il contenuto intrinseco della regola, la sua obiettiva verificabilità dell’ordine esistenziale delle cose, a renderla idonea a costituire parametro per la risoluzione di concrete controversie […]. Il non dissenso di una scienza predittiva può condizionare il legislatore nel costruire le regole, ma non altrettanto facilmente può dire a un giudice come deve comportarsi.”

Ed è proprio su questo aspetto che si è pronunciata la Corte: manca una risposta unanime da parte della scienza che permetta al legislatore di stabilire, a livello giuridico, una percentuale oggettiva di riduzione delle emissioni che può essere imposta a una singola azienda. Quindi, non è il giudice a poterla stabilire con i soli strumenti del diritto a sua disposizione.

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