Partendo dal concetto di “città autoritaria“, Agenda17 ha dedicato ampio spazio al dibattito sui temi legati all’abitare e alla città.
È stato un confronto a molte voci, provenienti da campi disciplinari ed esperienze diverse, che ha coinvolto sia esperti accademici e ricercatori, sia “saperi laici” che hanno autonomamente sviluppato conoscenze e visioni sui problemi e sul futuro dell’ urbanità.
Il concetto di “diritto all’abitare” – al centro oggi anche di forti tensioni politiche – è stato affrontato dalle giuriste Unife Maria Giulia Bernardini e Orsetta Giolo, e si è rivelato uno dei punti più fecondi, in grado di proporre il dibattito sulla città e sull’abitare come sintesi dei problemi dell’accesso universale ai diritti.
Sul tema “abitare i diritti”, Bernardini e Giolo, introdotte da Marco Bresadola, direttore di Agenda17 e delegato rettorale al public engagement, interverranno nell’ambito del Festival Internazionale a Ferrara, domenica 6 ottobre alle ore 11,30 nell’Aula magna della Facoltà di economia.
Abbiamo posto alle due relatrici alcune domande relative ai temi che verranno affrontati nel corso del loro intervento.
Perché la città e le relazioni che si stabiliscono nello spazio urbano sono così importanti dal punto di vista dell’esercizio e del godimento dei diritti?
“Nella globalizzazione, le città hanno assunto nuove funzioni in relazione alla produzione del diritto e alla sua applicazione, divenendo “centri di potere” con i quali è necessario confrontarsi. Inoltre, i diritti hanno sempre avuto bisogno di un “dove applicativo”, ossia di un luogo nel quale trovare effettiva concretizzazione; se in passato lo Stato era inteso per eccellenza come lo “spazio” di riferimento dei diritti, oggi questo riferimento è dato appunto dalla città.
Questo cambiamento di piano pone sfide importanti, che restano in parte ancora inesplorate. Tutte le ‘classi’ dei diritti sono coinvolte da questa imponente trasformazione: le libertà fondamentali, i diritti politici, i diritti sociali assumono significati e traduzioni nuove nello spazio urbano contemporaneo e ciò influisce notevolmente sulla vita delle persone che lo abitano.”
In che senso e secondo quali modalità concrete gli spazi urbani possono diventare strumenti di discriminazione?
“La città può escludere, emarginare, segregare, sfruttare, opprimere, confinare, rendere ‘incapaci’ in molti modi. Alcuni di questi sono oggi abbastanza noti, come la cd. architettura ostile, che impedisce a determinate categorie di persone l’accesso allo spazio urbano e il loro ‘sostare’, in modo tale da occultarne la presenza.
Inoltre, i diritti delle persone, concepiti come universali, nella città si frantumano in aspettative (o privilegi) strettamente dipendenti dagli ‘status’ giuridici individuali (cittadino/a, residente, abitante, rifugiato/a, migrante, e così via).
Di conseguenza, il principio di eguaglianza entra in crisi, contestato dai provvedimenti amministrativi e dalle scelte politiche locali che mirano a differenziare le condizioni delle persone (e l’accesso ai diritti che ne consegue) anziché promuovere l’inclusione.”
Quali sono, invece, le premesse e – se ci sono – le misure concrete da adottare perché gli spazi urbani si trasformino in strumenti di inclusione?
“La città ha un potenziale enorme da esprimere in tema di diritti, in particolare per quanto riguarda quelli fondamentali e umani: nella sua dimensione pubblica – e, dunque, non mercificata e privatizzata -, vanta tutti gli strumenti per divenire il luogo deputato alla loro concretizzazione e dunque all’inclusione.
Occorre però risolvere alcuni cortocircuiti teorici, che vedono al momento ancora molto forte la tensione tra città e universalità e tra città ed eguaglianza.
Nella visione dominante della città contemporanea – nel paradosso della globalizzazione – prevalgono, infatti, i particolarismi e l’”ossessione” del territorio. Ripensare la città alla luce dei diritti fondamentali e umani impone di ragionare in altro modo, perché i diritti, universali per definizione, non hanno confini.