L’uomo non “vede” le piante, ma la loro organizzazione in comunità può insegnarci la sopravvivenza come specie, secondo Stefano Mancuso Al Festival dell’economia una riflessione sulle differenze tra mondo umano e vegetale

L’uomo non “vede” le piante, ma la loro organizzazione in comunità può insegnarci la sopravvivenza come specie, secondo Stefano Mancuso

Al Festival dell’economia una riflessione sulle differenze tra mondo umano e vegetale

Siamo “ciechi verso le piante” sostiene Stefano Mancuso, docente e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze, secondo il quale non è immaginabile che una forma di vita riesca a raggiungere oltre l’80% di un sistema come quello del nostro Pianeta senza avere delle particolarità ed essere in grado di risolvere problemi. Eppure noi umani, lo 0,01% della biomassa della Terra, non “vediamo” le piante, non ne percepiamo la complessità, quando invece dovremmo chiederci cosa si possa imparare da organismi con un tale successo evolutivo. 

Partiamo dunque dai numeri: nell’articolo The biomass distribution on Earth, pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), sono presentati i risultati del censimento della massa di sostanza vivente presente sulla Terra (la biomassa) espressa in peso. L’ordine di misura sono i i gigatoni (ogni gigatone è un miliardo di tonnellate) e la biomassa sulla Terra ne pesa in tutto 550. Di questi, 450 gigatoni sono costituiti da piante e solo 0,06 gigatoni dall’uomo. 

Durante un incontro tenutosi al Teatro Carignano di Torino nell’ambito del Festival dell’economia, Mancuso, che da anni accompagna l’attività accademica e di ricerca alla divulgazione scientifica sul mondo vegetale con saggi e incontri col pubblico, ha approfondito le implicazioni e le conseguenze di questa nostra cecità.

Una diversa organizzazione del corpo: ecco perché non vediamo le piante

Questo bias cognitivo, chiamato “plant blindness”, è stato definito da J.H. Wandersee e E.E. Schussler nel 1999 con la pubblicazione di “Preventing Plant Blindness sul The American Biology Teacher ” e definisce  l’incapacità di notare la vegetazione in un determinato ambiente, di riconoscerne l’importanza nella biosfera, di apprezzarne l’unicità delle caratteristiche e  il classificala erroneamente come “inferiore”.

 “Il motivo – afferma Mancuso – è legato al modo di funzionare del nostro cervello: noi comprendiamo solo ciò che ci assomiglia e le piante sono quanto di più lontano possiamo immaginare da noi stessi.”

Sono diverse per i tempi con i quali agiscono, per dimensioni ma soprattutto sono organizzate in un modo estremamente differente da noi. Quest’ultimo aspetto è dovuto principalmente al fatto che sono organismi sessili, cioè non si possono spostare: “noi ci chiamiamo così, animali, proprio perché siamo esseri animati, cioè ci muoviamo. La pianta è in una situazione completamente diversa e deve risolvere il problema di come reagire alla predazione. Come fare in modo di non essere mangiate dagli animali e sopravvivere è l’origine della differenza che esiste tra piante e animali perché riguarda l’organizzazione del corpo.”

La nostra organizzazione gerarchica si riflette su tutta la società

L’organizzazione del corpo non ha impatto solo sulla differenza fisica tra il mondo animale e quello vegetale e sulla nostra incapacità di comprendere quest’ultimo, ma ha ripercussioni molto più ampie. “I tre aggettivi – spiega il docente — che definiscono l’organizzazione del nostro corpo sono: centralizzata, gerarchica e specializzata. C’è una testa, un cervello, anzi, un ‘capo’. Un capo che governa degli organi, singoli o doppi, specializzati. Vediamo con due occhi, sentiamo con due orecchie, respiriamo con due polmoni, digeriamo con uno stomaco, ragioniamo con un cervello.”

Il grande vantaggio di questa costruzione gerarchica, centralizzata e specializzata, è garantire al massimo grado quella espressione del nostro modo di vita che è il movimento. “Senza il movimento non possiamo neanche immaginare di agire. Usiamo questa capacità per affrontare i problemi, molto spesso per allontanarci dal problema: fa caldo e andiamo dove fa freddo, fa freddo e andiamo dove fa caldo, è sempre tutto basato su questo.”

Stefano Mancuso, docente presso l’Università di Firenze

Inoltre, abbiamo costruito la nostra società “seguendo” la nostra organizzazione corporea. “Pensate a dove lavorate – dice Mancuso  – qualsiasi organizzazione di cui facciate parte, dalla bocciofila alle Nazioni unite, avrete sicuramente un capo e degli organi specializzati. Tutte queste organizzazioni hanno sempre questo organigramma, che si chiama così non a caso, dove ci sono tutti gli organi specializzati che stanno sotto il capo.”  E questo schema organizzativo praticamente ovunque: dalla nostra società a come è fatto un computer (col suo processore, o cervello elettronico, e una scheda audio, una scheda video, una scheda di memoria…). 

“Costruiamo degli analoghi di noi stessi dappertutto, anche le città sono costruite come siamo costruiti noi: c’è un centro, ci sono le arterie della città, ci sono i polmoni verdi, delle zone specializzate. Noi riproduciamo ciò che conosciamo.”

 Il punto di interesse  è se questa organizzazione presenti vantaggi significativi o problemi. 

Specializzazione e centralizzazione: i vantaggi delle piante

Il primo problema riguarda il corpo stesso e la specializzazione dei suoi organi: “un’organizzazione dove, se a un individuo si rompe il pancreas questo individuo muore, è un’organizzazione di una fragilità straordinaria”.  Anche le piante hanno organi, come le radici e le foglie, ma non sono singoli o doppi, sono innumerevoli. “Il mondo vegetale – sottolinea Mancuso – ha scelto questa straordinaria strada evolutiva per cui hanno diffuse in tutto il loro corpo ognuna di quelle funzioni che noi abbiamo concentrate all’interno di organi specifici. 

In altre parole, una pianta vede con tutto il corpo, sente con tutto il corpo, respira con tutto il corpo, ragiona con tutto il corpo. 

Può sopportare che l’80% del suo corpo venga rimosso e continuare a vivere. 

Non è un piccolo vantaggio: è quello che ha fatto sì che da una parte avessimo oltre l’80% della vita di questo Pianeta e dall’altra lo 0,3% di tutto il regno animale.” Inoltre, è quello che fa sì che l’essere vivente più longevo sul Pianeta sia un pino, un pinus longaeva battezzato Mathusalem, che ha 5.800 anni, anche se per il mondo vegetale anche un piccolissimo bruco può essere un’insidia.”

Il secondo problema riguarda la centralizzazione, che si ripercuote anche sul modo in cui organizziamo la società. “Nell’organizzazione diffusa e decentralizzata delle piante – osserva Mancuso – le decisioni per risolvere i problemi vengono prese a livello locale, cioè dove c’è il maggior numero di informazioni che riguardano il problema stesso. 

Noi invece abbiamo un’organizzazione di tipo gerarchico, in cui le uniche decisioni sono quelle prese dal capo e il punto dove quelle decisioni agiscono è molto lontano dal punto in cui vengono prese. Questo è un fattore straordinario, incredibilmente importante, in un’organizzazione.” 

Le piante come comunità: il segreto per la sopravvivenza della specie

Infine, il problema più grave e significativo riguarda la caratteristica della gerarchizzazione ed è il problema dell’obbedienza, che Mancuso spiega rifacendosi a “La banalità del male” di Hannah Arendt, che racconta il processo iniziato nel 1961 a Gerusalemme contro Otto Adolf Eichmann, uno dei comandanti delle SS responsabili della cosiddetta “soluzione finale”.

“Hannah Arendt – afferma – scrive che Eichmann è una persona normalissima, un burocrate. Dai suoi discorsi si capisce che pensa davvero di non aver fatto nulla di male perché lui dice: io facevo parte di una società gerarchica e quello che si può chiedere di meglio all’interno di una società gerarchica è di eseguire gli ordini nella maniera più efficiente possibile.” 

(©laterza.it)

Come Mancuso scrive nel suo “La nazione delle piante”, “Arendt trarrà la convinzione che Eichmann, così come la maggior parte dei tedeschi corresponsabili della Shoah, non lo furono a causa di una loro speciale disposizione al male, ma perché parte di un’organizzazione gerarchica in cui i burocrati addetti alla trasmissione degli ordini erano inconsapevoli del significato ultimo delle loro azioni.” La Shoah dunque non sembrava dipendere solo dal male, ma da un’organizzazione gerarchica con una sufficiente distanza fra un’azione e i suoi risultati, una forte autorità e rapporti spersonalizzati al suo interno. 

“Le piante non funzionano come noi – conclude Mancuso – le piante funzionano per comunità. Ad esempio un bosco naturale è una comunità di piante, l’esemplificazione di quelle comunità utopiche che noi abbiamo cercato di costruire sempre nel corso della nostra storia. 

Le piante si scambiano ciò di cui hanno necessità l’una con l’altra. Non lo fanno perché sono buone, non esistono le categorie ‘buono’ o ‘cattivo’, non esiste l’etica in natura. Lo fanno perché la comunità è la maniera più efficiente per garantire la sopravvivenza di una specie. Fatto sta che loro sono oltre l’80% e noi siamo lo 0,3%. Tra le piante abbiamo specie che hanno centinaia di milioni di anni e noi abbiamo 300mila anni e basta, e quanto saremo ancora in grado di sopravvivere? Io mi auguro che sarà una lunga e ininterrotta, meravigliosa cavalcata verso l’eternità però se pensiamo a cosa abbiamo fatto negli ultimi 12mila anni e negli ultimi due secoli, qualche dubbio mi viene.”

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