L’Alta Corte di Londra ha fermato l’estradizione di Julian Assange, riconoscendo al giornalista il diritto a presentare un nuovo ricorso. Sono state infatti riconosciuti come non infondati i timori su un processo non giusto negli Stati Uniti, con la difesa di Assange che ha definito “palesemente inadeguate” le garanzie fornite. Una buona notizia, dunque, nonostante un uomo innocente continui a essere ingiustamente detenuto in condizioni psico-fisiche sempre più precarie.
Dopo l’ultimo appello di febbraio nella capitale britannica, che ha visto ancora una volta una mobilitazione di massa dell’opinione pubblica mondiale per la liberazione del giornalista, la Corte era in attesa entro oggi di rassicurazioni da parte del Governo statunitense sul trattamento che Assange avrebbe ricevuto se estradato.
I legali di Washington, tuttavia, se da un lato hanno garantito che non sarebbe stata richiesta la pena capitale, dall’altro sono rimasti vaghi sulla possibilità di concedere al giornalista di potersi appellare al Primo emendamento (non scontata in quanto cittadino australiano, dunque non statunitense), rinviando a una futura pronuncia della Corte statunitense.
Da più fronti si chiedono tutela dell’interesse pubblico e libertà per Assange
A mantenere viva una speranza, intanto, sono le continue e crescenti voci contrarie al proseguimento di questa assurda situazione.
Pochi giorni fa alcuni parlamentari hanno presentato alla Commissione giustizia del parlamento britannico la richiesta di un’inchiesta affinché tutti gli enti pubblici coinvolti nel caso agiscano nell’interesse pubblico e in modo appropriato, visto appunto il significato che il caso di Assange riveste per la libertà di stampa.
La moglie Stella Assange, pur condividendo chiaramente la decisione odierna, ha ribadito che gli Stati Uniti dovrebbero ormai rinunciare a un caso vergognoso, per il quale il marito sta pagando un tributo enorme. Così il presidente brasiliano Lula da Silva, da sempre difensore di Assange, ha scritto sui social che il giornalista avrebbe dovuto vincere il premio Pulitzer per aver rivelato i segreti dei potenti, anziché essere ingiustamente imprigionato.
Assange è stato colpito infatti per il suo giornalismo scientifico, basato sull’uso delle tecnologie di rete e su dati verificabili e incontrovertibili. In un clima di sempre maggiore intolleranza nei confronti della libertà di stampa, come dimostra l’ultimo report di Reporter Sans Frontières, continua dunque la battaglia non solo per evitare l’estradizione di quello che è ormai un simbolo dell’ipocrisia occidentale su questo fronte, ma anche per garantirgli il ritorno alla piena libertà.