L’etica animale è il ramo dell’etica applicata che si occupa della questione di come l’essere umano debba comportarsi e agire nel momento in cui le sue azioni hanno delle ricadute in termini di conseguenze dirette o indirette su animali non umani. Pur essendo il tema della relazione etica tra essere umano e animale oggetto di speculazione sin dall’antichità, la disciplina è relativamente giovane. La collettanea, curata nel 1971 da Rosalind Godlovitch, Stanley Godlovitch e John Harris, Animals, Men and Morals: An Inquiry into the Maltreatment of Non-Humans è considerata il volume che inaugura la letteratura accademica dell’etica animale contemporanea.
Poiché l’etica animale cerca, in generale, di dare risposta a quesiti rispetto all’esistenza di obblighi morali nei confronti degli animali, sua tematica centrale è la questione dello status morale dell’animale non umano, o, in altri termini, se gli animali non umani debbano essere oggetto o meno di considerazione morale. Godere di considerazione morale significa poter rivendicare pretese morali nei confronti di altri, i quali sono in grado di riconoscere e dare seguito con le loro azioni a tali rivendicazioni. Un essere che gode di considerazione morale è, pertanto, un essere nei confronti dei quali possono essere compiute azioni moralmente riprovevoli o che può essere oggetto di atteggiamenti moralmente sbagliati (Lori Gruen, “The Moral Status of Animals”, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Summer 2021 Edition), Edward N. Zalta (ed.), https://plato.stanford.edu/archives/sum2021/entries/moral-animal/).
In generale, possiamo definire “specismo” la concezione secondo la quale solo gli esseri umani possiedono un pieno status morale e, pertanto, la considerazione morale è appannaggio esclusivo degli esseri umani.
Il termine “specismo” viene coniato agli inizi degli anni Settanta dallo psicologo britannico Richard Ryder nel contesto del vivace dibattito in corso in quegli anni all’Università di Oxford intorno alla questione sullo status morale degli animali. In un saggio del 1971, inserito nel sopraccitato volume Animals, Men and Morals,Ryder sottolinea quella che a suo parere è un’analogia tra i termini “razza” e “specie”: entrambi mettono in luce discriminazioni che si fondano su pregiudizi illogici, il razzismo e lo specismo.
Così come noi ora aborriamo la discriminazione di esseri umani sulla base di determinate caratteristiche fisiche considerate segno di appartenenza a una “razza”, Ryder si augura che un giorno aborriremo anche la discriminazione sulla base dell’appartenenza alla specie.
Se, infatti, consideriamo moralmente sbagliato procurare sofferenza a un’innocente creatura umana, deve essere considerato parimenti deplorevole infliggere sofferenza a creature non umane.
Il concetto di specismo di Ryder si fonda sulla convinzione che tutti gli animali, umani e non, facciano parte della medesima catena evolutiva. Se non è possibile tracciare una netta linea di confine dal punto di vista biologico tra una specie e l’altra, non è razionalmente giustificabile tracciarne una dal punto di vista morale.
Nella letteratura filosofica il termine viene introdotto e divulgato dal filosofo australiano Peter Singer. Nel suo libro Animal Liberation (1975), Singer inquadra la definizione di specismo all’interno della sua teoria utilitaristica.
Ai fini di poter delineare la comunità degli esseri che godono di considerazione morale, è, per Singer, fondamentale la capacità di provare piacere e dolore. Ogni essere senziente, infatti, sulla base di questa capacità sviluppa determinati interessi, primo fra tutti l’interesse a non soffrire. La capacità di provare piacere e dolore è, quindi, la condizione necessaria e sufficiente perché si possa dire che un determinato essere ha interessi.
Lo specismo, in quest’ottica, è il pregiudizio che porta a favorire gli interessi dei membri della propria specie a svantaggio degli interessi dei membri di altre specie.
Come il razzista attribuisce maggior peso agli interessi degli esseri umani appartenenti alla sua stessa “razza” e il sessista favorisce gli interessi degli esseri umani appartenenti al suo stesso genere, lo specista ritiene gli interessi dei membri della sua specie superiori a quelli di esseri appartenenti ad altre specie.
L’egualitarismo di Singer: tutti gli interessi hanno il medesimo valore morale
L’opposizione allo specismo, così come quella al razzismo e al sessismo, si fonda, per Singer, sul principio di uguaglianza. Esso non descrive la pretesa di una reale uguaglianza, né stabilisce un identico trattamento, bensì prescrive di considerare in maniera uguale gli interessi di tutti gli esseri con cui interagiamo o che sono, direttamente o indirettamente, toccati dalle conseguenze delle nostre azioni.
Così, un’eguale considerazione morale di esseri differenti può implicare che questi vengano trattati in maniera anche molto differente: tutto dipende dagli interessi che essi hanno.
Singer sottolinea a più riprese come il principio di uguaglianza sia un principio essenzialmente razionale: se un essere ha interessi non può esistere, infatti, alcun argomento razionale per negargli considerazione morale, come non esiste alcun argomento razionale che giustifichi il favorire gli interessi di un gruppo rispetto a quelli di un altro.
La “liberazione animale” è la via proposta da Singer per superare lo specismo. L’istanza egualitaristica e antispecistica del filosofo australiano, tuttavia, non si concretizza, come ci si potrebbe forse aspettare, nella rivendicazione diretta di diritti degli animali.
Dal punto di vista del consequenzialista utilitarista, infatti, la condotta morale obbligatoria è quella che ha come conseguenza il maggior beneficio possibile per il maggior numero di esseri senzienti possibile.
La questione centrale, per Singer, non è che determinate azioni o pratiche ledano determinati diritti, quanto piuttosto il fatto che determinati interessi e determinate preferenze non vengano prese in considerazione nell’ambito del bilancio utilitaristico.
In questo senso, Singer utilizza il termine “diritto morale” al solo scopo di sintetizzare tutta la serie di garanzie che a un essere senziente devono essere riconosciute nel momento in cui i suoi interessi e le sue preferenze vengono considerate dal punto di vista morale.
A partire dalle riflessioni di Ryder e Singer, l’opposizione al pregiudizio specista, nota come “antispecismo”, diventa uno dei temi centrali dell’etica animale contemporanea e una delle nozioni fondanti del movimento animalista.
Radicalismo di Regan: ogni essere soggetto di vita ha diritti morali
In Tom Regan, filosofo statunitense considerato per il suo libro The Case for Animal Rights (1983) uno dei padri dell’etica animale contemporanea, l’opposizione all’atteggiamento e alle pratiche speciste si traduce nella rivendicazione di diritti morali inalienabili per gli animali non umani.
Regan critica soprattutto l’aspetto aggregativo dell’approccio utilitarista, per cui l’attenzione morale non è rivolta ai singoli e al loro valore, ma alla promozione del maggior numero di interessi del maggior numero di esseri senzienti toccati dalle conseguenze di una determinata azione o pratica.
Aspetto fondamentale della considerazione morale, per Regan è, invece, il rispetto del valore inerente di un essere. Ogni essere vivente che ha esperienza della propria vita e delle sue differenti dimensioni, al di là del piacere e del dolore, è soggetto esperente di vita (experiencing subject of a life), ha un valore inerente inviolabile ed è, pertanto, portatore di diritti.
Di conseguenza, gli interessi di un soggetto esperente di vita non possono essere fatti oggetto di alcun bilancio utilitaristico.
Fondamentale per Regan è il riconoscimento del fatto che non solo gli esseri umani, ma anche gli animali non umani siano soggetti esperenti di vita e abbiano un valore inerente inviolabile. Questa posizione teorica di tipo deontologico si traduce nella pratica in un abolizionismo radicale, che va a opporsi alla posizione riformista graduale proposta da Singer.
Antispecismo femminista: l’unicità individuale di ogni essere
Un approccio antispecista che, al contrario di quelli di Singer e Regan, non si fonda sulla considerazione dei tratti comuni tra esseri umani e animali non umani, bensì sul riconoscimento dell’unicità individuale di ogni essere, è quello, di tradizione femminista che affonda le sue radici nella care-ethics di Carol Gilligan, Nel Noddings, Carol J. Adams e Josephine Donovan e trova al momento tra i suoi esponenti di spicco la filosofa statunitense Lori Gruen.
Focalizzando l’attenzione sulle somiglianze tra umani e non umani (la capacità di provare dolore per Singer e l’essere soggetto esperente di vita per Regan), secondo Gruen, si corre un rischio importante. Il rischio è di proiettare inconsapevolmente la nostra prospettiva umana, unitamente con le nostre preoccupazioni umane, sugli animali con cui interagiamo, mancando di riconoscere la loro individualità e le loro effettive necessità e ricadendo, così nell’antropocentrismo che intendiamo superare (Entangled Empathy, 2015).
Il dolore inferto, gli interessi ignorati e la mancanza di rispetto riguardano, sì, singoli individui, ma sono considerate dalle teorie consequenzialistiche e deontologiche a partire da una prospettiva astratta, che non ci permette di considerare appieno il punto di vista dell’altro, sia esso umano o animale, né di scorgere le sue capacità uniche e meritevoli di apprezzamento.
In questo modo risulta difficile comprendere quali siano davvero i bisogni dell’altro e, di conseguenza, promuovere il suo benessere. La via proposta da Gruen è quella del “coinvolgimento empatico” (entangled empathy).
Per promuovere in maniera efficace il benessere altrui occorre un’analisi accurata del contesto in cui si agisce, che comprende, oltre alle strutture sociali, anche i motivi, i desideri i valori non solo dell’essere a cui è rivolta l’azione, ma anche quelli dell’agente.
Tale accuratezza di analisi è possibile solo attraverso la giusta attenzione al contesto e la giusta percezione morale. Il coinvolgimento empatico è, quindi, per Gruen un tipo di percezione morale, fondata sulla partecipazione alla situazione e focalizzata sul benessere dell’altro.
Essa è un processo esperienziale che implica al contempo emozione e cognizione. Tale percezione partecipe dell’altro ci rende consapevoli delle relazioni che intratteniamo e contemporaneamente ci invita a essere attenti e responsabili per l’altro, sia esso un essere umano o un animale non umano, prendendoci cura dei suoi bisogni, dei suoi interessi, delle sue debolezze e della sua sensibilità.