Con la guerra in Ucraina il rischio di un conflitto nucleare si è fatto concreto, affermano gli esperti. La Russia minaccia di usare le armi nucleari mentre l’Unione europea non è intenzionata ad abbandonare Kiev. In questa situazione di accresciuta tensione internazionale, rispetto ai tempi dell’immediato dopoguerra, la consapevolezza che si ha oggi della possibilità di un’autodistruzione dell’umanità è cambiata? È aumentata? Il tema è ancora al centro del dibattito culturale? Il riarmo convenzionale che si prospetta può avere conseguenze sul disarmo nucleare? Il concetto di deterrenza nucleare è solamente un feticcio culturale, una pericolosa illusione?
Abbiamo affrontato in una videointervista questi temi nel confronto tra due importanti intellettuali impegnati sui temi della pace e del disarmo: Francesco Vignarca, autore del libro “Disarmo Nucleare” e coordinatore nazionale della Rete italiana pace e disarmo, e Micaela Latini, docente di Letteratura tedesca e di estetica presso il Dipartimento degli studi umanistici dell’Università di Ferrara.
L’occasione è il terzo incontro dell’iniziativa “Libri per la Pace”, promossa dal Laboratorio per la pace di Ferrara, una serie di letture e analisi pubbliche di undici volumi (uno per mese) esemplari per la storia del pensiero e degli studi sulla pace in Italia, o riguardanti i conflitti aperti e le loro ripercussioni politiche e sociali.
Nell’ambito della rassegna, domani 20 marzo alle 17.30, presso la libreria Il Libraccio di Ferrara, Christian Elia presenta “J’accuse.. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’Apartheid in Palestina e la guerra”, scritto insieme a Francesca Albanese.
Le loro riflessioni si collocano nell’universo della società attuale, che si è allontanata molto da quella preoccupazione dell’utilizzo delle armi nucleari che è stata centrale per la politica delle grandi superpotenze e all’ordine del giorno nel dibattito tra gli intellettuali del secondo dopoguerra.
Professoressa Latini, lei nel suo lavoro sottolinea il ruolo di Günther Anders, uno dei più importanti autori per il dibattito sul nucleare. Anders e Robert Jungk, nel 1954, sono stati i fondatori del Movimento antinucleare in Austria, Germania e, in generale, in Europa. Jungk si è prodigato tutta la vita per cercare di fronteggiare la minaccia atomica del nucleare. Ritiene che tale tema nella cultura, nella letteratura e nella filosofia sia oggi ancora vivo e dibattuto?
“Con modalità diverse rispetto a come è stato nel secondo dopoguerra. In quegli anni questo tema era un punto centrale all’ordine del giorno; in questo periodo, il tema è presente ma attraverso metafore, resta un po’ sospeso, non viene affrontato direttamente ma in maniera sempre mediata. Bisogna, forse, riportarlo nella sua centralità.”
Rispetto ai tempi dell’immediato dopoguerra la consapevolezza che si ha oggi delle possibilità di un’auto distruzione dell’umanità è cambiata? È aumentata?
“Credo che in questo momento l’attenzione si sia un po’ spostata rispetto a questa paura del nucleare: ogni tanto ne siamo consapevoli, la cronaca ci mette in allarme, ma noi in qualche modo ci siamo abituati a vivere con questa spada di Damocle del nucleare sulla testa e non ci stiamo più veramente interrogando. Mi è capitato una volta di rispondere a un’intervista in cui mi si diceva: “Forse siamo troppo impegnati in questo momento sulla questione della crisi ecologica che si sta spostando il nostro centro di interesse rispetto alla questione del nucleare?” La risposta è che sono, in realtà, due facce della stessa medaglia: esiste un rapporto tra l’umanità, l’ambiente e il proprio sé; l’ambiente è, quindi, lo specchio dell’umanità stessa.
Per rispondere: credo che la consapevolezza rispetto al terrore del nucleare si sia anestetizzata.”
Il concetto di deterrenza nucleare è solamente un feticcio culturale e una pericolosa illusione?
“Le rispondo facendo leva su quel che scrive Günther Anders in merito. La deterrenza nucleare, come sappiamo, funziona solo se l’arma nucleare non viene usata, quindi mette un po’ in scacco, dice Anders, quello che è il rapporto tra mezzo e fine.
Lui dice anche di fare attenzione: nel momento in cui la bomba atomica esiste, questo già ci proietta in un ambiente che è in una situazione di possibile messa in scacco di noi stessi e, di conseguenza, siamo ormai anestetizzati a vivere in una situazione in cui basta premere un pulsante per creare la fine del Mondo, l’apocalisse nucleare.
Günther Anders dice che ogni esperimento è un tutt’uno con un’esplosione nucleare, quindi dobbiamo stare attenti a vedere le cose nella giusta luce, cioè a non perdere quel punto di confine tra il possibile e il reale.”
Francesco Vignarca, lei da molti anni si occupa di Pace e Disarmo e ha ricevuto il Premio nazionale Nonviolenza 2020 insieme a Sergio Bassoli.
Nel suo nuovo libro “Disarmo Nucleare”, lei porta considerazioni e dati sui rischi legati all’utilizzo di armi nucleari nei drammatici conflitti in corso. Ritiene che le armi nucleari, oltre a essere immorali e illegittime, siano anche illegali?
“Lo sono dal 2017 per una norma internazionale che al momento è stata sottoscritta da settanta Paesi del Mondo. Proprio nel 2017, grazie allo sforzo della società civile internazionale e di diversi Paesi nell’ambito delle Nazioni Unite, siamo riusciti a ottenere il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, grazie al quale la nostra campagna internazionale è stata insignita del premio Nobel per la pace. Il Trattato, entrato in vigore il 22 gennaio 2021 dopo aver raggiunto le cinquanta ratifiche necessarie, afferma chiaramente l’illegalità delle armi nucleari.
Siamo ancora a metà del percorso, in quanto le armi nucleari sono fuori legge solo per i Paesi che hanno già sottoscritto e ratificato il Trattato stesso, ma, quantomeno, esiste una norma internazionale che parla di questo, senza limitarsi al desiderio di un Mondo libero dalle armi nucleari, ma privo di regole, leggi o trattati che lo prevedano.”
Il riarmo convenzionale che si prospetta, può avere delle conseguenze sul disarmo nucleare e quali?
“Certo, purtroppo in una fase internazionale di riarmo è ovvio che ci siano delle conseguenze anche sulla parte nucleare.
La prima cosa da notare è che almeno dal 2001 che le spese militari globali sono in crescita; sono quasi raddoppiate in vent’anni, di conseguenza queste ultime implicazioni sono solamente un rafforzamento e un’accelerazione di un processo che era già in corso.
Il problema legato alle armi nucleari è che per troppo tempo sono sembrate una “questione risolta”, qualcosa di cui “non preoccuparsi, perché tanto le avevano in mano solo pochi Paesi responsabili”, questo era ciò che ci dicevano quando facevamo la campagna per il Trattato TPNW.
Circa un mese prima dell’invasione effettuata da Putin in Ucraina, le cinque potenze nucleari ufficiali avevano diffuso un documento congiunto, il quale diceva che la guerra nucleare non ci sarà mai perché non potrà mai essere combattuta, in quanto nessuno potrà mai vincerla; in realtà proprio gli ultimi due conflitti che vediamo più vicini a noi, sia quello in Ucraina sia quello in corso a Gaza, dimostrano che la presenza e il possesso di armi nucleari non impedisce ad un Paese di entrare in guerra. Crescere nel riarmo, crescere nell’utilizzo degli armamenti anche convenzionali, fa crescere un contesto di conflitto internazionale in cui, purtroppo, si abbassa poi la soglia dell’eventuale ricorso o, quantomeno, della retorica della minaccia del ricorso alle armi nucleari.”
Il concetto di deterrenza nucleare è solamente un feticcio?
“Sì, la deterrenza nucleare è un feticcio e un mito, non funziona, è solo una maniera per giustificare la presenza di armi nucleari, perché, lo vediamo nei conflitti in corso in questi mesi, ma l’abbiamo visto in tutti i conflitti dal 1945 in poi, non è vero che la deterrenza nucleare ferma le guerre o fa in modo che i Paesi che hanno l’arma nucleare non entrino in guerra, la storia, invece, è piena di questi casi.
La deterrenza nucleare, però, è stata un mito, un feticcio, una retorica utile ad alcune potenze per potersi mettere su un piedistallo e in una situazione di minaccia diretta e di minaccia verso tutti gli altri; un po’ ad affermare la propria importanza mettendosi a fare cose che gli altri Stati non si permetterebbero di fare, proprio perché hanno le armi nucleari. Non è un caso che i cinque membri permanenti con diritto di veto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite siano gli stessi che hanno ufficialmente e formalmente l’accesso e il possesso delle armi nucleari.
Questa è una logica non di diritto, è una logica che potremmo definire mafiosa: il fatto che qualcuno abbia la possibilità di distruggere qualcun altro e di esercitare una violenza inaudita verso qualcun altro fa in modo che alcuni Stati tengano al loro guinzaglio gli altri Stati.”
Cosa si può fare oggi?
“Questo percorso lo abbiamo ottenuto perché abbiamo ribaltato la prospettiva. Per decenni le armi nucleari sono state un tema solo dei grandi leader, della grande geo-strategia, delle grandi relazioni internazionali; esse, quindi, sono rimaste bloccate in quelle dinamiche che vedono, fondamentalmente, non un’idea di sicurezza condivisa, ma un’idea di potere esercitato da alcuni.
Noi abbiamo ribaltato questa prospettiva mettendo in gioco l’umanità, l’iniziativa umanitaria: è così che si chiamava il percorso che ha portato al Trattato, cioè partire dalle vittime, che non sono solo i superstiti di Hiroshima e Nagasaki, ma sono i milioni di persone coinvolti nei test nucleari (più di 2mila nei decenni dopo la guerra mondiale), che quindi dicono di non volere più rimanere in quella condizione e di non volere più avere questo rischio.”