Pasquale Pugliese, che ha già contribuito alla rubrica Le parole e le cose di Agenda17 sul tema “Nonviolenza”, ha preso parte ai lavori il XXVII Congresso nazionale del Movimento Nonviolento, recentemente svoltosi a Roma.
Mai come di questi tempi l’Obiettivo 16 dell’Agenda Onu 2030 “Pace, giustizia e istituzioni forti” è di terribile attualità, e da tempo seguiamo non solo le notizie sui conflitti in corso – principalmente in Ucraina e in Palestina – per fornire i contesti che consentono di interpretarle, ma cerchiamo anche di dar conto del dibattito sulle possibili soluzioni.
In questa prospettiva, il commento del filosofo Pugliese su quanto dibattuto nel Congresso ci pare particolarmente utile e ricco di spunti.
Nei diversi decenni di personale impegno nonviolento, non ho mai vissuto un Congresso in una situazione così pericolosa per l’umanità nel suo insieme, dove il lume della ragione dei decisori internazionali – che si muovono come sonnambuli sull’orlo dell’abisso – sembra tragicamente oscurato.
Nei giorni precedenti,RobBauer, presidente del Comitato militare della NATO, aveva dichiarato che “i civili devono prepararsi ad una “guerra totale” contro la Russia entro i prossimi venti anni ed a stretto giro Jeans Stoltenberg, segretario generale della NATO, in una conferenza congiunta con Ursula Von derLeyen alla Conferenza di Monaco sulla “sicurezza”, aveva incitato a passare da un sistema di produzione di armamenti da tempo di pace ad uno da tempi di guerra: una vera e propria riconversione dell’economia, ma dal civile al militare.
Nei giorni immediatamente successivi al Congresso nonviolento – in una incredibile sequenza di escalation politica – prima il presidente francese Emmanuel Macron ha paventato l’invio di truppe di terra a sostegno dell’Ucraina, con un ingresso diretto in guerra della NATO, poi Von derLeyen ha lanciato l’acquisto straordinario di armamenti per i paesi Unione Europea come accaduto per i vaccini – con l’incongruenza logica che vaccini servivano a fermare il virus della pandemia da covid, le armi servono a propagare il “virus” della guerra; ossia i primi a preservare la vita, le seconde a provocare la morte – ed a ruota il Parlamento europeo ha votato un documento (con la schiacciante maggioranza di 451 voti favorevoli, 46 contrari e 49 astensioni) dove, invece di promuovere negoziati e conferenze di pace, “l‘obiettivo principale” – si legge testualmente – “è che l’Ucraina vinca la guerra contro la Russia, il che comporta l’allontanamento di tutte le forze russe e i loro associati e alleati dal territorio ucraino riconosciuto a livello internazionale.
Apprendisti stregoni
Si ritiene che tale obiettivo possa essere conseguito solo attraverso la fornitura continua, sostenuta ein costante aumento di tutti i tipi di armi convenzionali all’Ucraina”. E se questo non bastasse – mentre Vladimir Putin ricordava che le armi nucleari russe sono in stato di “massima allerta” – Lloyd J. Austin III, segretario alla difesa degli USA, ha dichiarato che se l’Ucraina dovesse perdere, la NATO entrerà in guerra direttamente contro la Russia.
Perfino il calcolatore elettronico Joshuanel film cult War games del 1983 aveva capito che la guerra tra potenze nucleari è un gioco da non giocare, perché nessuno può vincere. Invece gli inconsapevoli “apprendisti stregoni” – come definiva GüntherAnders i decisori politici del suo tempo, nel saggio “Il male” contenuto nel secondo volume de L’uomo è antiquato – che governano il pianeta non riescono a resistere alla tentazione della distruzione reciproca e totale.
La nonviolenza è un fiume carsico, che si alimenta e rispunta
Rispetto al contesto attuale, “siamo nel pieno di una aggressiva propaganda bellica – ha affermato Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento -. Il clima che ci circonda è brutto, in certi momenti fa davvero paura, preoccupa, si rischia di sentirsi sfiduciati, ma noi sappiamo che la nonviolenza, anche quando sembra perdente, è come un fiume carsico, scorre comunque, si alimenta, c’è anche se non la vedi, e ad un certo punto rispunta. In questi giorni la mobilitazione pacifistain atto è segno di una grande vivacità e attivismo dei gruppi locali, che si riconoscono in un movimento unico che vede nella nostra Rete e nelle nostre coalizioni un punto di riferimento sicuro e autorevole proprio perché non nasce dal nulla, non si sveglia oggi, ma è frutto di un lungo lavoro, continuativo, competente, coerente. C’è bisogno di unità nel movimento per la pace, per avere più forza ed essere più convincenti, oltre che convinti”.
A questo scopo è necessario continuare l’impegno nonviolento attraverso campagne che aggreghino più organizzazioni nella promozione e cittadini nell’adesione.
Oltre a quella di “Obiezione alla guerra”, nella sua dimensione europea e italiana, il Movimento Nonviolento partecipa alla campagna “Un’altra difesa è possibile”, per la difesa civile non armata e nonviolenta; a quella per la riduzione delle spese militari con l’ “Osservatorio Mil€x”, di cui è partner; alla rete europea ENAATcontro il commercio di armi (e in Italia la campagna per la difesa della Legge 185/90); alla campagna “Italia ripensaci” (parte italiana di quella mondiale Ican per la messa al bando delle armi nucleari) e, con OPALe RIPD.alla campagna contro la fiera delle armi, prima Hit Show a Vicenza, ora EOS a Verona.
La decostruzione della filiera della violenza
Esattamente una settimana prima del Congresso, sabato 17 febbraio, era morto Johan Galtung, una figura di grande importanza internazionale per la nonviolenza, fondatore e pioniere dei peacesstudies, gli studi internazionali per la pace che hanno fornito uno statuto scientifico alla ricerca nonviolenta per la soluzione dei conflitti, il cui pensiero andrebbe approfondito e divulgato anche nel nostro paese, oggi più che mai.
“Essere contro la guerra è una posizione moralmente lodevole, ma non è sufficiente a risolvere i problemi delle alternative alla guerra e delle condizioni per la sua abolizione”, scriveva Galtung, è necessario dunque costruire “la pace con mezzi pacifici”.
I contributi di Johan Galtung a questo scopo, distribuiti in decine di libri e migliaia di articoli, relazioni e conferenze, sono molteplici ed hanno fornito alcuni dei concetti fondamentali sia della ricerca accademica sulla pace che ai movimenti nonviolenti. Tra di essi l’identificazione e analisi dei diversi livelli in cui si manifesta la filiera della violenza: diretta, strutturale e culturale.
Nel mio intervento al Congresso, nel ricordare il contributo di Galtung alla nonviolenza, ho evidenziato come la campagna di obiezione alla guerra agisca sulla violenza diretta della guerra, cercando di sottrarle “carne da macello”, come le centinaia di migliaia di giovani russi e ucraini che hanno perso la vita negli ultimi due anni; le campagne per il disarmo, la riduzione delle spese militari, la messa al bando delle armi nucleari – svolte insieme a RIPD – agiscono per contrastare le strutture di violenza che preparano e consentono la guerra; ma non dobbiamo trascurare la più profonda delle violenze, quella culturale che sottostà ai precedenti livelli e giustifica e legittima le altre forme di violenza: il bellicismo ideologico, nelle sue diverse manifestazioni, mai così prepotente come in questi tempi.
Le manganellate fisiche, in specie sui manifestanti più giovani, arrivate con il governo attuale, erano stare anticipate da quelle mediatiche contro i pacifisti sui mezzi di informazione maintream di almeno due anni.
È necessario dunque, a mio avviso, un lavoro di approfondimento teorico-formativo sul “pensiero forte” della nonviolenza e delle sue molteplici declinazioni rispetto alle sfide del presente e – contemporaneamente – intensificare lavoro di divulgazione sul piano informativo e comunicativo per decostruire la preponderante narrazione bellicista e proporre una credibile narrazione alternativa, capace di intercettare la maggioranza dei cittadini che pure si dichiara – istintivamente e ripetutamente – contraria a ogni forma di partecipazione bellica del nostro paese. Nonostante due anni di martellante propaganda di guerra.
Se rispetto al primo impegno, forse, può essere sufficiente un rinnovamento e un approfondimento, nel senso della ricerca, degli strumenti consolidati (magari con una maggiore collaborazione con la rete Runipace); rispetto al secondo, io credo, è tempo di costruire un network informativo-comunicativo integrato, autonomo e autorevole, trasversale alle reti pacifiste – così come si fa per le campagne – capace di mettere in campo direttamente le voci autorevoli, ma marginalizzate sui media, del popolo per la pace.