“Mi appello al Governo del Regno Unito affinché riveda l’ordine di estradizione di Assange per garantire il pieno rispetto del divieto assoluto e inderogabile di respingimento della tortura e di altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti e prendere tutte le misure necessarie per la salvaguardia della salute fisica e mentale di Assange.” È quanto ha chiesto la relatrice speciale delle Nazioni unite (Onu) sulla tortura Alice Jill Edwards in un comunicato rilasciato in vista dell’udienza finale per l’estradizione del giornalista australiano, prevista per il 20 e 21 febbraio.
Nel comunicato, Edwards esprime forti dubbi sulla compatibilità dell’estradizione con gli obblighi previsti dal diritto internazionale, in particolare l’articolo 7 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (International Covenant on Civil and Political Rights) per cui nessuno può essere sottoposto a tortura o altro trattamento disumano e degradante, e gli articoli 3 della Convenzione Onu contro la tortura e della Convenzione europea sui diritti umani (Cedu).
Una questione ormai politica
La relatrice, infatti, non appare convinta delle rassicurazioni statunitensi, che ritiene non sufficienti a tutelare Assange dal rischio di finire in un prolungato isolamento e ricevere una pena sproporzionata.
“Il caso è ormai una questione politica, non più giuridica – afferma ad Agenda17 Patrick Boylan, già docente presso l’Università Roma 3, attivista della Rete NoWar e giornalista impegnato su temi internazionali, soprattutto il caso Assange, sul quale ha scritto il libro ‘Free Assange’ -. Una commissione dell’Onu, infatti, ha già ufficialmente dichiarato che il caso Assange è detenzione arbitraria, sia quando stava all’ambasciata sia in prigione a Belmarsh, dove ad oggi non c’è limite alla detenzione cautelativa, per cui l’irregolarità è lampante.
Quindi gli abusi a livello legislativo ci sono. Si può forse sperare che gli inglesi, che sono puntigliosi e hanno un forte orgoglio nazionale, per amor di patria e della tradizione della Magna Carta decidano di concedere a Julian la possibilità di appellarsi contro la decisione di estradizione, già firmata dall’allora ministra Patel. Per questo sarà importante che il 20 febbraio, attorno al tribunale londinese, ci siano migliaia di persone, e io penso ci saranno: per dire ai giudici ‘il Mondo vi sta guardando’.”
Non solo Londra: mobilitazioni per la liberazione di Assange sono previste a livello internazionale la prossima settimana, comprese diverse località in Italia, mentre Roma ha finalmente concesso, dopo gli iniziali tentennamenti, la cittadinanza onoraria al giornalista.
L’importanza della mobilitazione dell’opinione pubblica
La mobilitazione dell’opinione pubblica, infatti, appare cruciale. “Assange è privato della sua libertà da dodici anni – afferma ad Agenda17 Simona Massaro, attivista ferrarese per Assange – senza mai aver ricevuto una condanna, come se fosse in carcerazione preventiva che, però, in tutti gli Stati democratici ha dei limiti. Qui invece siamo ben fuori da ogni diritto e per questo è chiaro che la questione è politica.
Come attivisti, dopo anni in cui non c’è stato alcuno spiraglio di processo equo, ci siamo accorti che quella di Assange è ‘la’ vicenda giudiziaria sui diritti umani. Siccome però nessuno si muoveva, soprattutto la cosiddetta informazione mainstream, si sono creati gruppi di cittadini motivati, di tutte le estrazioni sociali e professionali, che si danno da fare per costringere i Comuni a concedere le cittadinanze onorarie e la stampa locale, che ci ascolta di più, a parlarne.
Abbiamo cioè capito che o proviamo noi ad alzare la temperatura mediatica con le manifestazioni oppure nessuno ascolterà questo simbolo del mancato rispetto dei diritti umani e della libertà del giornalismo.”
Il ruolo dell’Australia
Tuttavia, anche se i giudici decideranno di riaprire il caso, di fatto Assange rimarrà in prigione per mesi, se non anni, in attesa di giudizio. Dopo la risoluzione statunitense per la fine della persecuzione, proprio in questi giorni il Parlamento australiano, con ottantasei voti a favore e quarantadue contrari, ha approvato una mozione per chiedere al Governo britannico di rimandare Assange nel suo Paese di origine.
“Il fatto che sia cittadino di un altro Paese – afferma Boylan – è fondamentale: si sta infatti usando una legge americana per perseguitare non un americano in America, ma una qualsiasi persona, che ha fatto qualcosa che dispiace agli Stati Uniti, in un qualsiasi altro Paese.
L’unica via d’uscita che vedo è che l’Australia sfidi gli Stati Uniti chiedendo con forza che il loro concittadino possa stare ai domiciliari lì in condizioni decenti. In Australia, al momento, è il Parlamento che sta mettendo pressione al Governo, che invece si arrende alle ragioni della controparte statunitense. Gli attivisti australiani hanno infatti portato avanti un lavoro bipartisan: c’è tutto lo spettro parlamentare rappresentato in quell’azione e anche per questo il Governo non sa a cosa appellarsi per controbattere.”
“C’è da dire – aggiunge Massaro – che questo aspetto è importante anche a livello locale. Quando abbiamo iniziato a creare iniziative per Assange, si sono avvicinate persone di tutte le estrazioni politiche e di diverse sensibilità.”
In gioco, infatti, ci sono la libertà di stampa e il nostro diritto a essere informati: salvo posizioni estremiste, dunque, si tratta di questioni che coinvolgono, o dovrebbero coinvolgere, tutti i partiti dell’arco costituzionale, così come coinvolgono elettori e cittadini di tutte le posizioni politiche.
Ultima possibilità in caso di estradizione è la Cedu, ma non sarebbe risolutiva
In caso di respingimento dell’appello, l’ultima possibilità sarà il ricorso alla Cedu. “Farvi appello – conclude Boylan – è però problematico. Il Regno Unito è infatti tra i firmatari della Convenzione, ma il recente progetto di riforma dello Human Rights Act, la legge inglese sui diritti umani, ha eliminato l’automatismo tra le decisioni della Cedu e la loro applicabilità nel Regno Unito.
I ministri hanno cioè preparato una legge di tutela dei diritti umani per poter uscire dalla Cedu, per cui la Corte europea potrebbe anche emettere un divieto di espatrio per Assange ma bisognerà vedere se sarà rispettato. Nel caso del Ruanda e dei migranti è stato fatto, ma quella è stata anche l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso: se il Regno Unito tira fuori dal cassetto questa legge, avrà carta bianca per ignorare la Cedu, che, quindi, non offre purtroppo alcuna garanzia sicura.”