Balcani a rischio di un nuovo conflitto. L'”europeizzazione” di quell’area è fallita, secondo il politologo Francesco Ronchi Nazionalismo etnico e violenza politica continuano e minacciano l'Europa. L’integrazione va rilanciata su basi nuove

Balcani a rischio di un nuovo conflitto. L'”europeizzazione” di quell’area è fallita, secondo il politologo Francesco Ronchi

Nazionalismo etnico e violenza politica continuano e minacciano l'Europa. L’integrazione va rilanciata su basi nuove

I Paesi dell’Europa politicamente dimenticati e le dinamiche che potrebbero riaccendere nuovi conflitti armati sono al centro del lavoro di Francesco Ronchi, docente di Politica europea alla Columbia University di New York e incaricato dal Parlamento europeo a sostegno della democrazia nei Balcani, che ha pubblicato le proprie analisi nel recente “La scomparsa dei Balcani”.

Lo abbiamo intervistato In occasione del secondo incontro dell’ iniziativa “Libri per la Pace”, una serie di letture e analisi pubbliche di undici volumi (uno per mese) esemplari per la storia del pensiero e degli studi sulla pace in Italia, o riguardanti i conflitti aperti e le loro ripercussioni politiche e sociali.

L’Europa ha abbandonato i Balcani o se ne è semplicemente dimenticata?

“I Balcani sono scomparsi dall’agenda politica dell’Europa nel suo complesso credo perché c’è stata paura dei Balcani, perché pesa ancora l’eredità mortifera e nefasta degli anni Novanta in cui per la prima volta dopo l’olocausto tedesco degli anni Quaranta si è riaffacciato nel cuore dell’Europa quello spettro: lo spettro del genocidio, dello scontro fratricida, e della guerra civile.

Francesco Ronchi, docente di Politica europea alla Columbia University di New York (© feps-europe.eu/)

Non dimentichiamoci che quelle guerre degli anni Novanta sono durate un decennio e sono finite provvisoriamente soltanto grazie all’intervento armato statunitense e ai bombardamenti della Serbia; l’Europa ha pensato che dopo quegli accadimenti le cose si fossero sistemate da sole nei Balcani e per paura ha preferito non vedere quello che stava succedendo; si è pensato che in qualche modo i Balcani si fossero ‘europeizzati’.” 

Che cosa significa europeizzazione? 

“Per me europeizzazione significa la costruzione di un ordine sociale e politico basato su due pilastri: la fine del nazionalismo, del nazionalismo etnico che per tanti anni ha insanguinato anche l’Europa occidentale e soprattutto il rigetto della violenza come strumento di risoluzione dei conflitti, dei conflitti politici tra partiti all’interno dei Paesi ma soprattutto tra Stati. 

E così si pensava che i Balcani fossero diventati europei in questo senso, quindi che avessero da soli superato il nazionalismo e anche che avessero messo da parte la violenza come strumento di risoluzione dei conflitti. 

Così non è stato, e gli accadimenti degli ultimi anni, degli ultimi mesi, con il ritorno dell’etnonazionalismo in Bosnia,un paese dagli equilibri molto precari, e con questa situazione molto difficile tra il Kosovo e la Serbia (con relazioni complicate che hanno portato anche al rischio del riaffiorare di un conflitto armato tra i paesi nel 2022) ci ricordano che, sì, l’Unione europea nel suo complesso ha rischiato di abbandonare una regione che è invece fondamentale per il futuro dell’Italia e di tutto il nostro continente.”

Quali sono i rischi per i Paesi balcanici e per quelli dell’ Europa in questa situazione così carica di molti elementi di tensione?

“Rischiamo di abbandonare a se stessi  i Balcani, che sono di fronte a casa nostra. Se si prende un gommone da Pontelagoscuro e si va in Croazia si impiegano tre ore. I Balcani sono anche in Italia geograficamente perché Trieste appartiene geograficamente ai Balcani e ha subìto quella storia di sangue, quella storia di scontri etnici per lungo tempo. 

Quindi c’è il rischio di abbandonare questa regione (così legata all’Italia e così legata all’Europa) al nazionalismo, all’autoritarismo e alla violenza con il rischio anche che si riaffacci nel cuore dell’Europa lo spettro del conflitto militare, un conflitto che come abbiamo già detto si è già manifestato negli anni Novanta, ma in un quadro internazionale che era diverso perché all’epoca come ricorderete vi era un sistema internazionale unipolare sostanzialmente controllato dagli Stati Uniti d’America e quindi con un sistema anche di valori liberali e di sicurezza collettiva, strutturato attorno agli USA.

Oggi, come vediamo ogni giorno con la guerra in Ucraina, il sistema internazionale è cambiato, non c’è più una chiara egemonia statunitense ma solo una fase di disordine in cui molti attori, la Russia, la Cina ma anche la Turchia e i Paesi del Golfo cercano di inserirsi. Ecco: oggi avere un conflitto nei Balcani vorrebbe dire aprire una stagione molto difficile, molto complicata e certamente non pacifica ma anzi violenta per tutta l’Europa.”

Un’azione positiva da parte della UE potrebbe modificare l’attuale situazione e come?

“I Balcani sono in Europa, e quindi anche se noi non volessimo occuparci di questa regione, molto estesa (ripeto che arriva a lambire l’Italia), questa regione si occuperà di noi. Lo farà (abbiamo detto) con il rischio di una guerra, ma anche esportando criminalità: ci sono grandi problemi di corruzione e di fortissime organizzazioni criminali presenti in questa regione e quindi, sì, l’Unione europea deve occuparsi di sé stessa in qualche modo perché deve occuparsi di Europa. 

Lo strumento principale è l’allargamento. L’Europa ormai è unita, però al suo interno, quando guardate la carta dell’Unione Europea, c’è un vuoto: sono i Balcani. Ed è interessante notare anche che nell’ultimo anno Paesi più distanti dall’Italia (e anche da altri Paesi europei) come ad esempio l’Ucraina sono diventati Paesi candidati all’Unione europea, mentre altri Paesi che sono in Europa e che aspettano in sala d’attesa da tanti anni, non sono neanche candidati ad essere Stati membri. Penso al Kossovo e penso anche alla Bosnia. 

Quindi bisogna riaprire un dialogo con questi paesi sull’allargamento.  Però l’allargamento in Unione Europea, se va fatto, va fatta bene. Bisogno rimettere al primo posto gli interessi delle popolazioni, gli interessi dei popoli europei, cioè dell’Unione Europea ma anche dei Balcani: bisogna quindi dire con chiarezza che, sì, le porte sono aperte ma soltanto se questi paesi si impegneranno davvero nel superamento del nazionalismo, nell’affermazione della democrazia, che non è un valore astratto ma vuole dire diritti umani per tutti e uguaglianza, anche nella lotta (questo è un elemento fondamentale) contro la corruzione e il crimine organizzato.

Quindi bisogna dire a questi Paesi, che siamo pronti a dare loro il massimo, cioè l’adesione all’Unione Europea, ma in cambio dobbiamo richiedere che ci offrano e ci diano il massimo: democrazia, lotta contro la corruzione e superamento degli aspetti più mortiferi e nefasti del nazionalismo che ha insanguinato e continua ad insanguinare questa regione così importante per l’Unione Europea.”

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