La libertà e l’indipendenza del giornalismo sono sempre più minacciate. In una recente intervista, il presidente dell’Ordine dei giornalisti italiani Carlo Bartoli denuncia la presenza di una “bomba a orologeria” nelle redazioni, cioè il disegno di legge sulla diffamazione attualmente in Commissione giustizia al Senato.
Nonostante sia prevista l’eliminazione della pena detentiva, infatti, l’aumento dell’ammontare delle sanzioni ai giornalisti è tale da costituire un effetto intimidatorio destinato a minare profondamente la libertà delle redazioni, mentre al contempo non è prevista alcuna misura per contenere il dilagante fenomeno delle cosiddette querele temerarie.
Anche se a livello mondiale l’Europa è la regione in cui risulta più facile lavorare per i giornalisti, infatti, sono in costante aumento tali querele, il cui scopo è l’intimidazione della stampa attraverso l’abuso di procedure legali. E il primato, con circa un quarto delle cause totali (25,5%), spetta all’Italia, dove ad oggi i giornalisti rischiano ancora il carcere per diffamazione.
I dati provengono dallo studio “Open SLAPP Cases in 2022 and 2023”, commissionato dal Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE) del Parlamento europeo, sull’incidenza in Europa delle Strategic Lawsuit Against Public Partecipation (SLAPP). Si tratta di rivendicazioni legali o minacce di azioni legali volte a contrastare la partecipazione pubblica, l’attivismo politico e il libero giornalismo attraverso un abuso del processo giuridico, ad esempio con infondate o esagerate richieste di danni e sfruttamento delle procedure di ricorso.
L’obiettivo è sopprimere o disincentivare la comunicazione di notizie e la partecipazione pubblica in materie di pubblico interesse (oltre ottanta quelle rilevate: in primis corruzione, ma anche appalti pubblici, diritti del lavoro, crimine organizzato, crimini finanziari, guerra in Ucraina e relazioni Ue-Russia, gestione della pandemia o condizioni delle carceri).
Il caso più emblematico, in tal senso, è quello di Julian Assange, per il quale si è ancora in attesa della pronuncia dell’Alta corte britannica: con lui, sono a rischio libertà di stampa, giornalismo scientifico d’inchiesta e diritto dell’opinione pubblica a essere informata su questioni di interesse comune.
Chi intenta queste cause, che diventano una forma di “punizione attraverso il processo”, fa leva sui costi procedurali della difesa e sulle minacce di danni per ritardare la pubblicazione ed esaurire le risorse finanziarie, di tempo e psicologiche dell’imputato.
Spesso, infatti, media e giornalisti finiscono per autocensurarsi, per cui le SLAPP vanno valutate soprattutto in base all’effetto dissuasivo sull’esercizio delle libertà fondamentali e del funzionamento della democrazia, del ruolo della legge e della tutela dei diritti umani.
I maggiori accusatori sono politici e pubblici ufficiali, i bersagli principali i giornalisti
Pur non essendo facili da quantificare, tanto che lo stesso report ipotizza numeri più elevati, tra il 1 gennaio 2022 e il 31 agosto 2023 negli Stati membri sono state identificate quarantasette azioni legali che hanno coinvolto ben 102 imputati.
Ad avviarle sono in quasi la metà dei casi politici e pubblici ufficiali (42,6%), seguiti da compagnie, professionisti legali, società civile, partiti politici, Governi locali e Stati.
Dal lato degli imputati, invece, a subirle maggiormente sono i giornalisti (44,1%), presi di mira singolarmente anche quando la pubblicazione avviene tramite un mezzo di comunicazione. I media rappresentano poi il 28,4% degli imputati, seguiti da organizzazioni non governative, caporedattori e direttori dei media ed editori.
Italia: urgente abolire la detenzione per diffamazione
La grande maggioranza delle cause riguarda la diffamazione (74,5%) e ben il 42% di esse avviene in Italia. Si tratta di un tema delicato per il nostro Paese, dove la diffamazione a mezzo stampa è punita con pene fino a tre anni (articolo 595 del Codice penale).
Nel 2022 la Commissione europea ha raccomandato che le pene per diffamazione non siano eccessive o sproporzionate, con ulteriore sollecito a rimuovere la detenzione, e nel 2023 il Rule Law Report ha posto l’accento sulla “annosa questione della criminalizzazione della diffamazione” in Italia.
La stessa Corte costituzionale ha messo in dubbio la costituzionalità della detenzione in questi casi, ritenendola incompatibile con la libertà di pensiero sancita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ha dunque invitato il Parlamento a riformare la materia ed è attualmente in corso di esame in Commissione giustizia una proposta di riforma del codice penale (disegno di legge 573). Tuttavia, le multe previste vanno dai 5mila ai 50mila euro, con evidente effetto intimidatorio soprattutto sui giornalisti freelance e sulle testate minori.
Servono legislazioni specifiche anti-SLAPP
Se pur gli abusi delle leggi sulla diffamazione siano la principale minaccia per la libertà di espressione in Europa, gli SLAPP possono ricorrere anche ad altre azioni legali, per cui riformare le leggi sulla diffamazione potrebbe non essere sufficiente.
Molti studi evidenziano infatti un incremento nell’uso di questi strumenti in tutto il Mondo, per cui diversi Paesi hanno iniziato a introdurre o contemplare misure specifiche anti-SLAPP, soprattutto emendamenti alle leggi sulla diffamazione e sanzioni per chi abusa delle procedure legali. Misure di questo tipo sono state adottate da Stati Uniti, Canada e Australia, e un certo numero di giurisdizioni del Sud-Est asiatico.
In Europa leggi modello sono state sviluppate dalla Coalition Against SLAPPs in Europe (CASE) e dalla Coalizione anti-SLAPP inglese e nell’aprile 2022 la Commissione ha introdotto delle norme anti-SLAPP, tra cui una proposta di direttiva in materia civile attualmente in fase di elaborazione, ma non è stata ancora introdotta in alcun Stato membro una legislazione specifica.
World Press Freedom Index nel 2023: situazione difficile per la stampa nella maggioranza degli Stati
Tutto ciò conferma la difficile situazione per la libertà di stampa già enunciata dal World Press Freedom Index 2023 rilasciato da Reporter Sans Frontières (RSF): nei 180 Paesi analizzati, la situazione dei giornalisti è risultata più o meno critica in oltre il 70% (128 Paesi), mentre è “buona” o “soddisfacente” in soli cinquantadue. L’ambiente giornalistico è quindi negativo in sette casi su dieci.
Secondo il segretario generale di RSF, il report mostra grande instabilità dovuta a una crescente aggressività da parte delle autorità in molti Paesi e a una grande animosità nei confronti dei giornalisti, oltre alla crescita dell’industria delle fake news.
In Italia a rischio l’autonomia dei giornalisti
L’Unione europea è considerata la Regione dove è più facile lavorare per i giornalisti. Per quanto riguarda l’Italia, al quarantunesimo posto, i giornalisti godono perlopiù di un clima di libertà, ma a volte si autocensurano sia per conformarsi alla linea editoriale della loro testata sia, come confermato dal report LIBE, per evitare cause di diffamazione o altre forme di azione legale o per paura di rappresaglie da parte di estremisti e del crimine organizzato.
A causa della crisi economica, infatti, i media sono sempre più dipendenti da entrate pubblicitarie e sussidi statali e questa precarietà indebolisce il giornalismo e la sua autonomia. C’è inoltre una certa paralisi legislativa nel nostro Paese, che frena l’adozione di progetti di legge per tutelare e incrementare la libertà di stampa, a partire dalla depenalizzazione della diffamazione.