“Se da una parte la conoscenza scientifica non è certo l’unico elemento di cui tener conto per cercare di dipanare le articolate dinamiche sociopolitiche della sostenibilità ambientale, delle epidemie, della povertà o delle disuguaglianze economiche, non ci sono dubbi riguardo al suo ruolo speciale nella possibilità di affrontare problemi complessi, di valutare soluzioni o, semplicemente, di dare significato alla discussione pubblica su temi di difficile, se non impossibile, soluzione”. Così Nico Pitrelli, responsabile scientifico e organizzativo del Convegno nazionale di comunicazione della scienza organizzato dal Laboratorio interdisciplinare per le scienze naturali e umanistiche della SISSA di Trieste, delinea il ruolo che la scienza occupa nell’affrontare le grandi tematiche che sono al centro dell’Agenda Onu 2030.
il Convegno, che si svolgerà a Trieste dal 28 novembre al 1 dicembre, prevede quaranta incontri articolati in quattro formati: sessioni plenarie, dialoghi, laboratori interattivi e mosaici.
Del “ruolo speciale” che la scienza riveste nell’affrontare i grandi problemi delle nostre società, e di come esso venga sviluppato nel Convegno, di cui Agenda17 è media partner, abbiamo parlato con il responsabile Nico Pitrelli.
Il prossimo convegno affronterà i temi della comunicazione scientifica sia dal punto di vista di quelle che potremmo chiamare le “professionalità” dei comunicatori che da quello della riflessione sulla scienza nel contesto sociale. Su questo ultimo aspetto molto si è riflettuto in questi anni, ed è ormai largamente condiviso che la ricerca scientifica va vista sempre nel contesto in cui si colloca.
Gli Obiettivi dell’Agenda Onu 2030 delineano il contesto universale per indirizzare l’Umanità verso un futuro caratterizzato da maggior equità, pace, giustizia e rispetto ambientale. Certamente sono di obiettivi ambiziosi, ma si tratta pur sempre di “linee guida” a cui è utile riferirsi. Da questo punto di vista la scienza e la ricerca che importanza hanno, come si collocano?
“Non c’è dubbio che l’expertise scientifica sia sempre più necessaria per affrontare le grandi sfide della contemporaneità. I decisori politici hanno bisogno di essere guidati da figure tecniche per raggiungere obiettivi sociali ambiziosi come quelli delineati dall’Agenda 2030 e hanno bisogno di informazioni sui rischi e sulle conseguenze delle proprie decisioni, inclusi potenziali effetti collaterali, costi e probabili impatti.
Più nello specifico, forse dovremmo chiederci quale scienza può o dovrebbe essere offerta ai decisori politici, come può essere usata al meglio, cosa vogliono davvero sapere i policy-makers, per quale scopo e in che contesto, quanto è utile effettivamente la conoscenza scientifica nel processo decisionale, quale statuto attribuire alla scienza in situazioni politicamente controverse, polarizzate e in condizioni di incertezza.
Credo che siano queste le domande da approfondire per cogliere il ruolo e l’importanza della scienza contemporanea.”
Quali fra i diciassette Obiettivi dell’Agenda sono quelli più direttamente interessati a questa prospettiva?
“Sicuramente quelli che riguardano i cambiamenti climatici, l’energia, la salute, l’agricoltura, il mare e gli oceani.
Ma direi che un po’ in tutti gli obiettivi la scienza appare imprescindibile per definire politiche pubbliche adeguate, anche se allo stesso tempo, proprio su molti dei temi elencati la conoscenza a disposizione è incompleta, ambigua, incerta. Sono situazioni, come quella vissuta per il Covid, in cui gli esperti non possono offrire risposte chiare, univoche e rapide.
Di fronte a questa incertezza, diventa cruciale chiedersi se sia possibile trovare una via percorribile senza cedere da una parte alla paura, al rancore e ai complottismi né dall’altra, all’opposto, rifugiarsi in una rischiosa e deresponsabilizzante delega tecnocratica.
È un equilibrio difficile che riguarda temi molto ampi, come i dilemmi degli esperti chiamati dai policy-makers a fornire pareri su temi urgenti, i nuovi diritti delle persone di conoscere e dire la propria sulle affermazioni degli scienziati, l’istituzionalizzazione degli organismi che offrono consigli ai decisori politici e molto altro.”
La comunicazione scientifica come può inserirsi positivamente in questa prospettiva? quali “errori” invece non deve compiere?
“La comunicazione scientifica deve abbandonare la sua vocazione paternalistica a cui ancora troppo spesso fanno riferimento molti scienziati. I processi di diffusione della conoscenza sono molto più articolati rispetto a quanto previsto in un setting puramente educativo.
Discutere, influenzare, persuadere e raccontare storie sono ormai parte integrante degli scopi di chi diffonde scoperte e concetti scientifici che richiedono, sia sul piano teorico che tecnico, competenze molto differenti da quelle della ‘traduzione’.
Gli attori che popolano l’ecosistema della comunicazione della scienza sono poi molteplici, non sono solo scienziati, e hanno ragioni diverse per cercare l’attenzione del pubblico. Nelle società democratiche ad alta densità di conoscenza, la comunicazione della scienza diventa pertanto centrale nell’acquisizione di più ampie ‘capacità civiche’ intese come specifiche abilità, competenze e conoscenze in grado di rendere i cittadini più propensi a una partecipazione continuativa alla vita pubblica.
Entrare in contatto con la scienza e la tecnologia nelle modalità più varie rappresenta in altre parole uno stimolo a un processo continuo di miglioramento della comprensione del proprio ruolo come soggetto politico, uno strumento attraverso il quale aumentare la consapevolezza del proprio potenziale.”
Su questi aspetti quali saranno gli appuntamenti più interessanti al Convegno?
“Il primo giorno del Convegno, martedì 28, c’è un panel sulla comunicazione dei cambiamenti climatici e la biodiversità e uno sul rapporto tra policy makers, comunicatori e scienziati. Questi due appuntamenti vanno certamente nelle direzioni sopra delineate. Segnalo inoltre diversi appuntamenti sulla cittadinanza scientifica e sulla sostenibilità ambientale in diversi talk.”