I rifugiati nel mondo sono aumentati del 21% alla fine del 2022, il che significa che una persona su 74 è sradicata dal proprio Paese, a causa di guerre, violenze, persecuzioni, violazioni dei diritti umani e catastrofi naturali. Le persone costrette a emigrare dal luogo d’origine alla fine di giugno 2023 sono complessivamente 110 milioni in tutto il Mondo e di queste tre su cinque si insediano in aree urbane. E quanto emerge dal rapporto “Mid-Year Trends 2023” recentemente pubblicato dall’ Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, (UNHCR, United Nations High Commissioner for Refugees).
Possiamo quindi comprendere come tale fenomeno stia avendo un grande impatto sulle città e le loro trasformazioni. Nello studio dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) “Le città globali e la sfida dell’integrazione”, si sottolinea la stretta relazione tra pianificazione urbana e integrazione dei migranti.
Le città infatti rappresentano il luogo per eccellenza dell’incontro e della vita dove si concretizzano i diritti e le opportunità delle persone. Più la città è interconnessa, accessibile, aperta e ricca di spazi di condivisione, più l’integrazione sarà facile.
Città sempre più grandi e meno inclusive
Diventa sempre più urgente allora una pianificazione dei territori urbani inclusiva, che offra a tutti gli stessi servizi e che non releghi le fasce più deboli a zone isolate.
Nella nostra epoca, però, le città sono tendenzialmente organismi sempre più grandi e complessi che privilegiano un tipo di urbanizzazione discriminante e poco inclusiva, con la dislocazione nelle aree periferiche delle città o in località difficilmente accessibili di edifici con funzioni come ad esempio quella dell’accoglienza dei migranti, rendendo più difficile usufruire dei servizi essenziali.
Per fare un esempio concreto, i centri di permanenza per il rimpatrio CPR, secondo il Report “Trattenuti” di Action Aid Italia, sono situati in luoghi “idonei” (in genere aree scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili e perimetrabili) o in aree militarizzate sottratte al controllo della società civile. Il rischio è quello di una ulteriore riduzione della trasparenza e dell’accessibilità di luoghi dove le persone vengono private della libertà personale in attesa del rimpatrio.
Vi sono però in Europa anche esempi di esperienze positive. Un caso significativo di politiche urbane volte all’integrazione dei nuovi arrivati è Vienna, città che già gode di buona fama per la lungimirante politica della casa adottata un secolo fa e portata avanti ancora oggi, tanto che l’80% dei residenti ha diritto a un alloggio popolare.
Vienna: molti migranti, molte informazioni e risorse per inclusione
Vienna è entrata in una fase di veloce crescita demografica dato che l’Austria è un Paese meta di consistente immigrazione. Basti pensare che circa il 39% degli abitanti della capitale austriaca ha un cosiddetto background migratorio e il 35% della popolazione nazionale è nata in un altro Paese.
In risposta a questi processi di trasformazione sono state sviluppate negli anni politiche per l’inclusione, mettendole in atto tramite i vari dipartimenti comunali, al fine di dare più importanza a queste azioni in ambito cittadino, locale.
Un esempio è il Dipartimento 17 del comune di Vienna, dove a ogni nuovo immigrato internazionale è offerto un servizio di consulenza. Gli impiegati e i liberi professionisti del dipartimento forniscono informazioni agli immigrati nel corso della cosiddetta sessione di “Start coaching”, disponibile in più di venti lingue, così da poter trasmettere le conoscenze spesso nella lingua madre dei nuovi arrivati. Vi è inoltre l’assegnazione di un voucher per un corso di lingua. Generalmente è risaputo che la conoscenza della lingua è un fattore chiave nell’integrazione, si tratta di una misura mirata a sostenere la volontà di entrare a far parte della società.
L’idea di creare veri spazi di accoglienza più integrati nelle realtà urbane e locali o di mantenere quelli vecchi è quindi ancora un problema pressante, soprattutto perché la migrazione è il principale fattore di crescita demografica nelle metropoli di tutto il Mondo. Il fatto che un modello di città più inclusiva e accogliente esista e si stia sviluppando anche altrove in Europa deve essere uno stimolo a ripensare le nostre città e i nostri sistemi di accoglienza.