A caricare di nuove preoccupazioni circa il futuro del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è la proposta di revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), presentata dal Governo lo scorso 27 luglio, che prevede tagli significativi per le Case della comunità (Cdc), gli Ospedali di comunità (Odc) e le Centrali operative territoriali (Cot) componenti essenziali della riorganizzazione della sanità territoriale.
La proposta del Governo è la conseguenza dell’aumento dei costi di realizzazione delle nuove strutture assistenziali territoriali ma anche dei significativi ritardi che si sono già accumulati nella realizzazione delle opere del Pnrr.
Le Case della comunità si ridurranno dai 1.350 interventi a 936 e la rimodulazione riguarderebbe prevalentemente i nuovi edifici, per i quali la realizzazione entro giugno 2026 è a rischio.
Le risorse Pnrr che rimarrebbero dalla riduzione del target e dalla copertura dei maggiori costi potrebbero essere utilizzate per rafforzare i Poliambulatori specialistici pubblici, in stretto collegamento alle Case della Comunità, in particolare per la sostituzione o implementazione di apparecchiature di radiodiagnostica di base e/o radiologia domiciliare e laboratoristica.
La proposta del Governo prevede la rimodulazione da 400 a 304 ospedali di comunità, destinando le risorse ai progetti di ristrutturazione di edifici esistenti che, alla luce delle ultime attività di monitoraggio, non presentano complessità attuative, ma sarebbero così esclusi i novantaquattro nuovi edifici previsti.
Inoltre calano da 600 a 524 le Centrali operative territoriali, numero che si avvicina al numero dei distretti sanitari esistenti in Italia (538 nel 2020).
La fase della selezione delle opere da realizzare immediatamente sarà una fase rilevante al fine della riorganizzazione della rete dei servizi territoriali, con il rischio non remoto di aumentare le diseguaglianze fra territori.
La modifica del Pnrr che rinvia al futuro la realizzazione di ben 586 strutture assistenziali territoriali inciderà infatti profondamente sia nell’organizzazione sanitaria sia nel clima di fiducia fra il Ssn, i cittadini e le amministrazioni locali.
Insufficiente ricambio generazionale e scarsa attrattività delle professioni sanitarie
Infine, secondo un rapporto dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) dello scorso marzo emerge che nel biennio 2020-2021, nonostante la crescita complessiva a livello nazionale di circa 3mila unità di personale sanitario, alcune Regioni sono più in difficoltà.
Su ventuno Regioni ben undici presentano carenza di personale infermieristico. Ci sono meno infermieri soprattutto in Piemonte (-526), Sardegna (-532), Toscana (-497), Sicilia (-480) e Liguria (-284). I medici mancano invece soprattutto in Piemonte (-197) e in Sardegna (-191).
Da un’elaborazione di Agenas con un parametro pensionistico a sessantacinque anni, si stima che nel quinquennio 2022-2027 siano oltre 29 mila i medici che andranno in pensione e oltre 21 mila gli infermieri.
L’Italia impiega meno infermieri rispetto alla media europea
In rapporto alla popolazione italiana nel 2021 (circa 60 milioni) il personale medico ed infermieristico del Ssn è complessivamente di 6,7 ogni 1000 abitanti, con una media regionale di 1,97 per i medici e di 5,12 per gli infermieri.
Nel 2021 ogni medico di medicina generale ha mediamente in carico 1237 assistibili. Dai dati del Ministero della Salute sono ridotti sia i medici di Medicina generale (Mmg) sia i Pediatri di libera scelta (Pls). Rispetto al 2019 mancano sul territorio 2178 Mmg e 386 Pls.
Un infermiere italiano, rispetto al medico, ha più assistiti da seguire in rapporto alla media in quasi tutti i Paesi dell’Europa occidentale, gli infermieri italiani sono inferiori con un gap di – 2,6 infermieri ogni 1000 abitanti. Sostanzialmente mancherebbero in Italia quasi 150 mila infermieri.
Da rilevare , inoltre, che rispetto ai bisogni di una popolazione che invecchia ci sono più medici che infermieri e il rapporto infermieri/medici è di 1,6 rispetto al 3,4 della Francia. È inferiore all’Italia soltanto la Spagna (1,3).
I professionisti emigrano all’estero
Secondo il database OCSE aggiornato al 2022, medici e infermieri italiani continuano a emigrare all’estero verso stipendi e prospettive di avanzamenti professionali migliori. Nel 2021 la popolazione sanitaria italiana che lavorava all’estero era di 21.397 medici e di 15.109 infermieri.
Ottima e sintetica analisi. Si auspica che la introduzione della figura dell’infermiere di comunità aiuterà a ridurre almeno in parte il gap tra numero di infermieri e numero di assistiti. Se vogliamo cercare di tamponare almeno nell’immediato la carenza di medici il modo più immediato è quello di togliere loro tutte le mansioni delegabili a personale non sanitario o comunque non medico. Provate a vedere all’estero se si permettono di sprecare il (da loro ben più costoso) tempo dei medici a fare ricette, prenotazioni, certificati, rilasciare esenzioni, fare firme elettroniche ed ogni genere di mansioni che con la clinica ed il dialogo con il paziente hanno ben poco a che fare, ma che sono arrivate ad occupare il 50% ed oltre del tempo di visita.