I recenti casi di cronaca, che hanno visto protagonisti giovani coinvolti in vicende drammatiche causate da un uso improprio degli smartphone, hanno rilanciato un dibattito che da tempo oscilla tra le posizioni di chi fa appello all’educazione dei bambini e dei ragazzi senza porre limitazioni all’utilizzo delle tecnologie e chi propone invece precise regolamentazioni e vincoli.
A marzo in Francia è stata avanzata una proposta di legge per prevenire l’eccessiva esposizione dei bambini agli schermi, che prevede, fra l’altro norme restrittive negli istituti per la prima infanzia e nelle scuole materne ed elementari per l’uso di telefoni, tablet e computer da parte degli operatori addetti alla sorveglianza.
Nel nostro Paese, il Centro di ricerca Benessere digitale, l’associazione Media educazione comunità (Mec), l’Associazione cittadini mediali Aiart e Sloworking hanno promosso il progetto “Patti digitali” di educazione di comunità, basato sull’idea che l’educazione digitale è efficace solo se offerta in modo coordinato. “La forza del gruppo sta nel poter realizzare delle cose che il singolo genitore già sente come opportune: con il gruppo ci si confronta, si può trovare una quadra e applicarla per migliorare la vita del proprio figlio e figlia, che in questo modo da un lato incontra meno pericoli nel web e, dall’altro, non riceve tutta la consueta e immediata pressione da parte degli altri in quanto ugualmente coinvolti nel progetto” dichiara ad Agenda17 Marco Gui, docente di Sociologia dei media presso l’Università Milano-Bicocca e direttore del Centro di ricerca “Benessere digitale”.
Lo scopo di queste organizzazioni è “promuovere la nascita e lo sviluppo di Patti di comunità per l’uso della tecnologia su tutto il territorio nazionale” poiché “la sfida per un utilizzo più sano del digitale si vince soltanto insieme.”
I genitori protagonisti nel definire vincoli e regole comuni
Già in diversi Comuni gruppi di genitori hanno aderito al progetto, stabilendo regole comuni che ogni aderente al patto si impegna a rispettare. Ad esempio, si mettono d’accordo sull’età di consegna degli smartphone ai preadolescenti, sul loro accesso ai social o sul fatto di non usare alcun device durante i pasti e a letto. In questo modo, diminuisce la pressione sociale rispetto al sempre più precoce ingresso dei giovani nella tecnologia e si apre lo spazio per un dialogo tra famiglie.
“Il riscontro avuto – prosegue Gui – è veramente superiore alle nostre aspettative. Ci eravamo organizzati per dare supporto a dieci gruppi in due anni e siamo già a venticinque in un anno. La chiave sta nell’andare nel concreto rispetto a quello che i genitori possono fare in un contesto che, di fatto, è indipendente dal loro controllo.
Ci sono infatti azioni che si possono mettere in pratica insieme: ad esempio, possiamo decidere una gradualità di accesso alla tecnologia, quindi posticipare l’accesso allo smartphone personale e ai social, in questo secondo caso rispettando anche finalmente le leggi. È questo che fa più presa sui genitori: il fatto di vedere che concretamente si può intervenire già da subito, nel breve periodo.
Dopodiché questa è solo la punta dell’iceberg, perché è una decisione che riguarda anche la formazione, la condivisione, il network e l’informazione: tutti aspetti indispensabili e che incentivano la partecipazione.”
È dunque fondamentale che l’intera comunità valuti attentamente la necessità di una maggiore gradualità nell’avvicinamento al digitale e di un’azione di prevenzione della potenziale dipendenza dei giovani da esso, oltre che dei fenomeni di adescamento online e cyberbullismo.
Poche regole, ma chiare e coerenti
Ciascun patto è declinato in base alle esigenze delle singole comunità, ma tutti si basano su tre pilastri principali. Anzitutto la necessità di stabilire un momento in cui i preadolescenti possono, e in che modo, fare esperienza dei diversi strumenti digitali.
In secondo luogo, è importante partecipare a momenti di educazione digitale tramite incontri di approfondimento e scambio di esperienze. Infine, si devono definire degli accordi tra genitori e figli per regolare l’uso dei dispositivi digitali: ad esempio, smartphone trasparente ai genitori, orari e luoghi definiti e uso di applicazioni, social e giochi che rispettino le leggi e l’età dell’utente.
Le regole ulteriori devono poi essere poche, chiare e coerenti, e accompagnate da un dialogo costante. Gli adulti devono formarsi su rischi e responsabilità legali, sulle applicazioni e gli ambienti digitali, e soprattutto devono essere responsabili in prima persona rispetto alle loro abitudini digitali, ad esempio evitando l’uso dello smartphone a tavola, per poter essere credibili agli occhi dei figli.
“Una volta aderito al patto, sono i genitori – aggiunge Gui – a prendere l’iniziativa. Questo era voluto dall’inizio perché le regole dipendono anche dal contesto attorno alla singola comunità. Inoltre possono essere messe a frutto le diverse professionalità dei genitori, ad esempio le loro competenze informatiche hanno permesso di organizzare una serata sul parental control nella comunità di Ponte nelle Alpi (Belluno).
Inoltre, il fatto che il gruppo sia inserito in un’ulteriore e più ampia rete conferisce ancora più forza. Il 21 giugno organizzeremo il primo evento di ritrovo online, al quale ne seguirà uno in presenza probabilmente a novembre, con l’obiettivo di consolidare questa rete.”
Educazione al digitale anche per i neonati
Se, come spiega Gui, questi progetti hanno successo soprattutto con famiglie i cui figli frequentano la scuola dalla terza elementare alla prima media, perché è la fascia in cui inizia un approccio più impegnativo ai device e in cui si può ancora impostare una certa gradualità, non mancano però le avvertenze anche per i primi anni di vita.
L’introduzione all’uso delle tecnologie deve infatti tener conto delle diverse fasi di sviluppo, a partire dalla nascita. Gli effetti dannosi più frequenti dell’utilizzo precoce e prolungato degli strumenti digitali sono le interazioni con lo sviluppo neuro-cognitivo, l’apprendimento, il benessere, la vista e l’udito, le funzioni metaboliche e quelle cardiocircolatorie.
I media device, inoltre, usati spesso per calmare o distrarre i bambini, interferiscono nel rapporto tra genitore e figlio e ne compromettono lo sviluppo cognitivo, linguistico ed emotivo.
“Per questo – conclude Gui – è nato il progetto Custodi digitali, che sta prendendo una svolta nazionale. È complementare con i Patti digitali ed è già stato fatto molto lavoro coi pediatri. In un nostro articolo abbiamo cercato di arrivare a una convergenza sulle regole pratiche da applicare, cioè su un’educazione digitale familiare fin dalla nascita.”
In questo caso, è il pediatra la figura fondamentale: punto di riferimento per le famiglie nello sviluppo fisico del neonato, assume un ruolo centrale anche in ambito educativo perché può fornire ai genitori le informazioni sull’uso più corretto dei dispositivi digitali, anche attraverso schede informative specifiche per ogni fascia di età.
Sono d’accordo sullo strumento indicato, perchè si può immaginare compensi la solitudine dei genitori, che spesso confondono la vicinanza e l’educazione con la proibizione, e che spesso finiscono per demonizzare i dispositivi in una paura irrazionale. Mi convince maggiormente, dell’idea, il coinvolgimento dei pediatri: sempre più spesso si vedono piccolissimi e piccolissime prese dallo smartphone dei genitori per l’apparente difficoltà a intrattenerli e a trattenerli. Credo che ai genitori siano necessarie indicazioni precise e specifiche, rassicurazioni, affiancamento, per acquisire competenze che non nascono dal nulla, ma che se non vengono assunte lasciano i bimbi abbandonati a se stessi.
Sì è vero. Il problema è che i genitori subiscono forti pressioni sociali, per cui diventa difficile impostare una linea educativa che prescinda dall’esterno e dal fatto che tutti gli amici dei figli possiedono il telefono molto presto, solitamente già a 8 anni: a quel punto, porre limiti e regole nell’uso del digitale (essenziali, pur senza demonizzarlo) diventa difficile. Anche sui pediatri sono pienamente d’accordo: per i genitori sono l’unica figura autorevole in materia di salute dei bambini e la salute significa anche trasmettere consapevolezza dei danni che arreca il telefono nei primi mesi e anni di vita.