A partire da febbraio, il Comune di Bologna ha avviato il restauro della centrale idroelettrica del Cavaticcio, che dovrebbe riprendere a funzionare entro la fine del 2023. Sfruttando il naturale salto di quindici metri del canale che passa nel sottosuolo, il Comune stima che sarà in grado di aumentare la produzione di energia della città di circa 2mila MWh l’anno. Con 1 MW di potenza, si tratterebbe inoltre del più grande impianto all’interno di un centro storico in Italia.
“Questo intervento, promosso, finanziato e attuato dal Consorzio canale Reno proprietario della centrale attraverso la sua società di gestione Gacres – si legge sul sito del Comune di Bologna -, si pone in linea con gli obiettivi del Climate City Contract, recentemente lanciato dall’amministrazione comunale nell’ambito della Missione UE 100 città a impatto climatico zero entro il 2030.”
Le criticità
L’impianto odierno sarebbe stato realizzato attorno agli anni Novanta, sfruttando, come dicevamo, il naturale salto lungo il corso del canale Cavaticcio, che origina dal canale di Reno (derivante a sua volta dal Fiume Reno) e che confluisce con il canale Aposa-Moline per dare origine al canale Navile.
Secondo quanto riportato in un documento a cura della società che gestisce l’impianto (Gestione acque canali Reno e Savena, Gacres), ci sono alcune criticità da tenere in considerazione per quanto riguarda la capacità produttiva attuale dell’impianto, sia dal punto di vista ambientale che tecnico.
Fra le prime, viene menzionata la riduzione della portata effettivamente derivabile dal fiume Reno, da cui appunto il canale ha origine.
Tale riduzione è dovuta a una sempre maggiore variabilità temporale della portata d’acqua che scorre nel fiume e, contestualmente, alla necessità di rispettare il Deflusso minimo vitale (la portata minima che deve essere lasciata nel corso d’acqua per mantenere vitali le condizioni di funzionalità e qualità degli ecosistemi interessati) imposto dalla legge.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, invece, il documento cita il fatto che la quantità di acqua scaricabile nel canale Navile (che costituisce il vettore di allontanamento delle acque dalla città) è limitata da parametri specifici che garantiscono la sicurezza idraulica e che non esistevano quando l’impianto è stato originariamente costruito.
“Questi fattori – prosegue il documento – hanno portato ad avere, rispetto alla portata nominale di rendimento massimo prevista di 10.5 mc/sec. in fase progettuale dell’impianto, una portata massima derivabile poco superiore agli 8 mc/sec. con portate medie di circa 5 mc/sec. per un periodo massimo di circa 180 giorni rispetto ai 245 giorni pensati in fase progettuale che hanno fatto crollare il rendimento dell’impianto drasticamente”. Il restauro avrebbe proprio l’obiettivo di ri-ottimizzare, per quanto possibile e visti i limiti sopracitati, la capacità produttiva dell’impianto.
La turbina non verrà infatti sostituita ma sarà sottoposta a un intervento di ammodernamento (revamping) che le permetterà di funzionare con portate minori rispetto a quelle per cui era stata progettata. In questo modo potranno aumentare sensibilmente le ore di funzionamento annue dell’impianto, incrementando la produzione di energia e scongiurando lunghi e frequenti periodi di fermo che rischiano di deteriorare i macchinari in modo irreversibile.
Mini-idroelettrico: discussione aperta sulla sostenibilità
Questa notizia ci dà l’occasione per parlare dei cosiddetti impianti mini-idroelettrici, quelli che sfruttano la portata normalmente fluente in un fiume o in un canale e che hanno una potenza compresa tra 100 kW e 1000 kW (1 MW). Negli ultimi anni, ne sono infatti sorti molti su tutto il territorio italiano a seguito dell’approvazione di sovvenzioni nel contesto della valorizzazione della produzione di energia elettrica a partire da fonti rinnovabili.
Seppure si tratti di impianti che sfruttano una risorsa rinnovabile, il loro proliferare sta però scatenando un dibattito su quanto siano effettivamente sostenibili. Se da una parte l’energia idroelettrica è universalmente riconosciuta come energia pulita (non viene rilasciata anidride carbonica), dall’altra l’installazione e l’esercizio di questi impianti può determinare, a seconda della tipologia, l’interruzione della continuità fluviale e/o l’allontanamento della risorsa idrica dai corsi d’acqua naturali, causando quindi potenzialmente danni significativi al territorio e all’ecosistema.