La Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) ha pubblicato una revisione della letteratura scientifica sull’esposizione umana da microplastiche attraverso le fonti dietetiche.
Il rapporto “Microplastics in Food Commodities. A Food Safety Review on Human Exposure through Dietary Sources” ricostruisce la letteratura esistente sulla presenza di microplastiche e dei loro contaminanti associati negli alimenti fornendo informazioni sui loro possibili effetti biologici sull’uomo.
Dall’Università di Catania il contributo italiano al rapporto FAO
Sul rapporto FAO abbiamo intervistato Margherita Ferrante, ordinario di Igiene generale e applicata nel Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e tecnologie avanzate “Gian Filippo Ingrassia”, Responsabile del Laboratorio di igiene ambientale e degli alimenti (Liaa) dell’Università degli Studi di Catania, membro della task force Ambiente e Salute del Ministero della Salute.
Ferrante e i suoi collaboratori da diversi anni si occupano del problema dell’inquinamento da plastiche e delle sue ripercussioni su matrici ambientali, pesci e alimenti. Diverse loro pubblicazioni figurano nella bibliografia del documento FAO a cui ha collaborato, come contributor, Gea Oliveri Conti, ricercatrice del Liaa dell’Università di Catania.
La docente non nasconde di avere avuto in un caso difficoltà nel vedersi accettato il risultato delle ricerche sulle microplastiche ai fini della pubblicazione non tanto per la validità del lavoro quanto per i contenuti ritenuti “scomodi”. Un problema che poi è stato superato e lo studio è stato sottoposto a revisione, valutato positivamente e pubblicato.
Microplastiche in frutta e verdura
Il documento FAO cita come unico studio sui vegetali quello curato dal gruppo di ricerca della professoressa Ferrante, che ha studiato la presenza di microplastiche nelle mele, pere, broccoli, lattuga e carote.
Gli autori hanno rilevato microplastiche in questi alimenti (rilevate in microplastiche per grammo, MP/g), con concentrazioni medie più elevate nella frutta (mele: 195 500 MP/g; pere: 189 550 MP/g) rispetto agli ortaggi (broccoli: 126 150 MP/g; carote: 101 950 MP/g; lattuga: 50 550 MP/g).
A proposito dello studio, la professoressa Ferrante ricorda che “non è stata evidenziata differenza fra prodotti in base alla sede di acquisto come grande distribuzione, mercatini rionali o dei mercatini del biologico: le plastiche le abbiamo trovate abbondantissime in tutti.
Diversamente dall’atteso, pensavamo di trovarne di più nelle patate e nelle carote, abbiamo registrato una maggiore contaminazione nella frutta con polpa, mele e pere, dato che ha trovato ulteriore conferma grazie ad uno studio sperimentale con nanoparticelle carboniose che ha evidenziato come la maggior parte delle microplastiche assorbite dall’apparato radicolare della pianta si concentrano dove si concentra la sostanza nutritiva.”
Un brevetto per la ricerca e la determinazione delle microplastiche inferiori ai 10 μm
Il gruppo di ricerca dell’Università di Catania ha, peraltro, messo a punto e brevettato nel 2019 un “Metodo di estrazione e determinazione di microplastiche in campioni con organico e matrici inorganiche” che ha colmato l’assenza di metodi di estrazione efficaci ed efficienti di MP (soprattutto per particelle di plastica con diametri inferiori a 10 micrometri, μm) da matrici complesse come acqua, matrici alimentari, tessuti animali e umani, sangue.
Tale metodo di indagine ha creato un utile presupposto per eseguire una stima di rischio e la conseguente valutazione dell’impatto sulla salute associato all’esposizione di questi contaminanti emergenti.
Microplastiche nei prodotti della pesca, più abbondanti nei molluschi
Dopo lo studio sui vegetali i ricercatori dell’Università di Catania hanno indagato i prodotti della pesca, evidenziando un’abbondante presenza di microplastiche, senza differenze significative fra le specie selvatiche e di allevamento, verosimilmente per la presenza di microplastiche nei mangimi dove sono state reperite.
Ma la maggiore presenza è stata rilevata in studi relativi a molluschi del Mediterraneo per i quali sono state calcolate le assunzioni giornaliere stimate (EDI) per adulti e bambini.
Le microplastiche causa di tossicità embrionale e alterazioni cellulari irreversibili
Al fine di chiarire l’impatto delle microplastiche nelle fasi critiche di sviluppo delle specie di pesci d’acqua dolce, il gruppo di ricerca ha realizzato uno studio sulla tossicità per l’embrione del pesce zebra Danio rerio, esposto a microparticelle di polistirene da 10 μm a 200 particelle/mL che ha evidenziato alterazioni nello sviluppo delle larve con gravi deformità, principalmente della colonna e della coda, e una compromessa integrità della struttura visiva degli occhi, oltre a livelli aumentati di trascrizione genica coinvolta nello stress ossidativo e nella disintossicazione cellulare.
Tali risultati hanno convinto della necessità di sviluppare ulteriori linee di ricerca su cellule umane in collaborazione con il professore Banni dell’Università di Monastir (Tunisia) e il professore Minucci dell’Università Vanvitelli. La ricerca sulla risposta delle cellule mesenchimali (cellule staminali adulte estremamente versatili) ha dimostrato che la microplastica ambientale potrebbe essere biodisponibile per l’assorbimento cellulare e potrebbe portare ad alterazioni irreversibili.
Studi su cellule epatiche e staminali parzialmente già indirizzate nella loro differenziazione (condroblasti ovvero cellule della cartilagine) hanno dato luogo ad adipociti, cioè cellule deputate alla sintesi dei trigliceridi.
Le nuove piste di lavoro : effetti delle microplastiche sul microbioma e su tessuti nervosi
“Con l’Università Cattolica di Piacenza, continua Ferrante, abbiamo in corso uno studio sulle possibili modifiche del microbioma intestinale e sul grado di assorbimento delle microplastiche attraverso l’intestino con i possibili effetti su altri tessuti ad organi.
Se la via alimentare è sicuramente fra i più importanti veicoli di microplastiche al nostro organismo, non dobbiamo sottovalutare le altre, da quella respiratoria attraverso l’aria atmosferica per cessioni da mobili, vernici e indumenti, il cui lavaggio carica di microplastiche le acque reflue. Ancora la via dermica, in quanto fino a poco tempo fa microparticelle plastiche erano impiegate nei prodotti della cosmetica.
In uno studio su cellule neuronali, che il nostro gruppo di ricerca sta facendo con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), abbiamo dimostrato che il nanoparticolato (particelle plastiche inferiori ai 10 micron) è in grado di passare direttamente attraverso le terminazioni nervose delle cellule olfattive ed entrare direttamente nel cervello.”
Si tratta di una pista di lavoro che Ferrante intende approfondire per indagare possibili correlazioni fra contaminazione da microplastiche dei tessuti nervosi e malattie neurodegenerative la presenza anche in tessuti autoptici.
Urgente ridurre l’impiego di acqua in bottiglie di plastica
Nel frattempo “è urgente cominciare a ridurre l’uso della plastica, a partire dal consumo dell’acqua in bottiglie di plastica, fonte significativa di microplastiche, non giustificato da un’effettiva necessità considerato che il nostro Paese può generalmente contare su un’acqua potabile di buona qualità.”
L’Italia, vale la pena ricordarlo, è uno dei Paesi in cui si consuma più acqua in bottiglia: 200 litri all’anno pro capite e 8 miliardi l’anno di bottiglie di plastica, con impatto ambientale rilevante.
La contaminazione alimentare da microplastiche nel rapporto FAO
La contaminazione dell’ambiente con materie plastiche intere o parti di esse (micro e nanoplastiche) è oggetto di ampie discussioni nel mondo accademico e dei media.
Il consumo di cibo è considerato una delle vie più significative di esposizione umana a queste piccole particelle di plastica, reperite anche nel sangue, nelle feci, nella placenta e nel latte materno.
Tali preoccupazioni derivano non solo dall’esposizione ai monomeri reattivi nella struttura polimerica, altrimenti biologicamente inerte, ma anche dai contaminanti associati.
Il 40% della plastica è utilizzata per il packaging
Nell’ultimo mezzo secolo, il volume di materie plastiche prodotte ogni anno è costantemente aumentato.
L’uso più comune della plastica è nel packaging (circa il 40%). Come conseguenza del loro smaltimento inadeguato e degli effetti delle attività umane e della natura, le materie plastiche possono essere suddivise in particelle più piccole che sono generalmente classificate per dimensioni come macro- (> 25 mm), meso- (25 mm-5 mm), micro- (da 5000 a 0,1 µm) e nanoplastiche (da 0,001 a 0,1 µm).
Di queste categorie di dimensioni, le microplastiche e, in misura minore, le nanoplastiche, hanno ricevuto una notevole attenzione nelle discussioni sulla sicurezza alimentare: ciò è dovuto al loro potenziale trasferimento lungo la catena alimentare e al loro probabile impatto sulla salute umana.
Possibili interazioni di monomeri plastici ed altri composti con molecole biologiche dopo l’ingestione.
Le preoccupazioni circa l’impatto potenzialmente negativo delle microplastiche sulla salute pubblica derivano in parte dalla loro composizione chimica. La plastica è fatta di catene polimeriche, che a loro volta sono costituite da monomeri, che se presenti in una forma non stabile possono interagire con le molecole biologiche dopo l’ingestione.
Altra fonte di preoccupazione sono alcuni componenti polimerici plastici, come il cloruro di vinile, noti per essere tossici o la possibilità di reperire nel prodotto finale e nei loro frammenti residui di sostanze chimiche potenzialmente nocive utilizzate nel processo di fabbricazione della plastica, come bisfenolo A e ftalati.
Inoltre le microplastiche possono assorbire dall’ambiente e concentrare contaminanti microbiologici, pericolosi per la sicurezza alimentare.
Alterazioni metaboliche, danno cellulare e al sistema immunitario da microplastiche
Diversi studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che microplastiche e nanoplastiche sono in grado di causare danni fisici, necrosi, infiammazione, stress ossidativo (causa di alterazioni metaboliche e danno cellulare) e immunotossicità (danno al sistema immunitario).
Inoltre molte ricerche hanno fornito dati sulla tossicità individuale di molti additivi e componenti plastici (ad esempio ritardanti di fiamma, plastificanti, monomeri), oltre ai possibili effetti avversi suscitati dagli inquinanti ambientali assorbiti dalle microplastiche.
L’esposizione stimata alle microplastiche in alimenti selezionati è stata utilizzata come indicatore della loro rilevanza per la salute pubblica. La letteratura scientifica esaminata ha anche considerato possibili effetti nocivi per la salute come neurotossicità, stress ossidativo e immunotossicità tra le principali conseguenze dell’esposizione alle microplastiche.
Insufficienza di dati, carenza di metodi analitici standardizzati non consentono conclusioni definitive
Il report FAO sintetizza in numerose tabelle i risultati delle ricerche su matrici alimentari, le metodiche utilizzate e gli studi effettuati su modelli cellulari e animali a seguito dell’esposizione a microplastiche e composti associati.
Nella tabella seguente sono sintetizzati i risultati di alcuni studi che hanno evidenziato la presenza di micro- e di nanoplastiche nei prodotti della pesca, zucchero, miele, birra e acqua e le relative stime di esposizione umana in base al consumo di diversi tipi di alimenti. Da rilevare l’elevata esposizione stimata ben oltre il milione di Mp/anno derivante dal consumo di molluschi e sale.
Rispetto a questi dati, gli autori del report concludono che “sebbene i livelli riportati dei pericoli e i relativi livelli di esposizione siano generalmente bassi, restano aperti problemi significativi come la scarsità di dati, di conoscenze sulla tossicità delle nanoplastiche, la mancanza di metodi analitici standardizzati che non consentono la formulazione di conclusioni definitive sul significato per la salute pubblica di queste particelle.”
Raccomandano, pertanto, lo sviluppo, la messa a punto e l’armonizzazione di tecniche analitiche per le (micro)plastiche negli alimenti; la necessaria attenzione alle indagini in corso sulla presenza e la tossicità di tali sostanze nelle catene alimentari; la valutazione delle esposizioni acute e croniche alle componenti di (micro)plastiche in vari alimenti.
Tale approfondimento sarà utile anche a stabilire l’eventuale necessità di una regolamentazione specifica per la presenza di microplastiche negli alimenti attualmente assente, mentre esistono alcuni provvedimenti normativi riguardanti la migrazione di componenti in plastica da imballaggi e materiali a contatto con gli alimenti. La direttiva 2002/72/CE della Commissione europea fornisce un elenco di tutte le monomeri, additivi e altre sostanze che possono essere utilizzate nella produzione di materiali a contatto con gli alimenti realizzati in plastica e stabilisce limiti circa la loro migrazione nel cibo. Il documento FAO fornisce inoltre linee guida per i test di migrazione utilizzando simulanti alimentari, classificando tutti gli alimenti come acquosi, alcolici, acidi, grassi o secchi.