“L’approccio del mix energetico, che affianca diverse fonti di produzione di energia, comprese quelle fossili, è troppo cauto: siamo riusciti a fare le cose quando c’è stata la volontà. L’unica alternativa è essere decisi: il mix è una prospettiva di buon senso, ma è un approccio estremamente conservativo. Dovremmo imparare da una crisi energetica come quella appena vissuta, che non è stata determinata solo alla guerra ma anche e soprattutto da prezzi troppo bassi e mancanza di investimenti.” È quanto dichiara ad Agenda17 Stefano Piva, docente di Fonti energetiche rinnovabili presso l’Università di Ferrara.
A seguito della pubblicazione dell’European Electricity Review da parte di Ember, il think tank ambientale senza scopo di lucro che si batte per la decarbonizzazione, abbiamo chiesto al docente un commento sulle prospettive della transizione energetica in Europa. Secondo il report, in particolare, per il 2023 è prevista un’ulteriore diminuzione del 20% della produzione di energia da fonti fossili anche se lo scorso anno c’è stato un incremento della generazione da fossile (+3%) e delle emissioni del settore energetico.
Rinunciare alle fonti fossili è possibile: il problema è l’approvvigionamento dei materiali
Nel 2022 eolico e solare hanno infatti generato un quinto dell’elettricità europea (22%), ma l’allontanamento dai combustibili fossili è stato rallentato da diversi fattori tra cui la siccità, che ha portato a un calo nella produzione di energia idroelettrica e nucleare, compensato in parte anche con il ritorno al carbone.
“Non dobbiamo considerare le economie moderne – prosegue Piva – come più energivore: l’aumento globale del fabbisogno è dovuto al fatto che sempre più persone vogliono avere accesso a grandi quantità di energia. Non è cioè la struttura economica in sé a creare problemi, ma il fatto che sempre più Paesi hanno il diritto di possedere e utilizzare energia e bisogna tenerne conto.
Come soddisfare queste esigenze? Il fatto che in Occidente non si possa arrivare a un assetto energetico indipendente dalle fonti fossili è solo un problema di volontà e di tempi. Chiaramente, un target di tre anni risulterebbe impossibile, ma se l’obiettivo è il 2050 previsto dalle politiche europee, e le lobby non frenano troppo, allora abbiamo le tecnologie per farlo.
Il tema invece si sposta se allarghiamo il discorso dalle fonti di energia alle batterie, quindi alle terre rare. Non è cioè un problema tecnologico, ma di disponibilità dei materiali: in Europa non abbiamo abbastanza terre rare, possedute quasi tutte dalla Cina, compresi i territori africani nei quali ha portato investimenti in cambio di concessioni di estrazione. In questo caso il problema esiste, ma è una difficoltà di approvvigionamento e, quindi, di dipendenza dalla Cina.”
L’elettrificazione della domanda è una strategia valida verso le rinnovabili
Entro il 30 aprile il Governo dovrà definire la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), anche per quanto riguarda il Piano energetico RepowerEU, proposto dalla Commissione europea per affrontare la crisi energetica.
“Uno dei temi su cui la Commissione europea lavora da anni – conclude Piva – è l’elettrificazione della domanda energetica, perché da tempo tende a sganciarsi da un mercato del gas e dei prodotti petroliferi diventato opprimente e troppo chiuso. La scelta dell’elettrificazione è dunque vista come strategia per facilitare la transizione verso sfruttamenti sempre più intensi di energia di tipo rinnovabile.
Inoltre è ormai un’esigenza imprescindibile: l’80% dei consumi energetici avviene in città, dove non ci sono spazi per una sufficiente produzione da rinnovabili. Bisogna quindi produrre energia in periferia e poi trasportarla agevolmente e il sistema più efficace per farlo è l’energia elettrica.
Il punto è scegliere il tipo di energia: se hai un buon assetto elettrico che arriva in città, poi all’esterno puoi produrre da qualsiasi fonte, fossile o rinnovabile, e nessuno se ne accorge.
Pensiamo però al fotovoltaico: quando c’è stata la volontà di investire lo abbiamo fatto, e l’Italia è diventata la seconda in Europa per produzione di energia. Certo ci sono stati dei costi, ma la crescita del fotovoltaico ha permesso di ripagarli abbastanza rapidamente: è diventato una tecnologia competitiva, autonoma e con poco bisogno di supporto dall’esterno e con i prezzi attuali è più economica dell’energia elettrica da fonti fossili.
Come detto, è una questione di volontà e investimenti a medio termine. Non sono cose che si fanno in un giorno e il tempo, spesso, è purtroppo incompatibile con la politica, che cerca invece risultati immediati.”