La guerra in Ucraina ha reso ancora più drammaticamente evidente il ruolo che hanno le fonti energetiche nelle nostre società. Lo scenario peggiore è quello di un incidente che coinvolga le centrali nucleari, ma anche la transizione verso fonti energetiche “pulite” ha incontrato nuovi ostacoli a causa della temuta mancanza di approvvigionamenti di gas dalla Russia. Mentre da tempo era in corso un acceso dibattito sul mix di energie necessario per la transizione, la guerra ha spinto alla corsa ad accaparrarsi forniture di gas in grandi quantità in nuovi mercati e diverse modalità, fra cui i rigassificatori, la cui installazione ha suscitato ulteriori dubbi e proteste.
Intanto L’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha pubblicato un briefing dal titolo Decarbonising heating and cooling — a climate imperative che afferma che per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni si deve abbandonare «il prima possibile» i combustibili fossili – gas, petrolio e carbone – usando le tecnologie rinnovabili esistenti, e aumentando il risparmio energetico.
Su questi temi, pubblichiamo l’opinione inviata ad Agenda17 da Pippo Tadolini, che ci porta il punto di vista dell’organizzazione ambientalista Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile”.
I dati sul disastro ecologico mondiale sono sotto gli occhi di tutti e fanno tremare. Non credo di esagerare affermando che siamo sull’orlo del baratro. Che la concentrazione media attuale di anidride carbonica sia estremamente elevata, quasi il doppio di quella che era alla data “convenzionale” del 1850, è noto. Meno noto è che la concentrazione media di metano in atmosfera è arrivata a 1.894 parti, responsabile di quasi metà del riscaldamento globale, e che da quella data è cresciuta del 170%. Forse non è ancora generalizzata la consapevolezza che il metano (caldeggiato come gas meno impattante dal momento che la sua combustione è leggermente meno inquinante di quella del petrolio e del carbone) è in realtà molto più climalterante della stessa anidride carbonica quando vi siano fughe di gas libero in atmosfera. Fughe di gas libero che nessuna struttura metanifera riesce ad azzerare.
E nonostante tutte queste evidenze, il governo Meloni (ma in continuità con la maggior parte delle scelte dei governi precedenti) vuole trasformare l’Italia in un hub europeo del gas! Vale a dire, vuole potenziare al massimo la presenza del metano in tutto il Paese, moltiplicare la quantità e i tipi di strutture gasiere, e in una parola, fare di quasi tutto il nostro territorio una unica grande metaniera. Le conseguenze le stiamo già toccando con mano: l’estate scorsa è stata la più calda mai registrata e l’autunno scorso il terzo più caldo mai registrato.
E così, anche se le vittime di queste scelte contrarie ad ogni buon senso sono tante (e fra le prime si potrebbe citare il bene più prezioso che abbiamo, ossia l’acqua, e gli esperti, prevedono che entro il 2040 l’Italia avrà meno 50% di disponibilità idrica), il mondo politico, imperterrito, permette con il Decreto Aiuti IV la trivellazione di idrocarburi nell’alto Adriatico e alla foce del Po, e decreta lo stato di emergenza per realizzare una vasta schiera di rigassificatori senza rispettare le procedure corrette e previste dalle leggi. E in più decide di portare avanti la costruzione di migliaia di ulteriori gasdotti.
Il contesto internazionale non è buono, ma l’Italia peggio
È una politica che fa dell’Italia uno dei peggiori paesi in Europa per emissioni di CO2, violando – fra l’altro – l’articolo 9 della nostra Costituzione che è stato da poco modificato, inserendovi la proposizione «La Repubblica italiana tutela l’ambiente, la biodiversità e gli eco-sistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». Purtroppo non è che a livello continentale la situazione sia molto migliore. Anche l’Unione Europea continua a perseguire politiche ambientali ben lontane dalle esigenze reali della Terra e dell’Umanità. L’esempio più chiaro è l’inserimento del gas e del nucleare nella «tassonomia verde», che costituisce il necrologio dello sbandierato green deal. Ma almeno l’UE detta delle linee direttrici, per esempio per l’ efficientamento energetico delle abitazioni, o per il graduale passaggio alla mobilità elettrica, che le Istituzioni italiane invece si guardano bene dal voler attuare, anzi promettono fuoco e fiamme per opporvisi.
Se poi pensiamo al fatto che si terrà la COP28 a Dubai (Emirati Arabi Uniti) nel prossimo autunno, e che il presidente sarà Ahmed Jabber, amministratore dalla compagnia petrolifera degli Emirati, ci rendiamo conto che il momento è veramente critico per l’ambiente a livello mondiale.
E non dovremmo mai dimenticare di aggiungere un altro aspetto, che rende ancora più preoccupante questo quadro: il pauroso riarmo mondiale in atto, il nucleare e le micidiali guerre che pesano sempre di più sull’ecosistema.
Il piano nazionale per il gas comporterà una “gassificazione totale”
Ma rimaniamo ancora un attimo a casa nostra ed esaminiamo, pur per sommi capi, le prossime tappe del piano di “gassificazione totale” del nostro Paese. In Italia esistono già tre impianti di rigassificazione, a Panigaglia (La Spezia), a Livorno e a Porto Viro (Rovigo). A Piombino sta per arrivare la nave Golar Thundra, un enorme impianto di rigassificazione di gas naturale liquefatto. Si tratta di una nave lunga trecento metri e alta quaranta, con una capacità rigassificatrice di cinque miliardi di metri cubi/anno. Verrà collocata direttamente dentro il porto di Piombino, con un prevedibile impatto sulla maggior parte delle attività portuali, e con un rischio non indifferente, dato che andrà a trovarsi a poche centinaia di metri dall’abitato.
Circa un anno più tardi, una nave sorella, denominata BW Singapore, getterà le ancore al largo della costa ravennate, e un gasdotto di quarantadue chilometri la collegherà alla rete di distribuzione nell’entroterra di Ravenna. Ma per la città romagnola già si parla di due rigassificatori, giacché con Piombino sono stati presi accordi per una permanenza della struttura per tre anni, e dopo bisognerà ricollocarla. Ravenna pare essere la candidata privilegiata.
In più, nelle alte sfere del mondo oil&gas c’è chi auspica che Ravenna sia sede anche di tre o – perché no? – quattro rigassificatori, poiché per motivi infrastrutturali sarebbe la collocazione ideale. Si tenga a mente che la presenza dell’impianto di rigassificazione comporterà l’arrivo di almeno una nave metaniera la settimana, con il suo carico di centosettantamila metri cubi di gas liquefatto.
Quindi questo traffico andrà moltiplicato per il numero dei rigassificatori, e il nostro mare Adriatico verrà solcato da un gran numero di queste imbarcazioni. Con tutte le conseguenze in termini di rischio di incidenti (per esempio, la legge Seveso,sulla prevenzione del rischio, classifica i rigassificatori come impianti industriali “ad alto rischio di incidente rilevante”), di emissioni di gas di scarico che come noto fanno bene alla salute, di problemi per le acque marine, per il traffico diportistico, per le attività ittiche, e via dicendo.
Di più, si pensa di collocare un gran numero di altri rigassificatori (e/o di depositi di gas liquefatto) nelle coste del Paese, e la Sardegna, la Calabria, la Sicilia, le Marche sono le regioni candidate. Per la Calabria si parla di realizzarvi uno dei più grandi rigassificatori del mondo, con un potenziale di dodici miliardi di metri cubi annui, da collocare a Gioia Tauro. Per la Sardegna gli impianti dovrebbero essere addirittura quattro o cinque, sicché la regione, che attualmente è l’unica praticamente libera dal gas, verrebbe ad essere una delle più invase.
Se a tutto ciò si aggiunge che in programma c’è l’aumento di estensione e di potenza dei punti di trivellazione, che scavalca il già troppo permissivo PITESAI (il piano del precedente Governo, con il quale si autorizzavano e si regolamentavano le ricerche e l’estrazione di gas), consentendo di “bucare” in ogni dove, anche a distanze dalle coste fino ad ora interdette; e che parallelamente si sta lavorando alacremente per allungare di altre centinaia e centinaia di chilometri la rete dei gasdotti, in particolare puntando alla realizzazione del “braccio nord” della Linea Adriatica, che dovrà portarsi fino all’attuale centrale di Minerbio (BO), e che tutto ciò si aggiunge in molti territori come Ravenna, ad una presenza delle strutture del fossile già molto esuberante, capiamo bene che nel giro di pochi anni l’Italia verrà letteralmente avvolta in una soffocante rete gasiera, con tutte le conseguenze che si possono trarre, in termini di rischi per l’ambiente, la sicurezza, la salute, la stabilità dei territori, la vocazione turistica, molte attività agricole e ittiche, e chi più ne ha più ne metta.
Decretazione d’urgenza dei governi
E con il decisivo contributo dell’Italia non già al contrasto alla crisi climatica, bensì al suo irreversibile e ben prevedibile aggravamento. Il tutto, con buona pace dei processi decisionali democratici, perché il ricorso alla decretazione d’urgenza consente al governo (ma sarebbe meglio dire ai governi, perché anche quelli di Regione hanno un forte ruolo in tutto ciò) di attuare qualsiasi misura praticamente scavalcando percorsi autorizzativi altrimenti vincolanti, e ricorrendo anche a una sorta di militarizzazione del territorio, come per esempio già sta accadendo a Piombino.
E anche con buona pace di chi è convinto che tutto ciò comporterà costi più bassi per chi deve pagare le bollette, perché tutta la realizzazione di questa rete avrà costi elevatissimi, che si scaricheranno ovviamente sugli utenti.
Mentre i profitti di ENI, SNAM e collegate volano alle stelle!
“Non abbiamo più tempo” secondo i movimenti di opposizione: azioni legali e mobilitazione
C’è bisogno di un grande movimento popolare per scuotere i nostri governi, anche con le tattiche nonviolente come quelle praticate da Extinction Rebellion e Giudizio Universale. Ma anche continuando a costruire grandi momenti di opposizione di piazza, vertenze legali, azioni per introdurre il tema della transizione ecologica nelle vertenze sindacali e prese di posizione del mondo della cultura.
Il movimento Giudizio Universale ha portato lo Stato italiano davanti al tribunale di Roma con l’accusa di inerzia e negligenza nell’affrontare la crisi climatica. In Olanda l’associazione Milieudefensie ha portato la Shell al Tribunale dell’Aja che l’ha obbligata a ridurre il 45% di gas serra entro il 2022. Anche Greenpeace ha deciso di intraprendere un’azione legale contro la decisione della Ue di includere il gas e il nucleare nella «tassonomia verde».
Numerose altre azioni civili, legali, mediatiche e istituzionali si sono svolte e si stanno svolgendo nelle Marche e in Abruzzo (soprattutto a Sulmona dove dovrebbe venire raddoppiata la centrale di compressione del gas e da dove dovrebbe partire il tratto centro-nord della Linea Adriatica). E sempre nel percorso di costruzione delle resistenze, la “Rete Nazionale No Rigassificatori No Gnl”, insieme alla Campagna nazionale “Per il Clima – Fuori dal Fossile” hanno lanciato un programma di appuntamenti che vedrà scendere in piazza migliaia di persone a Piombino sabato 11 marzo. La Rete Emergenza Climatica e Ambientale dell’Emilia Romagna, che proprio a Ravenna e a Ferrara ha alcuni dei suoi punti di forza, ha aderito e sarà presente con i propri attivisti. E poi ci sarà un seguito nel mese di aprile in Sardegna, in maggio a Ravenna, in estate in Puglia e in settembre in Sicilia.