“Per fare la fusione nucleare, a livello mondiale, ci sono due tipi di approcci: uno, il cosiddetto Tokamak, usa il sistema toroidale, mentre l’altro è a confinamento inerziale e fa convergere tanti laser su una zona circoscritta. È molto difficile scommettere oggi su una delle due in termini di successo finale, è una competizione avvincente tra approcci diversi che mirano allo stesso risultato. Per questo motivo entrambi vanno finanziati, poiché ciascuno ha i suoi pregi e i suoi difetti e, spesso, le conoscenze che si apprendono servono al progresso di entrambi. E chissà che un giorno non riusciremo a produrre energia elettrica utilizzando tutti e due gli approcci” afferma ad Agenda17 Fabio Mantovani, docente di Fisica e membro del Laboratory for Nuclear Technologies presso l’Università di Ferrara.
Pochi giorni fa, il Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL) dell’Università della California ha annunciato “una svolta storica”: la produzione di energia da fusione a confinamento inerziale con un “saldo positivo”. Per la prima volta, infatti, è stata prodotta più energia di quanta necessaria per innescare la fusione nucleare usando il metodo inerziale. Secondo il Dipartimento per l’energia statunitense, questa scoperta “cambierà il futuro dell’energia pulita e della difesa nazionale per sempre.”
“Con questo esperimento basato sul confinamento inerziale – prosegue il docente – i ricercatori hanno ottenuto un grande successo ma ci sono ancora talmente tante variabili in gioco che non è realisticamente possibile indicare delle tempistiche precise per arrivare alla produzione commerciale su larga scala.”
Quali possono essere allora le possibili implicazioni nel prossimo futuro di tale successo?
Sicurezza dell’impianto e quantità di energia prodotta: i limiti dei due approcci
Il primo metodo, quello toroidale, è quello su cui si basa ad esempio il reattore sperimentale ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), situato in Francia. “Immaginiamo un’enorme stanza circolare, in cui viene fatto fluire un gas ad altissima temperatura. Nel metodo toroidale è proprio l’elevata temperatura, dell’ordine di centinaia di milioni di gradi, a rappresentare la difficoltà maggiore – spiega Mantovani -. Qualsiasi oggetto infatti fonderebbe a contatto con il gas, e quindi è come se dovessimo tenere in mano il fuoco senza però toccarlo.”
Per riuscire nell’impresa vengono quindi utilizzati dei campi magnetici e, al momento, si è riusciti a tenere acceso il fuoco per poco più di cinque minuti. Ovviamente ci sono problemi di sicurezza in quanto il plasma incandescente va tenuto sotto controllo: anche questa è una bella sfida.
Il secondo metodo, sperimentato in diversi laboratori nel Mondo, tra cui LLNL in USA, è invece basato sul confinamento inerziale. “In questo caso – prosegue Mantovani – abbiamo tanti laser che convergono su un punto circoscritto, una sorta di pellet pieno di gas con una dimensione di pochi millimetri. Questi laser scaldano moltissimo il gas contenuto nel pellet e ne fanno collassare la materia: in questo modo si verifica la fusione dei nuclei, che rilascia energia.”
Guardando alla scoperta americana, alimentando i laser con un’energia di circa 2 megajoule la fusione ha rilasciato un’energia di circa 3 megajoule, con un guadagno, detto delta, di poco più di un megajoule.
“In termini energetici – spiega Mantovani – un megajoule non è molto con questa energia potremmo innalzare di un grado Celsius l’acqua contenuta in un acquario di circa 240 litri. Siamo molto lontani dall’ottenere grandi quantità di energia per far funzionare una centrale elettrica per come la conosciamo oggi. L‘aumento delle prestazioni prevede un maggior controllo della simmetria dell’esplosione evitando che il gas all’interno del pellet si espanda ancora prima di implodere.
Da qui ai prossimi anni ci sarà ancora molto da fare nell’ingegnerizzazione di queste capsule, in modo da raggiungere un surplus di energia sufficiente per una produzione commerciale di energia elettrica.”
Difficile stimare la produzione di energia su scala commerciale
Secondo la direttrice del Laboratorio statunitense, saranno necessari ancora diversi anni per ottenere energia commerciale da fusione e questo per diversi motivi: in particolare, sarà necessario riuscire a produrre molti eventi di innesco per fusione al minuto e avere un robusto sistema di trasmissione per realizzarli.
“Il successo ottenuto – spiega il docente Unife – è tale dal punto di vista scientifico. Se infatti consideriamo tutte le variabili, va segnalato che quel saldo positivo di energia tiene conto esclusivamente dell’energia dei laser, ma non considera tutta l’energia effettivamente impiegata nell’intero processo di produzione e nel mantenimento del sistema.
Siamo quindi ancora a livello di conoscenza scientifica: l’applicazione tecnologica è ancora prematura. In questo momento siamo ben lontani dal produrre energia in modo da avere un delta positivo a tutti gli effetti. Ciò non toglie l’importanza del fatto che fisicamente sia possibile ottenere un guadagno con il metodo del confinamento inerziale.”
Più investimenti e bravi scienziati per accelerare o la ricerca
Il Governo degli Stati Uniti, in occasione della presentazione della scoperta del LLNL, ha ribadito l’importanza di accelerare la ricerca, che deve essere sostenuta da solidi finanziamenti per arrivare a “nuovi modi per alimentare le nostre case e uffici nei decenni futuri.”
“Nel campo della ricerca sulla fusione nucleare per la produzione di energia elettrica stanno investendo sia istituzioni pubbliche che private – conclude Mantovani –. In questo fermento tecnologico da qualche anno si sono lanciate start up che credono nel potenziale ritorno economico di entrambi gli approcci: questo è senz’altro un segnale incoraggiante.”
Rispondendo alla domanda su quando ci saranno le prime centrali a fusione, Mantovani afferma: “nella ricerca i risultati possono essere più o meno accelerati a seconda degli investimenti. Tuttavia, esistono problemi la cui soluzione risulta incomprimibile in termini temporali. In altre parole, i successi di una ricerca non dipendono solo dal denaro investito, ma anche dall’ingegno degli scienziati che si trovano ad affrontare spesso problemi imprevisti.”
Usa: possibili applicazioni militari spingono gli investimenti
Questi studi hanno però anche importanti risvolti militari, come è stato esplicitamente dichiarato in sede di presentazione dei risultati (”…cambierà il futuro della difesa nazionale per sempre”). La principale responsabilità del LLNL, infatti, è di assicurare la sicurezza, la protezione e l’affidabilità del deterrente nucleare degli Stati Uniti. Come si legge nel sito ufficiale, la scienza e l’ingegneria del Laboratorio sono applicate per ottenere scoperte per l’antiterrorismo e la non proliferazione, la difesa e l’intellingence, l’energia e la sicurezza ambientale.
Questo recente successo avrà quindi possibili implicazioni anche nel settore militare? Saranno tali da giustificare forti investimenti su questo approccio alla fusione? “È tuttavia chiaro che l’approccio della NIF (National Ignition Facility) non è pratico per una possibile produzione di energia (…) – affermava un anno fa Alessandro Pascolini, docente di Fisica teorica e di scienze per la pace presso l’Università di Padova a proposito dei successi del Laboratorio statunitense -. Il Department of Energy americano ha deciso di non finanziare ulteriormente ricerche sulla fusione con la NIF, ma dedicarla completamente a ricerche militari.”
Secondo Pascolini, infatti, l’implosione che avviene nel confinamento inerziale è analoga a quella di un’arma nucleare. “I processi di fusione inerziale indotti alla NIF permettono lo studio dei regimi fisici che si susseguono nelle armi a fusione (…). Forniscono dati in un importante regime sperimentale a cui è estremamente difficile accedere altrimenti, favorendo la comprensione dei processi fondamentali di accensione e combustione della fusione e offrono una migliore comprensione delle precise condizioni necessarie per avviare e sostenere una reazione di fusione.”