DOPO COP27 Il ritorno del Brasile nella lotta alla crisi climatica Forse la deforestazione dell’Amazzonia non si fermerà, ma sicuramente diminuirà, secondo Gianfranco Franz, docente Unife

DOPO COP27 Il ritorno del Brasile nella lotta alla crisi climatica

Forse la deforestazione dell’Amazzonia non si fermerà, ma sicuramente diminuirà, secondo Gianfranco Franz, docente Unife

La Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Conference of Parties, COP27), tenutasi in Egitto dal 6 al 18 novembre, ha visto il ritorno sulla scena internazionale di Luis Inácio Lula Da Silva, presidente eletto del Brasile, che assumerà l’incarico a partire dal primo gennaio 2023.

Nel suo discorso al summit globale del clima, il leader brasiliano ha criticato le spese eccessive per gli armamenti in un Mondo segnato da molteplici sfide, che vanno dalla fame ai cambiamenti climatici, sottolineando che la lotta alla povertà e alla crisi climatica non sono obiettivi separabili ma vanno affrontati insieme.

Lula al summit sul clima. (© AP Photo/Nariman El-Mofty)

“Questo ritorno vuol dire moltissimo, soprattutto in un momento in cui gli altri grandi del Mondo sono distratti da altre questioni: la guerra, il confronto tra Russia e Occidente – ricorda ad Agenda17 Gianfranco Franz, docente presso il Dipartimento di scienze dell’ambiente e della prevenzione dell’Università di Ferrara –. È importante avere almeno un grande leader che invece rimane concentrato e attento sull’ambiente, che ha voce, perché quando parla Lula lo riportano tutti gli organi d’informazione anche occidentali. È soprattutto importante l’esempio.”

La tutela dell’Amazzonia

Nei primi due Governi guidati da Lula, dal 2003 al 2010, e anche negli anni successivi con la presidenza di Dilma Rousseff, il Brasile aveva diminuito gradualmente il tasso di deforestazione – molto elevato fino al 2008 –  raggiungendo il minimo storico nel 2012, e si era impegnato nella tutela delle popolazioni indigene. Allo stesso tempo, però, anche questi Governi hanno portato avanti azioni ambientalmente negative, per esempio la costruzione di dighe in Amazzonia e nel Nord-Est del Paese per la produzione di energia elettrica, motivata dalla crescita economica ma anche da un uso poco regolato dell’elettricità. 

Il tasso di deforestazione nella regione Amazônia Legal (che comprende il territorio di nove Stati del Brasile lungo il Bacino dell’Amazzonia) dal 1988 ad oggi. Dati: INPE; elaborazione grafica: C. Mignone

“Non è tutto oro quello che luccica, ma evidentemente le politiche sono diverse – precisa il docente –. Anche soltanto l’approccio di Lula a problemi come quelli dell’Amazzonia, del cambiamento climatico, della protezione delle popolazioni native, rispetto a quello di Bolsonaro e anche di tanti altri Paesi del Mondo, è importantissimo e può essere d’esempio per Paesi come l’India o la Cina, che sono molto più grossi ma con i quali il Brasile conversa attraverso il consesso dei BRICS – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. 

Almeno per questi quattro anni, la leadership di Lula è fondamentale. È un bene sia a livello planetario che regionale. In questo momento ci sono solo due leader al Mondo che parlano di ambiente: uno è tornato adesso a parlarne, Lula, e l’altro è Papa Francesco, mentre gli altri fanno solo finta di parlare di ambiente. Ed è un bene anche per l’America Latina, perché il Brasile è il peso massimo di tutto il subcontinente, ed è importante in questo momento il ritorno di una leadership progressista così forte e carismatica.”

La confluenza dei fiumi Teles Pires e Juruena, a formare il fiume Tapajós, nello Stato amazzonico del Mato Grosso, Brasile. (© Zig Koch / WWF)

Sia nel discorso tenuto a San Paolo, subito dopo la proclamazione della vittoria elettorale, che alla COP27, Lula ha ribadito tra le priorità del suo Governo l’impegno a proteggere l’Amazzonia, dall’inversione del trend di deforestazione, in aumento da alcuni anni, al rafforzamento degli organismi di tutela ambientale smantellati negli ultimi anni, fino all’istituzione di un ministero dei popoli indigeni.

“Ci sarà sicuramente un rallentamento rispetto al processo che si è riattivato negli anni di Bolsonaro – prosegue Franz –. Non uno stop, perché il disboscamento dell’Amazzonia non si è mai fermato, neanche negli anni di Lula e Dilma, ma era molto rallentato rispetto alle epoche precedenti. Uno stop alla deforestazione è impossibile per due motivi: primo, perché il Brasile non ha un sistema di controlli efficiente, e poi perché per fermare veramente gli imprenditori dell’agroindustria ci vorrebbe l’esercito, vista anche l’estensione del Paese, e questo non credo che Lula potrà mai farlo. Spero invece che ci sia una soluzione definitiva per le popolazioni native, perché questo è nel Dna culturale e ideologico di Lula.”

Gianfranco Franz, docente presso il Dipartimento di scienze dell’ambiente e della prevenzione dell’Università di Ferrara (© Unife)

“È stato determinante – continua il docente – che Lula sia stato capace di battere Bolsonaro, almeno per ora, e allo stesso tempo penso che invece purtroppo il Brasile si troverà di fronte a dei problemi non indifferenti. Lula ha fatto grande il Brasile nei suoi Governi precedenti perché per la prima volta, mentre cresceva, il Paese redistribuiva, ma la congiuntura era diversa. 

A meno che non succeda qualche coup de théâtre, che Bolsonaro non venga arrestato o comunque eliminato da un punto di vista giudiziario, temo che alle prossime elezioni il Brasile potrebbe tranquillamente tornare a dare la maggioranza a Bolsonaro. E poi c’è la leadership del Partido dos Trabalhadores: non vedo al momento una leadership forte per il futuro quanto quella di Lula, che ha già detto che non si candiderà di nuovo. Sa benissimo di essere vecchio, c’è bisogno di leader nuovi, ma non si vede un delfino all’orizzonte.”

Il risultato più significativo della COP27 è stato I’accordo, raggiunto dai quasi duecento Paesi partecipanti al summit, sull’istituzione di un fondo di risarcimento per le Nazioni più povere del Pianeta, che hanno contribuito molto meno delle grandi potenze alla crisi climatica ma ne pagano molto più pesantemente le conseguenze. Un simile fondo dedicato alla tutela della foresta pluviale, su cui c’è già l’impegno della Norvegia a partire dal 2023, potrebbe essere determinante per il futuro dell’Amazzonia.

Generare ricchezza senza distruggere la natura

Nel suo primo discorso da presidente eletto, Lula ha dichiarato: “dimostreremo che è possibile generare ricchezza senza produrre cambiamento climatico”, commento reiterato nel suo intervento alla COP27. Questa combinazione, che in alcuni centri dell’economia globale potrebbe sembrare un ossimoro, è in realtà la base del pensiero sulla transizione energetica ed ecologica.

“Lula non ha torto, non sta dicendo cose fuori dal Mondo. Ci sono i modelli, ma nessuno vuole prenderli in considerazione. Ci sono più teorie economiche che partono da questo presupposto: come generare ricchezza senza impattare sulla natura – racconta Franz, che a questo tema ha dedicato il volume L’umanità a un bivio. Il dilemma della sostenibilità a trent’anni da Rio de Janeiro (2022) –. L’economia capitalistica di stampo occidentale, assunta anche da India, Cina e Russia, è un modello contro la natura e non può che portarci a un peggioramento progressivo delle condizioni. Ma esistono teorie economiche, non a caso latino-americane, che mettono fortemente in discussione il modello di sviluppo, la parola e il concetto stesso di sviluppo.” 

Il paradigma del Buen Vivir, nato dall’esperienza di comunità indigene sudamericane, soprattutto nella Regione andina, propone un modello alternativo di società basata sull’educazione popolare, l’autogoverno, la giustizia sociale e il mutualismo, ed è oggi tra i principi fondanti delle Costituzioni di Bolivia ed Ecuador. 

Anche la teoria del Pluriverso – sviluppata dall’ambientalista indiano Ashish Kothari, dalla sociologa australiana Ariel Salleh, dall’antropologo colombiano Arturo Escobar, dall’ecologo italiano Federico Demaria e dall’economista ecuadoriano Alberto Acosta – parte dalla decostruzione dell’idea di “sviluppo come progresso” per delineare alternative culturali incentrate sulla cura e il rispetto della vita sulla Terra. 

E non mancano proposte simili in Europa, come quella descritta nel libro L’Economia della ciambella (2017) di Kate Raworth, ricercatrice all’Università di Oxford, dove si postulano le caratteristiche di un’economia sostenibile, della transizione.

“Dobbiamo elaborare il lutto di non essere più al centro del Mondo, né demograficamente né dal punto di vista economico, ma non è un’elaborazione che si fa dalla sera alla mattina – conclude Franz –. Non vedo molte persone disposte a comprendere le ragioni del Sud del Mondo né tanto meno a conoscerlo. Decrescita è una parola un po’ pericolosa: sebbene ne condivida a pieno il significato, mette paura a chi vive felicemente alle nostre latitudini. Ma sicuramente dobbiamo ridurre. Tra riduzione e decrescita non c’è molta differenza, ma decrescita fa paura, mentre riduzione sembra qualcosa di più ragionevole. Ritornare a parlare di sobrietà, di parsimonia: ne parla il Papa, non lo ascolta nessuno. Ma sono queste le chiavi per ritrovare equilibrio tra Nord e Sud del Mondo.”

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