L’estate 2022 è ormai conclusa e sarà ricordata come una delle meno piovose del secolo soprattutto nelle zone del Nord Italia, come ben evidenziato dal bollettino emesso dall’Osservatorio siccità del Centro nazionale delle ricerche (Cnr) a fine agosto. I fenomeni temporaleschi del mese di agosto, anche se accolti come una benedizione, sono stati intensi e concentrati in tempi brevi e spazi ristretti.
Questa caratteristica, unita alla carenza idrica prolungata, ha solo temporaneamente e limitatamente innalzato il livello di falde e laghi, senza sanare il deficit di precipitazioni dell’ultimo anno. Piemonte, Friuli Venezia Giulia e poi Valle d’Aosta, Veneto e Trentino sono le Regioni con il maggior territorio esposto a deficit di precipitazione severo estremo di lungo periodo, ovvero dodici mesi.
Gli effetti della siccità prolungata sono infatti il risultato non solo della calda e secca estate, ma anche della mancanza di neve dell’inverno. A dirlo sono i malgari che abitano le zone alpine e che segnalano una situazione estremamente critica per il loro lavoro, per il bestiame che accudiscono e per il territorio che presidiano.
Preoccupanti anomalie segnalate da chi conosce il territorio
“Quest’inverno non ha nevicato; certo era anche comodo per me che vivo tutto l’anno in una borgata a 1480 m, con solo una decina di residenti fissi – esordisce così Mariuccia Ellena residente nella borgata Reinero, Comune di Marmora, in alta Valle Maira nelle Alpi Cozie-. Ma adesso è un bel problema. Ho visto molte estati calde, ma mai che non scendesse proprio niente sia in inverno che in estate.”
Il genero, Giuseppe Ellena, nei mesi estivi vive nella vicina borgata Tolosano dove svolge l’attività di malgaro con gruppi di mandrie al pascolo. Nato nella metà degli anni Sessanta, ha cominciato da bambino a prendersi cura del bestiame e ha proseguito tramandando il suo sapere e la sua passione al figlio, studente in ingegneria chimica che in estate porta con sé negli alpeggi i libri.
“Noi qui siamo ancora stati abbastanza fortunati – spiega Ellena ad Agenda17- perché abbiamo parecchie sorgenti e, anche se buttano al 50% del normale regime, hanno retto. Ma non è così per tutti i pascoli, dipende da dove sono collocati: chi ha i prati esposti a Sud non ha avuto sufficiente erba, perché se manca l’acqua l’erba non cresce.”
“Noi per alcuni pascoli non abbiamo avuto il problema di abbeverare gli animali – prosegue – perché c’è un laghetto che ha tenuto un buon livello, mentre in altri avevamo predisposto già in passato vasche di raccolta e per fortuna le sorgenti hanno garantito il minimo necessario. Il problema è stato invece il dover spostare più frequentemente gli animali perché l’erba è più rada: se prima in un certo spazio cresceva una certa quantità di erbe e di vario tipo, adesso se ne trova molta meno e quindi bisogna andare altrove, cambiare il pascolo più di frequente.”
La siccità riguarda tanti aspetti della vita in montagna
Il problema della siccità per chi svolge l’attività di malgaro può infatti avere effetti su più fronti: qualità e quantità di erba nei pascoli, sorgenti per abbeverare gli animali e produzione di corrente elettrica.
“C’è una zona non distante dai miei pascoli – continua Ellena – dove altri malgari non sono proprio saliti per il periodo estivo perché le quattro malghe di quella zona erano senza corrente. Oltre trent’anni fa hanno costruito una centralina alimentata dall’acqua, sempre abbondante, di una sorgente per fornire energia elettrica alle quattro malghe e a un piccolo caseificio. Quest’anno non c’è abbastanza acqua in quella sorgente quindi non c’è corrente elettrica, le malghe non sono state usate e il caseificio ha resistito grazie a pannelli e a un generatore, per garantire il minimo necessario per lavorare, ma non è sostenibile per continuare la produzione.”
Cercare soluzioni alternative potrebbe non bastare più
Più complicata la situazione di Davide Marchetti, un giovane allevatore che ha scelto di vivere e lavorare tutto l’anno ad Acceglio, uno degli ultimi Paesi della valle Maira. Nel suo Comune Marchetti svolge anche il ruolo di assessore e conosce bene le problematiche del territorio. “Anche se sono giovane, lavoro da quindici anni con gli animali al pascolo e non avevo mai visto un’annata come questa. Nemmeno il mio vicino di pascoli, che da trentasette anni porta le mucche su queste montagne, ricorda una tale siccità” spiega Marchetti ad Agenda17.
“Abbiamo dovuto trovare soluzioni alternative per abbeverare gli animali, per esempio in uno dei miei pascoli ho tirato un tubo di gomma per tre chilometri per portare l’acqua a un punto di raccolta. Tutte le sorgenti di quella zona erano prosciugate e ne restava solo una più alta da cui attingere l’acqua – continua Marchetti -. La nostra difficoltà maggiore è stata sui pascoli nei pressi del lago Visaisa. Lì l’unica fonte per abbeverare gli animali è l’acqua del lago ma quest’estate il livello è sceso di dodici metri.
Il problema è stato far raggiungere il lago dal bestiame: non ho potuto portare i vitelli con le vacche perché non sarebbero riusciti a raggiungere l’acqua.”
Il lago Visaisa, splendido specchio d’acqua nell’alta valle Maira, si trova in una zona ricca di calcari ed è alimentato esclusivamente dalla fusione delle nevi. Le acque si infiltrano poi nelle bancate di calcare e alimentano una zona di risorgive, le sorgenti del fiume Maira, qualche centinaio di metri sotto la zona del lago stesso.
Non essendo nevicato per quasi tutto l’inverno è mancata la fonte unica di approvvigionamento del lago che, nell’estate, si è rimpicciolito vistosamente sotto gli occhi dei malgari e dei numerosi turisti, soprattutto stranieri, che frequentano questa valle.
“Le piogge dopo ferragosto hanno tamponato un po’ la situazione, ma non sono state sufficienti. L’erba è stata molto più rada e questo per noi significa spostare gli animali di frequente, e purtroppo in alcune aree l’erba non c’era del tutto – continua Marchetti, che si confronta continuamente anche con gli altri malgari della valle -. Di norma i malgari salgono a San Giovanni, fine giugno, e scendono a San Michele, fine settembre. Quest’anno già al 20 settembre sette dei diciotto malgari della valle sono scesi e il rischio è che non salga più il prossimo anno, chiudendo l’attività.”
Lasciare la montagna non risolverà i problemi
Per un allevatore, infatti, scendere anticipatamente significa dover acquistare il fieno per gli animali, ma quest’anno il fieno, per la carenza idrica, è stato prodotto in quantità ridotta e ha un prezzo molto alto. “Io per esempio quest’anno, a causa della siccità, ho prodotto il 40% di fieno in meno del mio solito quantitativo” spiega ancora Marchetti -. Alcuni malgari venderanno gli animali a un prezzo sconveniente, perché mantenerli sta diventando troppo caro. Per chi è già avanti con l’età e per passione continuava l’attività di malgaro, è infatti diventato impossibile sostenere i costi.
Perdere le piccole aziende vuol dire perdere una forma di gestione attenta del territorio alpino, perché i terreni pascolati sono tenuti puliti. Inoltre, nelle zone di sottobosco dove non si pascola più, crescono erbe che seccano e, per esempio, possono costituire un grande problema in caso di incendio.”
L’importanza dei malgari nel presidiare l’ambiente montano
Il lavoro dei malgari sui pascoli, se svolto con criterio, contribuisce a una buona gestione del territorio alpino, ma i cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova la prosecuzione di questa attività.
“Le problematiche della siccità hanno creato un circolo vizioso che ha colpito gli allevatori su più fronti, dalle difficoltà di abbeveramento del bestiame in montagna, alla carenza di foraggio fresco, alla diminuzione di produzione di fieno, a cui è seguito un aumento del prezzo, triplicato nell’ultimo anno. Si è creata la tempesta perfetta che colpisce l’anello debole della catena, il produttore.” Così spiega ad Agenda17 Roberto Colombero, veterinario di Canosio in valle Maira, eletto presidente, per la Regione Piemonte, dell’Unione nazionale di comuni, comunità, enti montani (Uncem).
Oltre a provenire da una conosciuta famiglia di malgari della valle, ha continuato a contribuire in molti modi al territorio in cui vive, come sindaco e come Presidente della locale Comunità montana, battendosi per salvaguardare il territorio alpino e i suoi abitanti.
“Molte piccole aziende – aggiunge – non riusciranno a proseguire l’attività perché scendere in pianura anticipatamente vuol dire accollarsi più spese e perdere dei contributi europei che servono a sostenere chi sceglie di mantenere gli alpeggi in quota. Un pascolo ben gestito è un presidio del territorio, inoltre offre vantaggi all’ambiente, per esempio favorisce la regimazione delle acque evitando pericolosi fenomeni di ruscellamento a seguito di importanti piogge.”
Il rischio è di perdere un patrimonio del territorio montano anche in una valle, come la valle Maira, conosciuta a livello internazionale per essere riuscita a preservarsi dal cemento e dagli impianti di risalita, diventando il paradiso degli amanti della natura e del turismo slow.