La recente dichiarazione del segretario generale dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) Antonio Guterres, in occasione della decima Conferenza del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), non lascia spazio a dubbi: “finora siamo stati fortunati ma la fortuna non è una strategia. L’umanità è solo a un malinteso, a un errore di calcolo, dalla catastrofe nucleare. Ridurre il rischio di guerre non è abbastanza: eliminare le armi nucleari è l’unica garanzia che non saranno mai usate.”
Abbiamo già documentato il rischio di una degenerazione della violenza in situazioni di guerra, che, a un certo punto, può sfuggire al controllo della politica. E questo rischio è aggravato dall’interruzione del controllo degli armamenti. Alessandro Pascolini, già docente di Fisica teorica e di Scienze per la pace presso l’Università di Padova, riflette sull’ultimo Summit della North Atlantic Treaty Organization (NATO), che condurrà a una sempre maggiore militarizzazione anziché all’eliminazione delle armi nucleari auspicata da Guterres.
Lo scorso 30 giugno il Summit della NATO a Madrid ha, fra l’altro, approvato il nuovo concetto strategico (CS) dell’Alleanza, che guiderà la politica militare della NATO nei prossimi dieci anni. Si tratta dell’ottavo CS dalla fondazione della NATO nel 1949, il quarto reso pubblico, dopo quelli del 1991, 1999 e 2010.
I CS svolgono una duplice funzione: formulano la visione strategica dell’Alleanza e rilanciano la solidarietà attorno ai compiti principali dell’organizzazione. Costituiscono inoltre un documento di pianificazione, sulla base del quale il personale militare e civile della NATO determina l’allocazione delle risorse, la struttura delle forze e gli obiettivi da raggiungere.
In realtà, per conoscere a pieno l’attuale riallineamento strategico della NATO, il CS dovrebbe possibilmente venir letto assieme al documento di strategia militare della NATO, che precisa gran parte dei dettagli impliciti nel CS, ma sfortunatamente è mantenuto segreto.
Le attuali minacce
La differenza fondamentale di tono rispetto al precedente CS, definito a Lisbona nel 2010, sta nella valutazione della situazione da affrontare: allora “l’area euro-atlantica è in pace e la minaccia di un attacco convenzionale contro il territorio della NATO è bassa”, mentre ora “l’area euro-atlantica non è in pace … Non possiamo escludere la possibilità di un attacco contro la sovranità e l’integrità territoriale degli alleati.”
“La guerra d’aggressione della Federazione russa contro l’Ucraina ha infranto la pace e alterato gravemente il nostro contesto di sicurezza … Il comportamento di Mosca riflette un modello di azioni aggressive russe contro i suoi vicini e la più ampia comunità transatlantica.”
La Russia, conseguentemente, diviene nell’attuale CS “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati e alla pace e alla stabilità nell’area euro-atlantica”; si tratta della più dura formulazione a descrivere la Russia dal 1991. Infatti il CS del 1991 “salutava la cooperazione con l’Unione Sovietica per significativi progressi nel controllo degli armamenti con gli Stati Uniti e l’Europa” e ancora a Lisbona nel 2010 si auspicava “un vero partenariato
strategico tra NATO e Russia”, dato che “la cooperazione NATO-Russia è di strategica importanza in quanto contribuisce a creare un comune spazio di pace, stabilità e sicurezza.”
ll CS 2022 è anche il primo documento strategico della NATO a menzionare la Cina, le cui “ambizioni dichiarate e politiche coercitive sfidano i nostri interessi, sicurezza e valori … La Repubblica Popolare Cinese (RPC) utilizza un’ampia gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua impronta globale e la proiezione di potere, pur rimanendo poco chiara sulla sua strategia, intenzioni e sviluppi militari. La RPC cerca di controllare i settori tecnologici e industriali chiave, le infrastrutture critiche, i materiali strategici e le catene di approvvigionamento.”
Significativa in questo contesto la presenza al Summit per la prima volta di capi di stato o di governo di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e della Repubblica di Corea, segnale dell’espansione degli interessi della NATO nella regione indo-pacifica.
Il nuovo documento continua esaminando le altre minacce alla NATO. “Il terrorismo, in tutte le sue forme e manifestazioni, è la minaccia asimmetrica più diretta alla sicurezza dei nostri cittadini e alla pace e alla prosperità internazionali.” Il CS nota che “le reti terroristiche si sono ampliate, hanno potenziato le loro capacità e investito in nuove tecnologie per migliorare la loro portata e letalità.”
Altre minacce individuate nel CS vengono dai conflitti, fragilità e instabilità in Africa e Medio Oriente, da attacchi nel cyberspazio, dallo sviluppo di tecnologie degli avversari che degradano le capacità spaziali civili e militari dei Paesi della NATO, nonché dal cambiamento climatico con i suoi impatti distruttivi sulla sicurezza dei Paesi.
La fine del controllo degli armamenti
In generale, rispetto ai precedenti CS, il nuovo documento presenta un’attenzione estremamente inferiore al controllo degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione, e non include alcuna menzione della riduzione degli armamenti in Europa; il termine “controllo degli armamenti” compare solo nei punti 18 e 32, e non in termini positivi.
Eppure, il clima di pace dell’Europa che la NATO osservava nel 2010 era anche frutto dell’architettura di una serie di accordi e trattati specifici per la sicurezza europea, laboriosamente edificata in un continuo processo negoziale in vari formati: l’Atto finale di Helsinki (1975), il Trattato sulle forze nucleari di gittata intermedia (1987), la Carta di Parigi per una nuova Europa (1990), il Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (1990), il Trattato sui cieli aperti (1992), il Memorandum di Budapest sulle assicurazioni di sicurezza (1994), l’Atto istitutivo NATO-Russia (1997), il Documento OSCE di Istanbul (1999), la Dichiarazione di Roma sul Consiglio NATO-Russia (2002) e il Documento di Vienna (2011).
Alcuni di questi accordi sono stati fatti decadere, e tutti gli altri, per ragioni diverse, appaiono oggi sospesi, se non moribondi. Il CS non si pone il problema di esaminare quali principi chiave della sicurezza europea siano ancora in gioco, su cosa si possa costruire e cosa debba venir scartato. Non nomina alcuno dei trattati, ma nel paragrafo 18 prende atto che “l’erosione dell’architettura di controllo degli armamenti, disarmo e non proliferazione ha avuto un impatto negativo sulla stabilità strategica.”
Attribuisce in modo sbrigativo le cause dell’erosione ai soli Paesi “competitori”: “le violazioni da parte della Federazione Russa e l’attuazione selettiva dei suoi obblighi e impegni in materia di controllo degli armamenti hanno contribuito al deterioramento del più ampio panorama della sicurezza … Iran e Corea del Nord continuano a sviluppare i loro programmi nucleari e missilistici. Siria, Corea del Nord e Federazione Russa, insieme ad attori non statali, hanno fatto ricorso all’uso di armi chimiche. La RPC sta espandendo rapidamente il suo arsenale nucleare e sta sviluppando vettori sempre più sofisticati, senza aumentare la trasparenza o impegnarsi in buona fede nel controllo degli armamenti o nella riduzione dei rischi.”
Per conoscere l’attitudine degli alleati rispetto al controllo degli armamenti occorre attendere il paragrafo 32; intanto il CS descrive i veri strumenti per garantire la stabilità strategica globale: rafforzamento delle capacità deterrenti, non solo nucleari ma anche convenzionali, e preparazione operativa alla difesa armata.
Il paragrafo 32 recita: “la stabilità strategica, ottenuta attraverso un’efficace deterrenza e difesa, controllo degli armamenti e disarmo … resta essenziale per la nostra sicurezza. Il controllo degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione contribuiscono fortemente agli obiettivi dell’Alleanza. L’impegno degli alleati per il controllo degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione mira a ridurre i rischi e migliorare la sicurezza, la trasparenza, la verifica, e la conformità.”
Tuttavia l’impegno effettivo non è per una forma tradizionale di controllo degli armamenti, ma “perseguiremo tutti gli elementi di riduzione del rischio strategico, incluso promuovere la costruzione della fiducia e la prevedibilità attraverso il dialogo, aumentando comprensione e definizione di strumenti efficaci di prevenzione e gestione delle crisi, a … integrare la posizione di deterrenza e difesa dell’Alleanza.”
Non vi è quindi alcuna prospettiva di ricerca di negoziati per le varie urgenti forme di limitazione delle armi nucleari e di controllo della corsa a sistemi tecnologici destabilizzanti, neppure sui punti che negli scambi di proposte fra Russia e NATO dello scorso inverno erano
emersi di comune interesse, come la limitazione di sistemi missilistici di portata intermedia, la definizione di norme per evitare il confronto armato nello spazio e il controllo delle armi cibernetiche.
La NATO si dichiara solo “disponibile a mantenere aperti i canali di comunicazione con Mosca per gestire e mitigare i rischi, prevenire escalation e aumentare la trasparenza. … I nostri rapporti possono cambiare qualora la Federazione Russa fermi il suo comportamento aggressivo e rientri nel pieno rispetto del diritto internazionale.”
Anche i rapporti con la Cina non propongono significativi obiettivi negoziali: “rimaniamo aperti a un impegno costruttivo con la RPC, anche per costruire trasparenza reciproca, al fine di salvaguardare gli interessi di sicurezza dell’Alleanza, … per affrontare le sfide sistemiche poste dalla RPC alla sicurezza euro-atlantica e garantire una duratura capacità della NATO di garantire la difesa e la sicurezza degli alleati.”
Il quadro che il CS della NATO propone per la sicurezza europea nel prossimo decennio, basata su “una deterrenza e una difesa efficaci”, si contrappone al processo che ha portato in Europa al superamento della Guerra fredda, fondato sul principio della “sicurezza comune”, elaborato nel periodo 1980-82 dalla Independent Commission on Disarmament and Security Issues guidata dal presidente svedese Olof Palme, ossia su una politica internazionale finalizzata a soluzioni che rafforzino allo stesso tempo la sicurezza di tutte le parti.
Al posto di una sicurezza comune per i tutti Paesi della zona euro-atlantica (della NATO, della Federazione russa e neutrali), sicurezza che richiede necessariamente un approccio negoziale volto a una sostanziale politica di controllo degli armamenti, si va verso un confronto di potenza, la contrapposizione di due forme di sicurezza unilaterali, entrambe basate su una duplice configurazione dissuasiva, con significative capacità nucleari e forti strutture convenzionali pronte per operazioni belliche effettive; oltre alla dimensione militare, la sicurezza russa richiede la creazione/mantenimento di una fascia protettiva di Paesi “neutrali”, mentre la NATO vuole salvaguardare e potenziare una superiorità tecnologica in tutti i campi.
Ci aspetta quindi una progressiva e profonda militarizzazione dell’Europa, a livelli analoghi, se non superiori, e più pervasivi della vita quotidiana rispetto alla stessa Guerra fredda, nell’abbandono della diplomazia del disarmo, sia nucleare che convenzionale. La seconda Belle Époque è finita.
Una buona analisi, dovrebbe avere più spazio nei mass media e nelle “discussioni” elettorali.
Agenda 17 è una bella risorsa per tanti argomenti importanti, grazie