Mancanza di piogge, fiumi e invasi in secca, mentre l’estate deve ancora iniziare. E non saranno le acque del sottosuolo, da cui dipendiamo in larga parte, a salvarci.
Sovra sfruttamento e inquinamento rappresentano, secondo Legambiente, due grandi pericoli per la principale riserva di acqua potabile del nostro Paese: le acque sotterranee. Nel dossier, presentato per la giornata mondiale dell’acqua 2022, l’Associazione italiana individua la road map con tre proposte: il raggiungimento di un buono stato qualitativo e quantitativo delle falde, un’attenzione agli usi dell’acqua di falda e la messa al bando di alcune sostanze inquinanti.
Secondo le ultime stime riportate nel rapporto mondiale delle Nazioni unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2022, il 99% del volume di acqua dolce allo stato liquido del Pianeta è concentrato nel sottosuolo.
I dati sui prelievi ammontano a 959 chilometri cubi annui estratti nel 2017, il corrispondente di circa ventiquattro volte il Lago Maggiore. In Europa, le falde acquifere forniscono il 65% delle acque potabili e il 25% delle acque per l’irrigazione e secondo la European Environment Agency (EEA) rappresentano una risorsa chiave da tutelare secondo i target dell’Obiettivo 6 dell’Agenda 2030.
Nel nostro Paese qualità e quantità dei corpi acquiferi preoccupanti
La situazione italiana del consumo idrico è tra le più delicate di Europa; lo stress idrico nel Paese è da sempre considerato medio-alto, dichiara Legambiente nel dossier.
Secondo l’ultima indagine ISTAT del 2018, l’Italia detiene il primato europeo di quantità d’acqua potabile pro-capite prelevata, con 9.2 miliardi di metri cubi complessivi.
Di questi ben l’85% è di provenienza sotterranea (pozzi e sorgenti), con Regioni come Val D’Aosta e Umbria che dipendono totalmente dalle acque di falda per uso civile. I prelievi dal sottosuolo superano il 90% delle acque potabili in altre sette Regioni, tra cui le tre con il più alto consumo totale Lombardia, Lazio e Campania. Le acque sotterranee sono quindi un “tesoro da tutelare”, ribadisce Legambiente.
Tuttavia, tale riserva idrica non riceve le dovute tutele. In particolare tenendo conto di due aspetti, la qualità dell’acqua e la portata della falda acquifera, la situazione presenta diversi casi critici.
Secondo il rapporto European Waters 2018 dell’EEA, solo il 58% delle riserve idriche sotterranee italiane soddisfaceva i parametri europei di buona condizione chimica, percentuale ben al di sotto della media europea del 75%.
Per quanto riguarda le sostanze presenti di origine antropica, gli ultimissimi dati dell’annuario dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) per il periodo 2018-2019 riportano che l’82% delle circa 3.800 stazioni di monitoraggio analizzate non presenta superamenti delle soglie di concentrazione delle sostanze inquinanti, tuttavia circa il 18% supera i valori in uno o più casi. Le sostanze più presenti sono solventi come il triclorometano (rilevato in quindici Regioni) e nitrato (quattordici Regioni).
La situazione non è delle migliori neanche per quanto riguarda le condizioni quantitative delle riserve idriche sotterranee. Sempre secondo il rapporto dell’EEA, in Italia quasi il 10% dei corpi idrici sotterranei analizzati si trova in situazione di scarsità.
La situazione più grave si concentra nelle Regioni più a Sud, dove l’abbassamento del livello delle falde porta a fenomeni di intrusione salina con conseguente perdita della risorsa di acqua potabile. In particolare in Puglia il 45% delle riserve si trova in condizioni di quantità critiche.
A livello di obiettivi europei, la Direttiva quadro acque (2000/60) chiedeva agli Stati membri il raggiungimento delle condizioni qualitative e quantitative ottimali delle falde entro il 2015. Tuttavia, Legambiente sottolinea come nessuno Stato membro sia rientrato nei parametri richiesti. Da qui la necessità, secondo l’Associazione del cigno verde, di individuare le principali problematiche assieme alle priorità per migliorare la gestione.
Sovrasfruttamento e inquinamento le principali minacce
Le riserve sotterranee sono per natura rinnovabili e di buona qualità, ma con tempi molto lunghi di ricarica che le rendono vulnerabili alle attività antropiche. Come riportato dall’EEA, la maggior parte dei casi di scarsità in Europa è dovuta a un sovrasfruttamento troppo rapido, che porta a un abbassamento della falda con perdita di carico, e/o intrusioni saline. I cambiamenti climatici porteranno ad accentuare il problema con l’aumento dell’acqua richiesta per l’irrigazione in particolare nel Sud Europa.
Allo stesso tempo, l’inquinamento rappresenta l’altra grande minaccia per la qualità delle acque. Le più comuni sostanze rilevate nelle falde acquifere analizzate nei ventisette Stati membri sono i nitrati e i pesticidi utilizzati in agricoltura. Nel nostro Paese, Legambiente denuncia quattro casi critici, in particolare, due gravi casi di inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, detti PFAS, utilizzati come impermeabilizzanti in numerosi processi industriali e sospettati di essere cancerogeni.
Raggiungimento delle direttive europee, pianificazione dei consumi e divieto di sostanze inquinanti le priorità di Legambiente
Nel dossier l’Associazione presenta tre priorità in risposta alla situazione critica e per una gestione condivisa e sostenibile delle riserve acquifere. I dati ISTAT sottolineano la necessità di raggiungere un buono stato quantitativo e qualitativo dei corpi idrici sotterranei e il confronto europeo indica come gli obiettivi stabiliti dalla Direttiva quadro acque (2000/60), che si sarebbero dovuti raggiungere nel 2015, non possono essere nuovamente disattesi per la nuova deadline fissata al 2027.
Inoltre, Legambiente chiede una pianificazione degli usi dell’acqua, come prelievi o scarichi autorizzati, al fine di ottenere una visione d’insieme dell’impatto di tali attività. Il quadro qualitativo, continua Legambiente, è critico quasi in un quarto dei casi e il solo rispetto dei limiti di legge nel caso singolo non tutela le riserve di acqua sotterranea.
Infine, l’Associazione ambientale propone la messa al bando di sostanze inquinanti e persistenti che sono state ritrovate in numerosi corpi idrici italiani, come PFAS, vari idrocarburi, prodotti farmaceutici o pesticidi di nuova generazione.