Si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra). Da secoli si discute questa sentenza latina. Sostenitori e oppositori si schierano irriducibili su fronti opposti, armati di argomenti che mai intendono deporre.
È quello che accade spesso quando si parla in astratto dei grandi principi, rispetto ai quali la posizione ideologica, l’appartenenza culturale, i riferimenti valoriali tendono a influenzare in maniera determinante i giudizi.
Meglio, molto spesso, affidarsi a un’analisi dei casi. Interrogarsi cioè sul perché quello specifico conflitto è sorto, sul come si sta sviluppando e in che modo agire per ritornare alla pace. Ciò non significa, ovviamente, perdere il proprio personale punto di vista, ma aiuta – quantomeno – a tenere gli occhi ben aperti, cosa che è sommamente importante quando si è in pericolo.
Nel caso dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sembra proprio che la sentenza latina sia pienamente confutabile. Entrambi i Paesi hanno preparato la guerra con forte determinazione per assicurarsi una pace certa.
L’Ucraina ha spinto al massimo la sua richiesta di entrare nell’alleanza militare della NATO, affermando che la partecipazione a una istituzione militare bene armata sarebbe stata la garanzia di una pace ben difesa. Dal canto suo la Russia ha schierato minacciosamente ai confini dell’Ucraina il suo esercito potentissimo e fortemente rinnovato negli ultimi anni, fino a porlo come “forza di pace” (peacekeeping) in una parte del territorio stesso dell’Ucraina conteso da forze armate separatiste.
Il risultato di questa ricerca della pace via approntamento dei mezzi della guerra è sotto gli occhi di tutti.
Lo sviluppo del conflitto, poi, ha tutte le caratteristiche dell’escalation, cioè dell’incremento delle armi così che la parte vincente riesca a imporre la pace. Anche in questo passaggio il risultato è nefasto: c’è il pericolo molto concreto di un conflitto nucleare quantomeno in Europa. Il risultato sarebbe il gelo dell’ “inverno nucleare” che avevamo scampato dalla Guerra Fredda.
Noi partiamo da qui. Agenda17 non fa cronaca né degli scontri armati né delle tragedie che, come sempre nelle guerre moderne, colpiscono i civili più dei militari che le hanno scatenate e che le combattono. Non facciamo neanche il commento delle dichiarazioni, delle scomuniche e delle prese di distanza un po’ farisaiche dei politici, intellettuali, scienziati ecc, che vogliono farci sapere che stanno dalla parte giusta della barricata.
Non lo facciamo perché non facciamo cronaca, a maggior ragione in questi giorni in cui siamo continuamente bombardati da notizie che spesso si confondono con propaganda e disinformazione, grazie anche a uno stuolo di protervi giornalisti con l’elmetto, che tanti non immaginavamo ne contenessero le redazioni. Non lo facciamo soprattutto perché, se è vero che in questo caso la preparazione ossessiva alla guerra non ha portato alla pace, vogliamo sapere perché, vogliamo capire cosa non ha funzionato, vogliamo cercare di cogliere il senso delle mosse degli attori che si affrontano sul campo di battaglia e, soprattutto, nelle retrovie, vogliamo porci nella giusta prospettiva perché finisca e si disinneschi il meccanismo che può riproporla.
Quello che facciamo, pertanto, è cercare di capire la natura della guerra in corso, perché le istituzioni internazionali preposte alla pace non funzionano. Vogliamo conoscere il complesso quadro geopolitico internazionale i rischi che corriamo se la guerra continua e aumenta l’uso delle armi e se nuove armi entrano in campo.
Vogliamo anche conoscere le lunghe catene di sofferenza che i contendenti infliggono anche ai più deboli del Mondo, perché ormai le maglie della globalizzazione, di cui avevamo fatto vanto di prosperità, si stringono al collo di chi è diventato dipendente non solo di gas come noi, che dibattiamo se raffrescare le nostre case, ma soprattutto di chi rischia una fame foriera di altre guerre.
Vogliamo anche aiutare la pace, e per questo ci occupiamo di una “diplomazia scientifica” che sembra aver perso la bussola, spaccando di fatto la comunità scientifica internazionale.
Analisi lucida e laica di ciò che sta accadendo. Proprio ciò che manca ad una informazione, appunto, proterva e che ha da subito indossato l’elmetto aderendo in modo acritico e prono ad una discutibile narrazione degli eventi.
il problema che nessuno sa risolvere riguarda il significato di una pace GIUSTA
Condivido in pieno!
Condivido in pieno l’editoriale di Michele Fabbri, alimentando la guerra fornendo armi la pace si allontana e si fanno solo gli interessi delle grandi economie e non del popolo e di noi cittadini. Dobbiamo dire basta a questa guerra e ci riusciamo solo sostenendo chi davvero la guerra non la vuole e non chi la fomenta da migliaia di chilometri di distanza.