“L’attacco russo all’Ucraina costituisce una grave violazione del divieto di uso della forza. A fronte di tale violazione è naturale rivolgere lo sguardo al ruolo dell’Organizzazione delle nazioni unite (Onu, United Nations UN), istituita dagli Stati vincitori della Seconda guerra mondiale per salvare le future generazioni dal flagello della guerra, e soprattutto al ruolo del Consiglio di sicurezza, che ha la principale responsabilità del mantenimento di pace e sicurezza internazionali” ha affermato Alessandra Annoni, docente di Diritto internazionale presso l’Università di Ferrara, durante l’incontro online “Chi (non) dice Umanità. La guerra in Ucraina e le vie della pace”.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu è composto da quindici Stati, di cui cinque membri permanenti, cioè Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Ognuno di essi ha diritto di veto su qualunque questione non meramente procedurale.
“In ambito giuridico – afferma Annoni – c’è chi sostiene che oggi il diritto internazionale imponga ai membri permanenti di astenersi dall’esercitare il diritto di veto per bloccare una risoluzione finalizzata a impedire, o rimediare a, una violazione di una norma ius cogens, come il divieto di aggressione.
Questa tesi riecheggia la logica dell’abuso di diritto, ma non mi pare trovi supporto nella prassi del Consiglio. Nel 2014, ad esempio, ci fu la proposta francese di segnalare alla Corte penale internazionale la situazione della Siria, perché potesse accertare le responsabilità in termini di crimini di guerra e umanitari. Non passò a causa del veto di Russia e Cina, ma non ci furono grandi reazioni da parte degli altri membri dell’Onu.
È pur vero che le risoluzioni del Consiglio hanno spesso lo scopo di prevenire e reprimere la violazione di una norma ius cogens. La stessa nozione di minaccia alla pace è molto legata al rischio di genocidio o gravi violazioni dei diritti umani. Escludere la possibilità di porre il veto in questi casi finirebbe con l’escluderla, di fatto, dalla maggior parte delle risoluzioni adottate.”
Il veto è già stato usato in altri casi. Ma oggi la condanna della Russia è quasi unanime
“La situazione che stiamo vivendo – prosegue Annoni – non è del tutto inedita. In passato non sono mancati casi in cui le ragioni addotte da un membro permanente per giustificare il proprio intervento armato erano apparse infondate o pretestuose, senza che il Consiglio di sicurezza potesse assumere alcuna iniziativa significativa a causa del veto. Penso, per citare due episodi recenti, all’occupazione della Crimea nel 2014 o all’intervento statunitense in Iraq nel 2003.
Quello che mi sembra inedito oggi sono la condanna ferma e senza appello dell’aggressione russa da parte di quasi tutta la comunità internazionale, la percezione della gravità della violazione commessa e della necessità di reagire, e il desiderio di non rassegnarsi all’idea che le Nazioni Unite siano del tutto impotenti di fronte a una crisi di questo tipo.”
L’Assemblea condanna l’aggressione, ma manca un coordinamento tra gli Stati
In quest’ottica, il 25 febbraio Stati Uniti e Albania, con un’ottantina di altri Paesi, hanno presentato al Consiglio di sicurezza un documento per condannare l’aggressione russa, definita un “assalto alla Carta dell’Onu e alla pace mondiale”. Questa risoluzione ha avuto undici voti favorevoli, tre astensioni (Cina, India ed Emirati Arabi Uniti) e il veto della Russia.
Questo veto ha aperto la strada per l’attivazione della cosiddetta procedura Uniting for peace, disciplinata dalla risoluzione 377 del 1950, la quale prevede che, in una situazione di minaccia alla pace in cui il Consiglio di sicurezza non sia nella condizione, a causa del veto, di esercitare la propria responsabilità per il mantenimento della sicurezza internazionale, l’Assemblea generale possa discutere della situazione e raccomandare agli Stati membri l’adozione di opportune misure contenitive.
La procedura si è conclusa il 2 marzo con l’adozione della risoluzione di condanna dell’aggressione russa con 141 voti a favore, trentacinque astensioni e cinque voti contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria).
“Questa risoluzione – osserva Annoni – è stata etichettata come storica e senza precedenti e per certi aspetti lo è. Cerchiamo però di capire cosa contiene e cosa invece manca.
Anzitutto c’è una condanna netta dell’aggressione all’Ucraina, che definisce uno dei contendenti come aggressore e l’altro aggredito, giustificando così la legittima difesa da parte dell’Ucraina, ma anche un’eventuale legittima difesa collettiva al suo fianco.
Inoltre, a mio parere legittima a livello giuridico, non certo morale, la fornitura di armi all’Ucraina, cioè lo Stato aggredito, senza che possa essere considerata una violazione delle regole sulla neutralità.
Tra le altre cose, la risoluzione chiede poi la cessazione dell’uso della forza e un completo e incondizionato ritiro della Russia entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, quindi anche dalla Crimea.
Dall’altro lato, tuttavia, non prevede misure implicanti l’uso della forza, come l’istituzione di una no- fly zone richiesta dalla stessa Ucraina. L’Assemblea generale non avrebbe potuto imporla perché non ha poteri coercitivi, ma sicuramente avrebbe potuto almeno raccomandarne l’istituzione.
Inoltre, non prevede nulla in tema di sanzioni non implicanti l’uso della forza. In altri termini, non c’è nessuna autorizzazione o raccomandazione ad adottare sanzioni né una presa di posizione rispetto a quelle adottate, in precedenza e unilateralmente, da Stati e organizzazioni internazionali. Di fatto mi sembra che l’Assemblea abbia così rinunciato a svolgere una funzione di coordinamento delle misure adottate dai vari Paesi.”
È necessaria un’assunzione di responsabilità per assicurare giustizia ai crimini di guerra
“Infine – conclude Annoni – manca un richiamo all’accountability, alla responsabilità, che avrebbe potuto assicurare una giustizia a coloro che si macchiano di crimini di aggressione e, in generale, di violazione dei diritti umani.
Nonostante l’Assemblea generale non abbia il potere di riferire una questione alla Corte penale internazionale, infatti, cosa che invece può fare il Consiglio di sicurezza, avrebbe però potuto inserire un richiamo alla necessità di conservare le prove di questi abusi e violazioni, come fatto in altri contesti.
Si tratta quindi sicuramente di una risoluzione storica, perché una condanna così netta forse non l’avevamo mai avuta contro un membro permanente del Consiglio, ma forse non è troppo coraggiosa dal punto di vista delle possibili conseguenze e delle possibili modalità di ricerca di una soluzione collettiva all’interno del sistema delle Nazioni Unite.”