Recentemente, al Padiglione Italia di Expo Dubai 2020, le Università di Ferrara, Bologna, Modena e Reggio Emilia e di Parma, hanno presentato GoGreen Town, un serious game che si propone di introdurre i giovani cittadini ai temi della sostenibilità e della gestione energetica.
Durante la presentazione, il professor Donato Vincenzi, del Dipartimento di fisica e scienze della Terra di Unife, ne ha spiegato il funzionamento, che non si discosta troppo da quello di uno dei più tradizionali giochi da tavolo: il gioco dell’oca.
In GoGreen Town la pedina è una Fiat 500 e durante il percorso, che si sviluppa attraversando la cittadina intelligente di Gogreen, viene chiesto ai giocatori di rispondere a domande sulla gestione della rete elettrica cittadina, cui seguono brevi spiegazioni dell’opzione corretta. Così, i giocatori dovrebbero poter sperimentare il ruolo di gestori di smart grid.
GoGreen Town è solo l’ultimo arrivato di questa frontiera didattica volta a integrare le lezioni tradizionali con il gioco, sia nella sua forma più classica da tavolo, sia nella sua versione digitale.
Un serious game funziona solamente se guidato da studi pedagogici
Da anni, i cosiddetti giochi seri si propongono di integrare l’aspetto ricreativo a quello educativo, in una combinazione denominata edutainment.
L’equilibrio è spesso precario, e il rischio di divergere solo su uno dei due aspetti – o peggio, di non riuscire a soddisfarne nessuno – è molto alto, come mostra una review dell’Università di scienza e tecnologia di Pechino, nella quale vengono presi in considerazione ventinove articoli di studi condotti su scala globale tra il 2005 e il 2015, ciascuno dei quali analizza il rapporto tra il mondo della videoludica e della didattica con simulazioni e test.
Il quadro che ne emerge è estremamente vario e mostra i maggiori successi nel campo dell’apprendimento solo se il videogame è affiancato opportunamente ai metodi più classici.
Per questo motivo lo sviluppo di un prodotto del genere deve essere necessariamente guidato da studi pedagogici al fine educazionale.
“Bisogna ricordare – afferma ad Agenda17 Giorgio Poletti, matematico, pedagogista specializzato in tecnologie per la didattica presso l’Università di Ferrara – che ogni gioco, se affrontato come insieme di dati, e quindi di regole, per raggiungere un obiettivo, è di per sé qualcosa di serio.”
Un serious game raggiunge il suo scopo educativo se rispetta la Tassonomia di Bloom Rivisitata, un criterio a piramide per valutare l’apprendimento di un concetto, sviluppato nel 2001 da Anderson e Krathwohl. Si tratta di un modello a sei livelli che riconosce come base per l’apprendimento la memorizzazione e la comprensione, ma non si limita a quello: un concetto può dirsi veramente interiorizzato se si è in grado di sfruttarlo per creare qualcosa.
Un videogioco che elimina la parte applicativa o di sintesi, ad esempio, non è efficace e non differisce in alcun modo dalla risoluzione di un quiz.
Per lo sviluppo efficace di un serious game, infatti, non ci si può limitare a uno strumento che punta a insegnare solamente tramite le dinamiche di gioco, con prove a tempo, meccanismi a punteggio. Soddisfano i criteri pedagogici, stando allo studio, giochi che combinano il contenuto che si vuole insegnare con un gameplay differente.
La nozione deve essere il mezzo per la risoluzione del gioco, non il fine del gioco stesso. Puzzle games, sparatutto o drag and drop, in cui le parti la parte di memorizzazione e la parte di valutazione e di creazione sono ben distinte, risultano molto più efficaci di semplici giochi a quiz o di test di conoscenza.
I serious game per simulare situazioni verosimili e un apprendimento competitivo
Qualora un serious game soddisfi i requisiti, sono stati evidenziati benefici sia nella fase di lezione per il docente sia nella fase di apprendimento autonomo nello studio personale.
Dal punto di vista dell’insegnante, un serious game correttamente sviluppato permette una pratica più immersiva, specialmente nell’ambito della simulazione. Questo tipo di pratica consente di portare l’ambito applicativo anche in situazioni di didattica a distanza.
Ad esempio, un serious game è stato utilizzato per preparare studenti di medicina a operazioni di sala d’emergenza durante le restrizioni pandemiche del 2020, ricreando uno scenario di verosimiglianza altrimenti impossibile. Per l’insegnante, un serious game ben sviluppato è uno strumento per monitorare i progressi dei propri studenti e di feedback delle lacune di comprensione e competenza.
Sottolinea Poletti: “alcuni professori si scandalizzano vedendo che gli studenti ricercano gli argomenti delle lezioni sul proprio cellulare. Bisogna che gli insegnanti comprendano le potenzialità delle nuove tecnologie non solo come medium, ma come nuovo strumento di interazione tra studente e studente, e tra studente e docente. Questo vale per i telefoni, ma anche per le lavagne multimediali o i cosiddetti serious game.”
Dal punto di vista dello studente, la motivazione tramite l’intrattenimento è il punto principale dell’apprendimento. Questo punto può essere accentuato dalla competitività del serious game tramite meccanismi di premi e punizioni tipiche del videogioco, come l’acquisizione di oggetti o riconoscimenti di rarità diversa e la trasparenza dei punteggi di gioco dello studente. L’interazione e la competitività, sottolinea lo studio, soffrono di maggiori lacune nella didattica a distanza.
E se fossero gli studenti stessi i game designer?
Incrociando la piramide di Bloom con un ulteriore studio pubblicato da GamiLearning nel 2018, emerge che tutta la struttura di apprendimento viene perfettamente soddisfatta se gli studenti sono direttamente coinvolti nella fase di game design.
La ricerca è stata condotta su ragazze e ragazzi di età compresa tra i nove e i quattordici anni durante lo svolgimento di sessioni settimanali di game design: progettare un videogioco su un tema per apprenderlo nella sua totalità.
I risultati sono stati sorprendenti: dopo aver sviluppato Cucina per Robot, un gioco in cui bisogna preparare delle portate per una dieta sana per un esigente robot domestico, sono stati misurati nei designer miglioramenti nelle abilità di studio, di critica, di interazione sociale e organizzative.
La fascia d’età della scuola secondaria, invece, è stata esplorata da uno studio dell’Università di Vienna dello stesso anno del precedente. L’indagine, in questo caso, ha visto protagonisti sia gli studenti che gli insegnanti.
Quasi il 90% dei professori ha riportato un incremento dell’interesse per la propria materia, mentre il 70% ha denotato come la proposta del game design sia “molto efficace ma dispendiosa di tempo”. Se giocare a un serious game è stato paragonato all’attività di lettura, quello di progettarlo è stato paragonato alla scrittura.
In particolare è stato evidenziato come questo tipo di forma di apprendimento sia sempre attivo, abbia come presupposto lo studio e la comprensione e abbia permesso di potenziare il team-work e le capacità di problem solving. (1.Continua)
Molto interessante, ci sono esempi di “serious games” già impiegati a scopi didattici nella scuola secondaria?
Buongiorno Antonio,
Sì, ci sono esempi di proposte di serious games per la scuola secondaria, sempre più efficaci.
Le indico, ad esempio, Molecule Builder in VR come esempio di serious game in grado di sfruttare la realtà aumentata nell’ambito della chimica. In ambito umanistico, invece, ha riscontrato molto successo in Francia la collaborazione tra Nintendo e il museo del Louvre di Parigi attraverso un videogioco-guida del museo realizzato per Nintendo 3DS.
Infine, le segnalo come possibile sviluppo in materia le più recenti aggiunte multimediali ai libri di testo stampati negli ultimi due anni: Zanichelli e altri propongono ora rimandi a attività digitali raggiungibili attraverso la scansione di un codice QR presente sulle pagine del manuale scolastico, di modo che gli studenti possano sfruttare il proprio telefono cellulare come strumento didattico.