La storia si ripete. Con l’ultima ondata pandemica e l’avvento della variante Omicron, le cure per pazienti “non-Covid” vengono di nuovo messe in discussione. L’esperienza maturata nelle prime fasi dell’emergenza Covid-19 ha permesso alle sanità regionali di preparare piani strategici, ma c’è grande differenza fra le diverse Regioni, e non mancano le criticità.
Nel 2020, con gli ospedali al collasso e i lockdown nazionali, l’erogazione dei servizi sanitari essenziali ha subito una brusca frenata in tutto il Mondo. L’epidemia da Sars-Cov-2, il virus responsabile di Covid-19, ha causato non solo danni diretti, legati alle infezioni da Covid-19, ma anche danni indiretti sulla salute, dovuti alla cancellazione di prestazioni sanitarie non urgenti e al timore da parte dei pazienti di recarsi nelle strutture sanitarie.
Secondo il report della Fondazione Gimbe del luglio scorso, in Italia nel 2020 sono stati 1,3 milioni i ricoveri in meno (-17%) e quasi 19 milioni le visite specialistiche ambulatoriali mancate. Non si è trattato solo di una riduzione dei controlli periodici per patologie croniche, sottolinea il report, ma si sono osservati gravi ritardi anche in ambiti in cui la tempestività è cruciale, come le terapie oncologiche o la gestione acuta di ictus e infarti.
L’impatto di queste “cure mancate” sulla salute è difficile da prevedere, ma un segno lo ha già lasciato. Nel primo anno di pandemia il 30% degli oltre centomila decessi in più rispetto al 2019 non era attribuibile direttamente al Sars-Cov-2: questa, secondo la Fondazione Gimbe, la stima dei danni indiretti del Covid-19.
Ora, con i recenti picchi di contagi, il Sistema sanitario nazionale (Ssn) sembrerebbe aver trovato un modo per reagire. “Abbiamo i primi dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che ci dicono che il Sistema sanitario ha ripreso l’attività quasi al 100% – spiega ad Agenda17 Donato Greco, medico epidemiologo, consulente dell’Oms e componente del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid-19 -. Questo non significa che abbiamo recuperato le perdite, ma che siamo in una fase di restaurazione. Il percorso è però chiaramente ancora lungo.”
Meno prevenzione significa aumento delle diagnosi tardive
L’Osservatorio nazionale screening (Ons) ha riportato numeri preoccupanti: nel 2020 sono stati inviati 4 milioni di inviti per screening oncologici in meno e si sono eseguiti 2,5 milioni di screening in meno rispetto al 2019.
Il rinvio degli screening oncologici ha come conseguenza l’individuazione di tumori in stadi più avanzati e quindi più difficili da curare: fare diagnosi precoce di tumore è infatti fondamentale per aumentare le probabilità di successo delle terapie. Nonostante i tentativi delle Regioni di recuperare il terreno perduto, il ritardo ha continuato ad accentuarsi nel corso di tutto il 2020. L’Ons stima che nel 2020 si siano persi oltre 3300 carcinomi mammari, 2700 lesioni precancerose della cervice uterina e 8700 tumori del colon retto.
Oggi, a oltre un anno di distanza, le attività di screening sono riprese, ma con modalità diverse da Regione a Regione e l’impatto a lungo termine del ritardo accumulato rimane da definire. “Il problema non è soltanto quello di attivare i servizi – sottolinea Greco – ma di sconfiggere la paura ad andarci da parte della popolazione.”
L’Emilia-Romagna tiene meglio di altre
Nel 2020 la risposta dei sistemi sanitari regionali all’emergenza pandemica è dipesa, almeno in parte, dalla condizione epidemica locale: la riduzione delle prestazioni non-Covid è stata maggiore nelle Regioni più colpite dalla pandemia. Questo è quello che emerge dal report della Fondazione Gimbe, sia per quanto riguarda le cure oncologiche (interventi chirurgici e screening per tumore al seno e al colon-retto), sia per i ricoveri acuti (ictus e infarto miocardico).
Hanno fatto eccezione quattro Regioni particolarmente resilienti, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e la provincia di Bolzano: nonostante l’alto tasso di contagi hanno mostrato una riduzione delle prestazioni decisamente minore della media nazionale.
Una tendenza che, oggi come nel 2020, si confermerebbe anche per la provincia di Ferrara, secondo Antonio Frassoldati, direttore del Dipartimento oncologico/medico specialistico dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara. Nonostante durante la prima ondata molti servizi siano stati sospesi temporaneamente, “appena è stato possibile, l’attività di follow-up è ripresa – dichiara ad Agenda17 Frassoldati – dando priorità a pazienti in cui, per presenza di sintomi o di risultati di esami dubbi, fosse opportuna una verifica anticipata. Per quanto riguarda le nuove diagnosi, invece, non è mai stata sospesa di fatto l’attività di presa in carico, seppur con qualche ritardo.”
“Nelle ondate pandemiche successive – continua Frassoldati – le attività oncologiche sono invece sempre proseguite senza interruzione, pur con modifiche organizzative che hanno rallentato le attività giornaliere e prolungato il lavoro degli operatori sanitari.”
Nuove strategie, ma i sanitari rimangono oberati
Oggi il Ssn ha il vantaggio di avere alle spalle due anni di esperienza, che hanno permesso almeno in parte di preparare strategie per reagire a un nuovo aumento dei contagi.
“Le strategie adottate riguardano la salvaguardia, per quanto possibile, dei percorsi oncologici – spiega Frassoldati -, la disponibilità a forme di contatto telefonico o telematico, la salvaguardia degli interventi chirurgici oncologici. Dove possibile, si preferiscono trattamenti che richiedono un minor numero di accessi ospedalieri, come ad esempio le terapie orali. È stato aumentato il numero di prestazioni e sono stati prolungati i tempi di attività.”
Rimane invece aperta la questione della carenza di personale e del sovraccarico di lavoro per gli operatori sanitari. Per l’oncologia, questo ha significato che spesso gli oncologi sono stati chiamati a contribuire sia in modo diretto, lavorando all’interno di reparti Covid, sia indiretto, supplendo al lavoro di altri professionisti a loro volta impegnati con malati Covid-19.
“Questa condizione, che si sta prolungando in questa ultima ondata – spiega Frassoldati – ha prodotto forte stress sul lavoro di medici ed infermieri, costretti a un carico di lavoro maggiore e a minore possibilità di recuperi. Molto è stato fatto dalle Direzioni, con assunzioni temporanee di medici, ma la situazione è andata peggiorando quando, all’aumento delle richieste lavorative, si sono sommate la difficoltà a reperire personale, e la diffusione dell’infezione tra i sanitari.”
L’onda lunga della pandemia
Il Ssn ha ripreso in gran parte le sue attività regolari, ma recuperare il ritardo accumulato non è facile. Gli effetti a lungo termine delle cure mancate in pandemia sono difficili da prevedere. Come spiega Frassoldati, “solo il tempo ci potrà dire quanto la pandemia abbia influito sui pazienti oncologici. Quelli che vengono presi in carico infatti hanno percorsi tutto sommato accettabili. Ma non sappiamo quante persone tardino a rivolgersi allo specialista o al proprio medico, o tendano a sottovalutare i sintomi o a rimandare l’approfondimento. L’onda lunga della pandemia in questo ambito non è ancora nota.” (1.Continua)