Dedicato alle 227 persone uccise nel Mondo per il loro impegno in difesa della natura, il rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente evidenzia come, nonostante i lockdown e un calo nei controlli del 17%, anche nel 2020 ci sia stato un aumento dei reati ambientali (+0,6%), delle persone denunciate (+12,9%), degli arresti (+14,2%) e dei sequestri (+25,4%). Nell’anno della pandemia, i reati ambientali accertati hanno toccato l’apice di oltre novantacinque al giorno, circa quattro ogni ora.
Le Regioni maggiormente colpite sono quelle a più alta infiltrazione mafiosa. I reati ambientali riguardano in primis Campania, Sicilia e Puglia, seguite da Lazio (+14,5%) e Calabria. Il maggior numero di arresti, invece, si è avuto in Lombardia. Ben trentadue, infine, i Comuni commissariati per ecomafia.
Su un totale di 34.867 reati, molte sono state le violazioni delle normative nell’attività di impresa, nonostante le prolungate chiusure delle aziende. Tra i più colpiti ci sono però boschi e animali, rispettivamente con 4.233 (+8,1%) e 8.193 illeciti. Solo questi ultimi rappresentano il 23,5% del totale, circa un reato ogni ora.
“L’individuazione degli strumenti necessari alla tutela dell’ambiente è un tema complesso – dichiara ad Agenda17 Costanza Bernasconi, docente di Diritto penale presso l’Università di Ferrara -. La tutela delle risorse naturali non può però essere affidata solo al rafforzamento dell’apparato sanzionatorio, che rimane importante, ma deve essere affrontata in primis in una prospettiva culturale”
Avanza il consumo del suolo, ma si fatica a combattere l’abusivismo
Nonostante un calo dei reati legati al cemento, crescono del 23,1% le persone denunciate e, in un’Italia che ha visto in crescita nel 2020 anche il consumo del suolo, Legambiente sottolinea come dal 2004 al 2021 sia stato eseguito solo il 32,9% delle ordinanze di demolizione. Un dato che cala al 17,4% in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria.
“Per quanto riguarda il problema della demolizione di opere abusive – afferma Bernasconi – le cause sono molteplici ma credo giochi un ruolo rilevante la mancanza di risorse economiche. Le demolizioni sono a carico dei proprietari dei manufatti, ma se questi non agiscono spetta ai Comuni e molti faticano a recuperare le spese.
Inoltre rimane da monitorare l’influenza negativa nei confronti di talune attività di demolizione svolta dalla criminalità organizzata, in particolare nei Comuni all’interno dei quali è riuscita ad infiltrarsi.”
Secondo il dossier “Abbatti l’abuso” di Legambiente, l’Italia è divisa in due: le Regioni del Centro e del Nord fanno più controlli e sanzionano gli abusi, con in testa Veneto e Friuli Venezia Giulia. Nel Sud Italia, invece, tra le Regioni che subiscono una maggiore presenza mafiosa si concentra quasi la metà degli illeciti del cemento (43,4%) ma circa cinque volte su sei l’ordinanza di abbattimento non viene eseguita.
“Occorre tenere distinte – continua Bernasconi – l’esistenza di meccanismi di controllo e sanzione dalla loro concreta applicazione. Il nostro ordinamento dispone di adeguati strumenti giuridici, ma rimangono dei problemi nella loro applicazione, a partire dalla complessità dell’iter burocratico. E finché la normativa è complessa, anche la prassi sarà sempre più complessa. Tuttavia credo che arriveremo a una semplificazione: teniamo presente che il diritto ambientale è relativamente giovane e in alcune parti sconta ancora una certa ingenuità.”
Prioritario tutelare i progetti per la transizione ecologica
Secondo i dati 2020 del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), circa un quarto del fatturato annuo delle mafie deriva dall’ecomafia, poco meno di 20miliardi di euro. Oltre a scempi ambientali, scavi abusivi, abusi edilizi e traffico di rifiuti, la criminalità organizzata si interessa sempre di più al traffico di specie animali e vegetali protette, al racket di animali, al bracconaggio e alla pirateria alimentare.
Con l’arrivo delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), Legambiente ribadisce la necessità di evitare infiltrazioni mafiose nelle opere che serviranno ad avviare la transizione ecologica, dai cantieri per le infrastrutture alla rigenerazione urbana.
A tal proposito, il 22 giugno è stata approvata la “Relazione sulla repressione delle attività predatorie della criminalità organizzata durante l’emergenza sanitaria”, nella quale si esaminano i nuovi rischi legati al momento di emergenza pandemica e di attuazione del Pnrr.
“Il problema dell’infiltrazione mafiosa nella gestione delle risorse del Pnrr – osserva Bernasconi – è stato da subito evidenziato a più livelli. Questa Relazione insiste sulla necessità di ‘una chiara attenzione al pericolo delle infiltrazioni mafiose, che deve essere concretizzata in un impegno sia in ottica di prevenzione che nella fase di monitoraggio dei progetti che diventeranno parte del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza’.
Inoltre, l’Unità di informazione finanziaria (Uif) presso la Banca d’Italia ha ribadito che le misure antiriciclaggio esistenti rappresentano già uno strumento efficace di intervento. Si tratta perciò da un lato di monitorare il rischio specifico a livello istituzionale, dall’altro di usare questi strumenti per segnalare possibili attività di riciclaggio e corruzione.”
Evitare pene troppo severe per i reati minori per ripristinare la legalità
Accanto alla criminalità organizzata ci sono poi gli abusi commessi ogni giorno anche da soggetti lontani dalla mafia e che, secondo Snpa, rischiano di rimanere impuniti a causa di condoni, indulti e amnistie.
La maggioranza dei reati ambientali minori è classificata infatti come contravvenzione, dunque punita con pene inferiori. Una svolta c’è stata nel 2015 con l’introduzione dei delitti ambientali nel Codice penale. Rispetto al Codice dell’ambiente del 2006, sono stati introdotti sei nuovi delitti: inquinamento, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale radioattivo, impedimento del controllo, omessa bonifica e ispezione di fondali marini.
Nel 2020 sono stati aperti 883 procedimenti penali, soprattutto inerenti il delitto di inquinamento (477) e sono cresciute le Procure che hanno risposto all’appello di monitorare l’applicazione di tale legge, denotando una sempre maggiore attenzione a questo tipo di crimini.
“Il settore ambientale – afferma Bernasconi – è nevralgico sotto il profilo dei rapporti tra diritto penale e corpo sociale il quale, trattandosi di un tema sensibile, vuole partecipare alle scelte in materia. Il problema è che dal punto di vista giuridico la questione è molto complessa.
Non escludo che visioni politiche diverse possano influenzarne la gestione: la stessa formulazione della riforma del 2015 non è ineccepibile, perché frutto di inevitabili compromessi.
Nondimeno, non attribuirei una certa ‘impunità’ ad amnistie e condoni, se si considera che da molti anni non si è più fatto ricorso a questi strumenti. Inoltre non bisogna confondere il condono con la sanatoria.
Con il condono si ‘spazzavano via’ certi illeciti che di fatto rimanevano tali, mentre con la sanatoria l’irregolarità formale (ad esempio eseguire dei lavori senza l’autorizzazione necessaria) è sanata con l’ottenimento della doppia conformità: gli interventi devono cioè essere realizzati nel rispetto della normativa urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro esecuzione e risultare conformi alle norme vigenti al momento della richiesta di sanatoria.
In questo modo non rimane alcuna forma di illegalità e si regolarizzano situazioni che non sono offensive dell’assetto territoriale, perché le opere sono state eseguite in conformità alla legge.
Nel diritto penale ambientale ci sono diverse forme di estinzione o attenuazione del reato, che non sono da disprezzare perché la non punibilità è legata a un ripristino della legalità ed è quindi funzionale a una tutela, sia pure in estremo, delle risorse ambientali.”
Prevedere i reati “minori” è comunque indispensabile
A settembre è stata approvata l’ultima riforma della giustizia, con la quale un processo si prescrive se i giudizi di appello e Cassazione durano più di due e un anno. Per alcuni reati particolarmente gravi, come l’associazione mafiosa o la violenza sessuale, è prevista la possibilità di una proroga dei termini.
Diverse associazioni hanno firmato un appello per impedire che l’improcedibilità si applichi agli ecoreati, chiedendo al Governo di inserirli tra quelli cui è “garantito tutto il tempo necessario per fare giustizia”. Gli accertamenti necessari per questo tipo di reati, sostengono, sono lunghi e complessi e il rischio è che i termini di prescrizione passino velocemente.
In tutti gli ambiti, compreso l’ambiente, il nostro ordinamento prevede discipline diverse per delitti e contravvenzioni, perché si tratta di reati strutturalmente diversi. Con i primi si sanzionano le forme più gravi di aggressione all’ambiente, mentre l’esistenza di illeciti “minori” di natura contravvenzionale mira a sanzionare attività che, singolarmente considerate, hanno una modesta offensività.
Per essi il legislatore ha costruito una congrua disciplina, sia sotto il profilo sanzionatorio sia nei termini di prescrizione. “Dal mio punto di vista – commenta la giurista – è giusto che rimangano illeciti minori, perché sono quelli che quotidianamente cercano di impedire che l’offesa progredisca verso forme più gravi.
In altre parole svolgono un’importante funzione di prevenzione e di certo non possono essere paragonati ai grandi delitti perché hanno natura formale, per cui è logico che prevedano pene diverse.”
I tempi di prescrizione per i reati ambientali sono adeguati, il problema è la lentezza della giustizia
Per quanto riguarda la prescrizione, infine, la legge del 2015 aveva già raddoppiato i tempi per i delitti ambientali. “Tale deroga alla prescrizione ordinaria – conclude Bernasconi – è stata criticata da più parti poiché ha portato a termini estremamente dilatati, soprattutto se consideriamo che l’accertamento di un reato ambientale dopo venti o trent’anni non è ragionevolmente percorribile.
Il rischio è che il discorso diventi ideologico, mentre dobbiamo ragionare in termini sistematici.
Sotto il profilo della prescrizione non ci sono oggi grossi limiti, anzi per i delitti ambientali i termini sono molto già elevati. Il problema piuttosto riguarda la lentezza della giustizia, ma si estende a tutti i reati, e la durata dei procedimenti non può sempre essere scaricata sull’imputato.”