“Quando si parla di iniziative giudiziarie bisogna saper distinguere: ogni caso è un caso a sé, e come tale va analizzato – afferma Marco Magri, docente di Diritto amministrativo presso l’Università di Ferrara -, come si evince dalle recenti sentenze che hanno visto condannare in Germania il governo federale e in Olanda una multinazionale energetica come la Shell.
Le differenze emergono già sotto il profilo dei proponenti, siano essi privati o Organizzazioni non governative (Ong), ma soprattutto dei soggetti che vengono citati in giudizio, dove riscontriamo la presenza di Stati sovrani, come nel caso tedesco, ma anche grandi compagnie private come la Shell, nei Paesi Bassi. Analogie, se ci sono, vanno quindi cercate e trovate più sul piano ideologico.”
“Se ci si sofferma su alcuni aspetti salienti del caso italiano Giudizio Universale – prosegue il giurista –, la definizione della nostra Penisola come zona di frontiera e hot-spot climatico sul piano giuridico non ha molta rilevanza, fermo restando che il cambiamento climatico in atto è indiscutibile.
Quindi credo che il giudice, nell’esaminare questo punto specifico, terrà conto che la causa scatenante e il luogo da cui si originano questi fenomeni climatici estremi sono spesso molto distanti da dove poi si manifestano, come nel caso degli eventi che investono il nostro Paese.”
Nel nostro ordinamento il diritto non può essere sottoposto alla scienza
I proponenti della causa “Giudizio Universale” individuano alcuni vincoli che, sebbene imposti dalle diverse fonti del diritto climatico, a livello nazionale e internazionale, lo Stato italiano non avrebbe rispettato.
Uno di questi è la cosiddetta “riserva di scienza”, secondo cui la scienza esercita un doppio ruolo di “fondamento” e “orientamento” delle scelte operate dalla politica.
Secondo Magri vi sono non poche perplessità che questo principio possa trovare accoglimento nel campo del diritto.
Infatti, come quando nell’ambito giuridico ci si riferisce alla cosiddetta “riserva di legge”, principio costituzionale secondo il quale solo una specifica autorità, come ad esempio il Parlamento o il Governo, è abilitata a porre una determinata regola, va usata cautela nell’estendere questa facoltà anche all’ambito scientifico, senza che ciò sia espressamente previsto dalla nostra Carta costituzionale.
Se questo avvenisse, significherebbe ammettere che il diritto, quindi la politica, in taluni casi possono o addirittura devono essere soggetti alla scienza.
In ambito comunitario, ad esempio, il “principio di precauzione” è espressamente previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue).
“In forza di tale principio giuridico – argomenta Magri – viene stabilito che una norma debba basarsi su una regola scientifica, secondo un nesso di compatibilità.
Ma è cosa diversa affermare, come mi par di capire, che vi sono interi settori dai quali il diritto deve star fuori perché decide la scienza.”
In questo modo i meccanismi decisionali democratici e rappresentativi di produzione del diritto rischiano di diventare marginali perché indirettamente sostituiti grazie a iniziative giudiziarie.
Il concetto di “riserva di scienza”, peraltro, potrebbe rivelarsi inutile perché “il legislatore e di conseguenza il giudice – afferma Magri – in accordo ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, nelle loro valutazioni operano sempre un bilanciamento nella tutela di diversi interessi”, quali salute, ambiente, libertà economica.
Il “principio di precauzione climatica” va inquadrato nel contesto costituzionale vigente
Il principio di “precauzione climatica’”, uno di quelli posti a fondamento del ricorso, è sì previsto dalle fonti internazionali quali il Tfue e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ma il suo mancato rispetto da parte dello Stato italiano “va posto in relazione a una norma giuridica esistente e – secondo Magri – va adeguatamente bilanciato con i canoni di ‘ragionevolezza’ e ‘proporzionalità’, criteri ben noti e applicati nell’ambito della giurisprudenza italiana, soprattutto costituzionale.”
La sentenza dell’Alta corte tedesca difficilmente potrà essere di esplicito riferimento nel caso italiano, perché in Germania sono vigenti altri principi costituzionali rispetto ai quali sono state impugnate precise norme giuridiche giudicate illegittime da quella Corte federale.
“In ogni caso – ribadisce il giurista – non è pensabile che il giudice si possa sostituire al legislatore perché questi, nell’attività di sua competenza, non si è dimostrato abbastanza ‘ambizioso’ nell’attuare il ‘principio di precauzione climatica’ a fronte del pericolo di eventi climatici distruttivi per il Pianeta o per un determinato ecosistema.
Se ciò avvenisse – avverte Magri – si rischierebbe di tornare all’eterna logica dell’emergenza in nome della quale si tenta di bypassare le normali procedure democratiche secondo una logica già intravista in altre stagioni, come quelle della lotta a fenomeni criminali ed eversivi.”
Il nuovo quadro normativo europeo potrebbe essere d’aiuto, se ben applicato
Nel frattempo è intervenuta una rilevante novità sul piano legislativo comunitario.
Dopo la citazione in giudizio del Governo italiano, “è stato approvato il Regolamento n.1119/2001 del 30 giugno 2021, che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica.
Il Regolamento, che in quanto tale è strumento legislativo direttamente applicabile negli Stati membri dell’Unione Europea, recepisce e detta precisi criteri, limiti e soprattutto termini temporali da rispettare per raggiungere entro il 2050 l’obiettivo della neutralità climatica stabilito dagli Accordi di Parigi.
“È chiaro – sottolinea Magri – che a livello nazionale questa nuova fonte di armonizzazione normativa europea favorirà una più precisa attuazione e messa in pratica degli accordi posti in essere, e porrà ancor di più al centro dell’agenda politica, anche da un punto di vista del dibattito pubblico, il tema della transizione ecologica.”
Resta da valutare come l’Italia darà esecuzione a quanto stabilito nel Regolamento appena entrato in vigore e soprattutto se tutto ciò confluirà nella causa pendente dinanzi al Tribunale civile di Roma.
“Ma al momento – prevede il giurista – non si hanno elementi per capire se e come questa nuova fonte legislativa possa influenzare il giudizio in corso.”
Difficile oggi prevedere l’esito giudiziario, ma il suo impatto “mediatico” è assicurato
“Se per ipotesi lo Stato italiano dovesse essere condannato ad agire, prospettiva non facile a realizzarsi – secondo Magri -, in fase esecutiva andranno stabiliti precisi criteri e limiti per ottemperare alla sentenza.
Non potrà comunque trattarsi di meri moniti, generiche enunciazioni di principio, altrimenti si tratterebbe di una sentenza ‘politica’ e, come tale, non proprio aderente al nostro ordinamento giuridico.”
Anche nel caso in cui lo Stato italiano venisse giudicato inadempiente rispetto a una precisa norma legislativa resta una sostanziale differenza rispetto al precedente tedesco.
“In Germania – precisa il giurista – è previsto il ricorso diretto anche del singolo cittadino dinanzi alla Corte costituzionale, mentre in Italia dovrà eventualmente essere il Tribunale di Roma, su richiesta di una delle parti in causa, a valutare se sussistono fondati presupposti per rimettere il giudizio dinanzi alla Corte costituzionale.”
Non è facile formulare previsioni sull’esito della causa all’interno di un quadro normativo in piena evoluzione, ma “se la vittoria in ambito giudiziario è un’evenienza a oggi alquanto improbabile – prevede Magri -, nel caso ciò accadesse innescherebbe verosimilmente una serie di ricorsi in Appello e poi in Cassazione da parte dello Stato italiano”, provocando un sicuro impatto mediatico sull’opinione pubblica.
Vi sono ambiti di azione legale proficui ma poco conosciuti dall’opinione pubblica
“Invece – aggiunge il giurista – un tema interessante e finora poco esplorato dai media potrebbe essere quello che vede talune Istituzioni europee, intese in senso lato, non sempre coerenti nelle politiche perseguite nell’ambito della stessa Unione europea.”
A questo proposito, afferma: “Meritano una menzione speciale le iniziative della Client Earth, una Ong molto ben strutturata che, a seguito di una propria iniziativa giudiziaria promossa dinanzi alla Corte di giustizia europea, ha fatto condannare la Banca europea per gli investimenti (Bei) proprio perché aveva concesso un finanziamento per un progetto industriale da realizzare in Galizia (Spagna) non in linea con le direttive green perseguite dall’Unione.”
La nuova policy della Bei, infatti, vieta, a partire dal gennaio 2022, nuovi finanziamenti per la produzione di energia con fonti fossili, ed entro il 2025 impone di innalzare la quota di prestiti contro il cambiamento climatico dal 30% al 50%. Tutto questo in previsione di un completo allineamento agli Accordi di Parigi con l’obiettivo dichiarato di far sì che entro il 2030 gli investimenti green sostenuti raggiungano la quota di circa mille miliardi.
La nuova sfida potrebbe essere quella di far emergere in un ambito più vasto possibile, come quello europeo, le contraddizioni latenti spesso non facili da percepire.
Qui potrebbe svilupparsi il vero nuovo campo di azione delle associazioni ambientaliste in ambito giudiziario.
“Facendo leva sui sempre più robusti strumenti normativi adottati – conclude Magri – si renderà più difficile eludere i vincoli progressivamente più stringenti che vengono imposti in ambito nazionale e internazionale, per ottenere pronunce giudiziarie vincolanti per gli Stati membri e le stesse Istituzioni europee, in tutte le loro articolazioni non solo politiche ma anche finanziarie.”