La crisi climatica è in atto. Non lo testimoniano solamente le cronache giornalistiche di ricorrenti disastri; la conferma autorevole è già nel sesto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), di cui è stato pubblicato in agosto il primo volume.
Si tratta di una corposa anticipazione di un gigantesco meta-studio che analizza e mette in relazione oltre 40mila paper già pubblicati e costituirà la base scientifica di confronto della prossima Conferenza delle parti delle Nazioni unite sul cambiamento climatico (Cop26), che si terrà a Glasgow dal 1 al 12 novembre 2021.
Un report che, a distanza di sette anni dall’ultimo (quello poi confluito nell’Accordo di Parigi del 2015) traccia un quadro ancor più dettagliato e impietoso dell’aggravarsi della situazione.
Unica novità positiva di rilievo per gli accordi è il ritorno degli USA, grazie al nuovo corso politico impresso da Biden.
Il problema però rimane: in un quadro caratterizzato da variabili multiple e interdipendenti non certo confinabili in ambito locale, sarà difficilissimo raggiungere accordi efficaci su modi e tempi per realizzare la transizione ecologica ed energetica.
L’obiettivo è complesso e le strategie per il conseguimento sono ora affidate anche in Italia a un apposito dicastero, il Ministero per la transizione ecologica (Mite) con compiti di coordinamento politico e con competenze multiple e trasversali.
Nuovi attori protagonisti diretti del cambiamento
Ma cittadini e associazioni ambientaliste, insoddisfatti per la lentezza con cui viene affrontato il problema dalle istituzioni, non vogliono più rimanere solo spettatori.
Vogliono contare, stimolare, rendersi artefici del cambiamento delle politiche attive da mettere in campo per affrontare l’emergenza presente e scongiurare la paventata catastrofe futura.
Sulla base di questi principi, nell’ultimo decennio diversi Paesi sono stati citati in giudizio da cittadini e associazioni ambientaliste per inadempienza climatica.
La prima causa al mondo è stata promossa dalla fondazione Urgenda che ha citato in giudizio il governo olandese. Nel 2015 la Corte distrettuale dell’Aia ha decretato la necessità di limitare le emissioni del 25% (rispetto ai valori del 1990) entro il 2020.
Nel 2018 le emissioni erano state ridotte solamente del 15%. Di conseguenza, la Corte suprema dei Paesi Bassi ha emesso la sentenza definitiva del 20 dicembre 2019, con il riconoscimento che il riscaldamento globale e le sue conseguenze stanno provocando una violazione dei nostri diritti fondamentali. La sentenza ha imposto allo Stato un’azione immediata per il contrasto dei cambiamenti climatici.
Nel 2017 l’organizzazione Friends of the Irish Environment (FIE) ha intentato un’azione legale nei confronti del governo irlandese. L’accusa è rivolta all’inconsistenza del Piano nazionale di mitigazione, promosso dal governo per favorire la transizione ecologica, ma insufficiente per rispettare gli accordi internazionali.
La sentenza è arrivata il 31 luglio 2020. La Corte ha ritenuto inadeguato l’operato del governo, affermando che il Piano nazionale di mitigazione non è sufficientemente per poter guidare la transizione ecologica, definendolo vago, astratto e incompleto. A seguito di questa sentenza, lo Stato ha dovuto formulare un nuovo piano, più adeguato, per il raggiungimento degli obiettivi climatici.
In Colombia venticinque attivisti hanno citato in giudizio le autorità pubbliche per l’inadempienza degli accordi internazionali che prevedono la riduzione della deforestazione dell’Amazzonia. L’accusa afferma che tale inadempienza lede i diritti fondamentali all’ambiente sano, alla vita, alla salute, al cibo e all’acqua.
Nell’aprile 2018 la sentenza è a favore dei ricorrenti. E non solo: la Corte suprema riconosce la Foresta amazzonica come “soggetto di diritti”, una definizione ufficiale che obbliga lo stato a preservare e conservare l’ecosistema amazzonico.
È poi il turno della Germania, in cui nove giovani attivisti nel 2019 accusano la legge federale sulla protezione del clima di essere poco efficace per il raggiungimento degli obiettivi climatici. La legge, in vigore dal 2019, prevede la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030.
La sentenza storica del 29 aprile 2021 decreta l’incostituzionalità delle misure contestate che, in particolare, ledono al diritto fondamentale alla libertà. Infatti la legge federale non prevede un’adeguata riduzione delle emissioni e rimanda la maggioranza degli sforzi dopo il 2030, caricando di responsabilità le generazioni future.
A quel punto, le azioni messe in atto per la riduzione delle conseguenze dei cambiamenti climatici porteranno probabilmente a restrizioni nella libertà personale degli individui. Alla luce di tale sentenza il governo ha proposto un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni, del 65%, entro il 2030.
Ultimo, in ordine di tempo, il caso della Francia, dove quattro associazioni (Greenpeace France, Oxfam France, la Nicolas Hulot Foundation e Notre Affaire a Tous) hanno promosso la campagna L’Affaire du Siècle, sfociata nella prima causa collettiva contro lo Stato francese. La petizione a sostegno della causa ha raccolto ben 2,3 milioni di firme, divenendo così la petizione più supportata nella storia della Francia.
Il 3 febbraio del 2021 è arrivata la sentenza: lo Stato francese non ha intrapreso sufficienti azioni per contrastare i cambiamenti climatici. Non solo: secondo il Tribunale, le inadempienze stanno ostacolando la difesa dei diritti e degli interessi collettivi perseguita dalle associazioni ricorrenti e, per loro, ha previsto un risarcimento simbolico.
In risposta, il governo ha presentato un elenco di azioni in fase di avvio che permetteranno alla Francia di rispettare gli accordi internazionali.
Il caso italiano
Il nostro Paese si trova in una zona particolarmente vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici, un cosiddetto hotspot climatico.
I dati parlano chiaro: secondo il report “Il clima futuro in Italia” dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra), le temperature nel nostro Paese aumenteranno tra i 1,9ºC e i 3,3ºC considerando il meno catastrofico degli scenari ipotizzati, e, secondo il “World Atlas of Desertification”, strumento creato dal Joint research centre dell’Unione Europea per fornire una valutazione del degrado del suolo a livello globale, l’Italia è uno dei Paesi più colpiti, almeno il 20% del territorio è a rischio desertificazione.
Le zone costiere saranno particolarmente colpite poiché alla desertificazione si andranno a sommare le conseguenze dell’innalzamento del livello del mare.
A oggi, l’Italia è tra le nazioni più interessate dagli eventi estremi, il Global Climate Risk Index 2021, che analizza quali sono le zone più colpite da eventi meteorologici estremi nel ventennio 2000-2019, ci posiziona al ventiduesimo posto, con perdite economiche dovute agli eventi estremi di più di 33mila miliardi di dollari e circa 20mila morti.
Nonostante lo Stato italiano abbia riconosciuto giuridicamente che siamo in una situazione di “minaccia urgente” potenzialmente irreversibile, non sta agendo di conseguenza, almeno secondo molti osservatori, tra cui numerose associazioni ambientaliste.
Tenendo conto di questa situazione è in corso da due anni la campagna di sensibilizzazione intitolata Giudizio Universale, che ha promosso la causa contro lo Stato italiano con il supporto legale della Rete “Legalità per il Clima”.
Giudizio Universale
L’iniziativa legale che ha preso il via il 5 giugno 2021, a nome di più di 200 attori – tra cittadini, anche minorenni, e associazioni – rappresenta la prima azione climatica promossa contro lo Stato italiano.
I ricorrenti rivendicano il “clima stabile e sicuro” come diritto umano fondamentale. Le conseguenze dei cambiamenti climatici vanno a ledere alcuni dei diritti fondamentali dell’uomo, come il diritto alla vita e il diritto alla salute. Il diritto al clima stabile e sicuro è inteso come presupposto costitutivo del diritto alla vita in condizioni di stabilità del sistema atmosferico, sicurezza dei processi antropogenici e compatibilità ecosistemica delle azioni umane.
Sono coordinati dall’associazione “Asud Ecologia e Cooperazione”, la cui portavoce, Marica Di Pierri, è anche l’autrice del libro “La causa del secolo” nel quale racconta gli avvicendamenti del primo importante contenzioso sui cambiamenti climatici italiano.
Alla stesura del libro hanno partecipato anche Filippo P. Fantozzi, legale, e Maura Peca, ingegnere ambientale. La prefazione è di Luca Mercalli, meteorologo e presidente della Società metereologica italiana (Smi).
In questo dossier, Agenda17 illustra il percorso che ha portato all’intento della causa. Su quali dati si basa? Come è stata impostata? Fino a dove è possibile arrivare ricorrendo alla giustizia? quali sono le prospettive future di questo evento di portata storica?
Secondo Mercalli, Giudizio Universale serve perché la politica fatica a dare risposte
Fra i promotori della causa legale c’è il meteorologo Luca Mercalli, che ha abbracciato l’iniziativa Giudizio Universale nella sua duplice veste di presidente della Società meteorologica italiana (Smi) e di privato cittadino.
La sua scelta parte da una constatazione: la politica è sottoposta a troppe pressioni, sia economiche sia sociali. Il modo di affrontare il problema climatico presenta, infatti, due punti deboli: realizza il suo obiettivo su tempi lunghi e non assicura che si agisca su scala globale, come un approccio serio richiederebbe.
Da qui la lentezza nel prendere le decisioni e la loro sostanziale scarsa rilevanza. Si fa in modo di non disturbare i portatori di interesse contrari ai pur necessari provvedimenti legislativi da approvare.
Se Il buon senso non basta più, se le armi dell’informazione e delle decisioni nei consessi democratici sono spuntate, secondo il climatologo, va usato anche lo strumento giudiziario per obbligare chi deve agire, ora, per evitare che chi verrà dopo di noi debba pagare il prezzo dei nostri errori e della nostra inerzia.
Leggi tutto Luca Mercalli: ci rimane poco tempo; Giudizio Universale è la “Causa del secolo”
Al centro della causa c’è il fatto che la crisi climatica è giuridicamente diversa da ogni altro problema ambientale
L’atteggiamento prevalente è considerare il tema climatico al pari di un qualsiasi altro tema ambientale. Il che significa non aver compreso nulla dell’esperienza inedita, drammatica e ultimativa dell’emergenza climatica, avverte Michele Carducci, docente di Diritto costituzionale comparato e climatico nell’Università del Salento, dove coordina il Centro italiano di analisi ecologica del diritto e diritto climatico comparato, ed esponente della rete “Legalità per il Clima”, riferendosi al modo in cui lo Stato italiano gestisce la propria politica ambientale in relazione ai cambiamenti climatici.
“Se il giudice civile condannerà lo Stato ad abbattere le emissioni climalteranti nella quantità superiore a quella attualmente programmata, si aprirà uno scenario inedito e importante per i cittadini italiani.”
L’iniziativa giudiziaria non è sempre la strada giusta, ma ora c’è un nuovo quadro giuridico Ue
Ogni caso giudiziario va analizzato singolarmente, afferma Marco Magri giurista di Unife, riferendosi a Giudizio Universale. Le analogie con altre cause intentate contro lo Stato in altri Paesi, se ci sono, vanno cercate e trovate più sul piano ideologico.
C’è però un’importante novità sul piano legislativo. Subito dopo la proposizione della causa contro lo Stato italiano è stato approvato il nuovo Regolamento del 30 giugno 2021, che istituisce nell’ambito dell’Unione europea il nuovo quadro di parametri e obiettivi per il conseguimento della neutralità climatica.
Il Regolamento, strumento normativo direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, detta precisi criteri, limiti e soprattutto termini temporali da rispettare per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 stabilito dagli Accordi di Parigi.
Questa nuova fonte di armonizzazione legislativa europea favorirà una più precisa attuazione e messa in pratica degli accordi posti in essere anche a livello nazionale e metterà ancor di più al centro dell’agenda politica, anche da un punto di vista del dibattito pubblico, il tema della transizione ecologica.
La nuova sfida, secondo Magri, è ora far emergere in ambito più vasto, come quello europeo, le contraddizioni latenti e la mancata armonizzazione a livello legislativo e regolamentare che sussiste tra Paesi membri e anche tra le diverse istituzioni comunitarie.
Questo potrebbe essere il vero nuovo campo di azione delle associazioni ambientaliste in ambito giudiziario.