Paulo Freire (1921–1997), brasiliano, ha inventato e messo in pratica una scuola fondata sul dialogo e la qualità dell’esperienza di apprendimento, che è ancora attuale decenni dopo la sua formulazione.
La metodologia sviluppata da Freire, originariamente all’interno di un programma di alfabetizzazione per adulti nel Nordest del Brasile nei primi anni Sessanta del secolo scorso, si caratterizza per l’uso di quelle che l’educatore stesso chiama “parole generatrici”: parole che provengono dal vissuto di chi impara, da usare per mantenere alto l’interesse e favorire l’apprendimento.
Si tratta di un approccio che mette al centro il dialogo e l’attenzione verso l’esperienza di vita di chi apprende: il discente non è ascoltatore passivo ma interlocutore attivo in un processo di costruzione collettiva della conoscenza. Nella sua prima sperimentazione, questo metodo permise a 300 braccianti analfabeti di imparare a leggere e a scrivere in soli quarantacinque giorni e quaranta ore effettive di insegnamento.
“Riferirsi alle idee forti che sottostanno a tale approccio – spiega ad Agenda17 Elena Marescotti, docente di Educazione degli adulti presso l’Università di Ferrara – è quanto consente al pensiero di Freire di essere sempre attuale, anche in tempi e contesti assai differenti rispetto a quelli di originaria applicazione.”
I valori su cui si fonda la visione educativa di Paulo Freire spiccano nei titoli dei suoi lavori più noti: L’educazione come pratica di libertà (1967), Pedagogia degli oppressi (1968), Pedagogia in cammino: lettere alla Guinea-Bissau (1978), Pedagogia della speranza (1992), Pedagogia dell’autonomia (1996).
Tra i temi più significativi, Marescotti sottolinea l’emancipazione, la libertà, lo sviluppo della coscienza critica da parte di chi apprende e il ruolo dell’alfabetizzazione. Non si tratta di alfabetizzazione in senso solo strumentale – leggere, scrivere e far di conto – ma, soprattutto, funzionale, finalizzata alla comprensione, rielaborazione e costruzione dei messaggi e dunque alla partecipazione sociale.
E aggiunge: “Non ultimo – per entrare nel vivo anche di istanze contemporanee nel contesto dell’educazione e dell’apprendimento permanente – le strutture stesse della cosiddetta educazione degli adulti: il valore delle esperienze di vita, del dialogo, della sfida a destini che sembrano già irrimediabilmente segnati.”
Reinventare continuamente l’educazione degli adulti. I corsi per migranti
Nell’alfabetizzazione degli adulti, un simile approccio può voler dire mettere da parte libri di testo astratti, lontani dall’esperienza quotidiana e partire invece, ad esempio, dalla discussione di rivendicazioni sindacali o dalla lettura della busta paga.
“In Italia, il metodo Freire, in senso stretto, ha trovato e può trovare occasioni di sperimentazione e sviluppo in tutti i contesti in cui il possesso dell’alfabeto come controllo di una strategia di pensiero, di comunicazione e di azione sono cruciali – prosegue Marescotti –. Penso alle esperienze delle cosiddette ‘150 ore’ per gli adulti lavoratori dagli anni Settanta in poi, ma anche alle realtà di istruzione degli adulti di oggi, nei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti per esempio.”
Oggi, pur con le specifiche differenze del caso, questo approccio ha trovato una nuova vita nei corsi di lingua per l’integrazione dei migranti. L’apprendimento di una seconda lingua nel Paese di accoglienza è molto diverso dall’alfabetizzazione in lingua madre concepita originariamente da Freire, e la comunità migrante non è monolitica, il che rende meno ovvia la ricerca delle parole generatrici.
Tuttavia, diverse sperimentazioni – dal Veneto alla Calabria – hanno dimostrato il valore di una metodologia che parta dal contesto di chi impara e lo valorizzi ai fini dell’apprendimento: dall’uso di parole prossime a quelle presenti nella lingua di chi apprende, alla scelta di affiancare altri alfabeti a quello latino.
“Come tutti i cosiddetti ‘metodi educativi’ – afferma Marescotti – anche il ‘metodo Freire’ corre sempre il rischio di essere riduttivamente considerato come un insieme di tecniche e di pratiche spicciole da applicare alla stregua di una procedura pre-confezionata.
In realtà, pur rispettandone gli aspetti di struttura, è importante soprattutto riferirsi esplicitamente alla ratio che innerva di significato tale metodo: l’appropriazione, la padronanza, la partecipazione, la ricerca, la creazione di cultura.”
Sono questi elementi che permettono al metodo di essere costantemente reinventato, come auspicava lo stesso Freire, e adattato a pratiche e contesti nuovi.
Secondo la docente Unife, si tratta di un approccio che può “imprimere una curvatura didattica ben precisa anche ad attività che non sono necessariamente di alfabetizzazione primaria in conclamati contesti di povertà, disagio o marginalità.”
La proposta freiriana di alfabetizzazione come pratica di libertà, emancipazione e partecipazione sociale attiva persegue infatti molti degli obiettivi dell’Agenda 2030 – istruzione di qualità accessibile a tutti, senza discriminazioni, fondata sulle pari opportunità, l’uguaglianza sociale, la convivenza pacifica, la cittadinanza e lo sviluppo sostenibile – prima ancora che fossero codificati come tali.
L’educazione mette in discussione la società
Nella Pedagogia degli oppressi, Paulo Freire critica il concetto di educazione “bancaria”, basata sull’atto di depositare nozioni, trasferite dal docente agli allievi che le restituiscono poi così come sono state impartite. A questa, contrappone la sua visione problematizzante, incentrata sul dialogo, che fornisca a tutti gli strumenti per leggere il mondo in cui si vive e intervenire su di esso in maniera responsabile.
“Vale la pena chiedersi – aggiunge Marescotti – se non siano proprio le realtà considerate più evolute e avanzate a necessitare di una profonda azione educativa di disvelamento e di significazione.”
Una riflessione che tocca la società tutta: solo un individuo culturalmente attrezzato può capire in cosa consista davvero una buona qualità della vita e agire di conseguenza sul contesto sociale. E che riporta al centro il ruolo della scuola, poiché fonde il momento dell’istruzione, circoscritto a strumenti e contenuti, a quello più esteso dell’educazione, che mette in discussione le finalità sociali di questi strumenti e contenuti.
“Non sono pochi i problemi che attanagliano la scuola italiana – prosegue la docente –. Tuttavia, ritengo che sia necessario liberarci di alcuni luoghi comuni, duri a estinguersi nell’immaginario collettivo, secondo i quali il nostro sistema scolastico sarebbe generalmente arretrato sul piano didattico e ancorato a concezioni pedagogiche di stampo, come si usa dire con spregio, ‘tradizionale’.
Nella nostra scuola lavorano per lo più insegnanti ben preparati e motivati, le cui linee guida tendono alla promozione, negli alunni, di capacità di comprensione e rielaborazione, di abilità metacognitive e creative, e non certo al mero nozionismo contenutistico.”
La didattica in Italia ha intrapreso da tempo la via della creatività, del dialogo e dell’innovazione, ma i rischi della scuola nozionistica, che punta più ai contenuti che alle strategie meta-cognitive, sono sempre alle porte.
Il nodo cruciale della formazione professionale
Come ricorda la docente, c’è sempre sulla scuola – italiana e non solo – una pressione verso la conformazione che viene, in particolare, dalla spinta alla professionalizzazione precoce: affidare alla scuola il compito di preparare a una professione, quando invece dovrebbe prioritariamente occuparsi dello sviluppo di tutte quelle potenzialità che riguardano la persona e il cittadino, prima che un soggetto adeguato alle richieste del mondo del lavoro.
L’enfasi sulla professionalizzazione, per quanto riguarda sia gli istituti tecnici e professionali sia l’offerta formativa terziaria, è presente nella sezione del Piano nazionale di ripresa e resilienza dedicata a Istruzione e ricerca.
“La sfida è quella di portare avanti un’idea di cultura in cui il ‘cosa si apprende’ si intrecci sempre alla consapevolezza del ‘come’ e del ‘perché’ si apprende – conclude Marescotti –. Da questo punto di vista, l’eredità freiriana è quanto mai preziosa.”