Ne sentiamo parlare quotidianamente, serve per accedere a bar e ristoranti, musei, cinema e teatri, per fare sport e viaggiare: il green pass è ormai parte delle nostre vite. Oltre a tutelare la salute di tutti perché regola l’accesso ai luoghi pubblici, è stato introdotto anche per convincere sempre più persone a vaccinarsi contro il coronavirus. Ma quanto funziona realmente?
Sul suo reale funzionamento, vicino di fatto all’obbligo vaccinale, si sono interrogati i ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine e della St Andrew’s University, che in uno studio pubblicato su EClinicalMedicine hanno analizzato la disponibilità della popolazione adulta nel Regno Unito a farsi vaccinare a seguito dell’introduzione del passaporto vaccinale.
Velocizza la vaccinazione, ma solo per chi è già disposto a farla
Nel sondaggio, condotto lo scorso aprile, i ricercatori hanno chiesto agli intervistati se erano disposti o meno a vaccinarsi e se l’introduzione di un passaporto vaccinale per “uso domestico”, cioè per accedere a bar, ristoranti, discoteche e grandi eventi, e quello per i viaggi internazionali avrebbero modificato la loro convinzione.
I risultati suggeriscono che l’opinione nei confronti di questi passaporti è legata all’atteggiamento già esistente verso i vaccini contro il Covid-19. Chi è vaccinato o ha intenzione di farlo (80% degli intervistati) appoggia infatti pienamente l’uso del green pass. I più anziani, ad esempio, oltre a essere più disponibili a vaccinarsi, hanno anche più probabilità di farlo con l’introduzione del passaporto e ritengono che tale strumento sia una buona idea e non violi le libertà personali.
Tuttavia, secondo i ricercatori il rischio è che i passaporti vaccinali possano nello stesso tempo ridurre l’intenzione di vaccinarsi del 3,6% (se per uso domestico) e dell’1,7% (se per uso internazionale). Questo accade soprattutto in alcuni gruppi sociali tendenzialmente più riluttanti verso i vaccini, ad esempio tra i più giovani, le etnie nere, chi non parla inglese e alcune tipologie di lavoratori (part-time e chi si prende cura di casa e famiglia).
Il paradosso: aumenta la velocità di vaccinazione ma diminuisce il numero dei vaccinati
Per questo Alexandre de Figeureido, primo autore dello studio, sostiene che prima di implementare i passaporti vaccinali dobbiamo valutare il loro impatto complessivo sulla salute pubblica. Questo strumento potrebbe infatti discriminare interi gruppi sociali e produrre quello che viene definito il “paradosso del passaporto vaccinale”: può cioè accelerare la velocità di vaccinazione della popolazione e, nello stesso tempo, diminuire la quantità di persone vaccinate.
Se chi ha già intenzione di vaccinarsi diventa ancora più favorevole con il passaporto, e questo spiegherebbe la crescita immediata di vaccinati nei Paesi che lo introducono, tra chi è preoccupato per il vaccino l’esitazione aumenta, soprattutto quando le limitazioni riguardano le attività quotidiane.
Certamente con il tempo le opinioni delle persone possono cambiare, anche in base alle caratteristiche dei certificati in ogni Paese (la loro durata nel tempo o l’alternativa offerta dal tampone), che possono alleviare le preoccupazioni delle persone.
Tuttavia può diventare un problema anche a livello collettivo, perché nelle zone in cui sono più numerosi quei gruppi sociali è più probabile che l’intenzione di vaccinarsi diminuisca ulteriormente. Il rischio conseguente è che, se non si riesce a convincere queste persone a vaccinarsi o se addirittura la loro fiducia diminuisce, possano svilupparsi ancora epidemie facendo aumentare i livelli di vaccinazione per l’immunità richiesti su tutto il territorio.
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