La campagna vaccinale contro il coronavirus prosegue ma, nonostante l’introduzione del green pass e l’emergere di nuove varianti, sono ancora molte le persone che non vogliono vaccinarsi. In diversi Paesi sono state studiate le motivazioni dell’esitazione vaccinale, e non mancano interessanti analogie nelle risposte fornite dagli intervistati per spiegare perché accettano o, al contrario, rifiutano il vaccino.
A identificare queste analogie ha pensato un gruppo di studiosi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, del New York Medical College, dell’Università di Belgrado e dell’Università di Verona, che hanno selezionato 209 studi effettuati in quarantacinque Paesi distribuiti in tutto il Mondo. I risultati, pubblicati su EClinicalMedicine, forniscono un interessante quadro generale sulle cause che determinano gli atteggiamenti di un’ampia gamma di popoli nei confronti dei vaccini contro il Covid-19.
Paura per i tempi veloci di realizzazione dei vaccini e per gli effetti collaterali
Tali atteggiamenti variano molto a seconda delle zone geografiche, basti pensare a quanto emerso per i Paesi a reddito medio-basso, ma possono cambiare addirittura all’interno di uno stesso Paese e in base al momento nel quale è stata condotta un’indagine. In Italia, ad esempio, uno studio condotto dall’Università di Padova e dall’Università di Ferrara ha rivelato che la disponibilità degli adulti a farsi vaccinare era maggiore durante i lockdown e diminuiva con le riaperture.
Anche i dati tra le Regioni sono contrastanti: ad esempio, più del 90% dei genitori è disponibile a far vaccinare i figli, ma dati recenti ottenuti su Napoli riportano una percentuale notevolmente inferiore (20%). Queste differenze fra territori anche vicini tra loro fanno ben capire come l’esitazione vaccinale sia un fenomeno complesso, determinato da fattori psicologici, cognitivi, socio-demografici, politici e culturali.
Alcune cause però sono più diffuse, in particolare la paura per la sicurezza e l’efficacia dei vaccini e la convinzione che i tempi troppo rapidi con cui sono stati realizzati li rendano meno attendibili. E c’è di più: vari studi hanno rilevato che, soprattutto nel primo periodo della campagna vaccinale, aumentava la disponibilità alla vaccinazione se veniva offerta alle persone la possibilità di posticiparla.
Anche le differenze nei meccanismi di funzionamento tra vaccini a RNA messaggero e vaccini ad adenovirus possono confondere sull’efficacia di uno rispetto all’altro. Inoltre, chi rifiuta il vaccino ha solitamente poca fiducia nei confronti degli operatori sanitari, è convinto che il vaccino non sia necessario perché l’esposizione al virus ha già fornito una protezione sicura, ma anche che le autorità privilegino il guadagno economico alla salute pubblica e che la preoccupazione attorno al coronavirus sia esagerata.
Anche un altro studio condotto dall’Università di Berlino conferma che solo una minoranza degli esitanti riferisce di non vaccinarsi per ragioni ideologiche. La maggior parte invece sostiene di essere preoccupata per i potenziali effetti collaterali, soprattutto l’indebolimento o l’alterazione del sistema immunitario ad opera dei comuni componenti dei vaccini tra cui gli adiuvanti come l’alluminio, i conservanti come il mercurio, gli agenti inattivanti come la formaldeide e i residui di fabbricazione come frammenti di DNA umano o animale.
Dall’altro lato, al contrario, tra i fattori che aumentano la disponibilità a vaccinarsi ci sono la fiducia nella scienza, la preoccupazione per la pandemia, la maggiore esposizione mediatica e una migliore comprensione scientifica del virus. Chi è disponibile a vaccinarsi, quindi, oltre a desiderare il ritorno a una vita normale, crede che il vaccino sia uno strumento valido e sicuro di prevenzione per la propria salute e quella degli altri.
L’importanza di una corretta comunicazione
Associazioni ed esperti evidenziano il rischio insito nel semplificare la questione dei riluttanti al vaccino definendoli come no-vax. Un progetto dell’Università di Milano ha rilevato come a giugno 2021 la percentuale dei contrari assoluti al vaccino sia scesa dal 12% ad appena il 5% in sei mesi. Stesso trend per gli esitanti alla vaccinazione, passati dal 18% all’8% nello stesso periodo.
I contrari alla vaccinazione sarebbero, quindi, soltanto una minoranza rumorosa sui social che accerchia e attira una restante quota di indecisi con false promesse di soluzioni semplici e alternative al vaccino. È in questo gruppo che esistono ampi margini per reclutare nuovi vaccinati.
Tutti i dati esaminati permettono soprattutto di identificare i gruppi meno disponibili a vaccinarsi così da poter intervenire efficacemente. In particolare, come scrive Fidelia Cascini, docente di Igiene e sanità pubblica presso l’Università Cattolica e prima autrice della ricerca, dobbiamo rafforzare la comunicazione ufficiale perché la fiducia nei confronti delle autorità ha un ruolo importante nel guidare le persone verso l’accettazione dei vaccini.
Negli Stati Uniti, ad esempio, si è notato che, in gruppi di pazienti oncologici tendenzialmente più esitanti, la disponibilità a vaccinarsi aumentava dopo aver partecipato a un webinar educativo. Sono quindi necessarie maggiori informazioni, a partire proprio dalla spiegazione di come anche i vaccini contro il coronavirus sono stati prodotti e approvati seguendo il procedimento rigoroso proprio della ricerca scientifica.
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