Clamorose sono state le mosse di Stati Uniti e Cina. Kamala Harris ha visitato il Vietnam tra il 24 e il 26 agosto, accolta ad Hanoi dalla vicepresidente vietnamita Võ Thị Ánh Xuân. Il viaggio di Harris è stato descritto dal corrispondente locale della BBC Jonathan Head come una vera “offensiva diplomatica”.
“La recente donazione di 23 milioni di dosi di vaccini [di cui 1 milione per il Vietnam, nda] ha dato all’immagine degli Stati Uniti nel sud-est asiatico un vantaggio inaspettato – scrive Jonathan Head – poiché la qualità percepita della tecnologia a mRNA americana contrasta con i vaccini meno efficaci di fabbricazione cinese. Harris ha subito approfittato del vantaggio per instaurare partnership sanitarie più approfondite e proporre l’apertura di una prima filiale regionale dello statunitense Center for Disease Control ad Hanoi.”
La missione di Harris sembra riprendere le fila del piano Pivot to Asia messo in campo da Barack Obama per contrastare l’espansionismo cinese nel Pacifico. Questa dottrina prevedeva il sostegno al libero scambio, il riallineamento con l’India e la cooperazione con il Giappone. Tutte queste misure hanno l’obiettivo di riequilibrare le mire cinesi e dare più potere di contrattazione agli Stati locali. Obama a suo tempo aveva inaugurato il piano proprio con visite diplomatiche in Vietnam e con la rimozione dell’embargo sulle armi, avvenuta nel 2016.
La risposta cinese è stata rapidissima: mentre Harris assicurava la donazione di 1 milione di vaccini, la Cina consegnava 2 milioni di dosi. Solo due settimane più tardi, l’11 settembre, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi è arrivato a sua volta in visita ad Hanoi. Qui, ha annunciato la donazione di 3 milioni di dosi, che si vanno ad aggiungere a quelle già inviate, per un totale di 5,7 milioni di dosi.
Isole, petrolio e scarpe da ginnastica
L’atteggiamento del governo vietnamita è stato fino ad oggi teso ad evitare – almeno pubblicamente – sbilanciamenti in favore dell’una o dell’altra potenza. Sia in occasione della visita di Harris sia in concomitanza con l’arrivo di Yi, il Primo ministro vietnamita Pham Minh Chinh ha ripetuto che il Vietnam “non si schiera né con gli Stati Uniti né con la Cina” ed è pronto ad accettare vaccini da chi vorrà donarli. Il Primo ministro ha aggiunto che le due parti devono impegnarsi per mantenere la pace, arrivando a una risoluzione delle dispute marittime.
Le parole di Pham Minh Chinh danno un indizio su uno dei grandi temi che alimentano le mosse di Stati Uniti e Cina in Vietnam; si tratta della spinosa questione del Mar Cinese Meridionale, una contesa – solo apparentemente regionale – sul controllo delle acque, delle isole e delle risorse (petrolio e gas naturale) presenti nell’area. La controversia vede la Cina in rotta di collisione con tutti gli attori coinvolti, compresi Vietnam, Taiwan, Malesia, Filippine, Brunei e Giappone, che si muovono con il sostegno degli Stati Uniti.
Non a caso il 13 settembre – pochi giorni dopo la visita di Harris – il Vietnam ha firmato un accordo di cooperazione proprio con il Giappone. In linea con la visione retrostante al Pivot to Asia di Obama, i due Stati hanno sottolineato la necessità di tutelare la sovranità nelle acque del Mar Cinese Meridionale e i diritti marittimi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Wang Yi ha risposto alla notizia dell’accordo invitando il Vietnam a “prendersi apertamente le proprie responsabilità” e “scegliere il proprio schieramento.”
Un ultimo tassello del puzzle aggiunge profondità alla strategia statunitense. Si tratta del ruolo di alcune lobby nel settore della moda, che da metà agosto stanno facendo pressione su Washington. I membri dell’American Apparel and Footwear Association (AAFA) hanno scritto congiuntamente al Presidente Joe Biden per invitarlo a inviare più vaccini al Vietnam, luogo strategico per la produzione su larga scala di abbigliamento, scarpe e accessori. Si tratta di marchi leader, tra cui Gap, Nike, Adidas, Levi Strauss & Co, Patagonia e Ralph Lauren.
Rispondere alla richiesta di brand di queste dimensioni renderà più veloce la catena produttiva e permetterà alle aziende di continuare a diversificare la produzione, investendo in Vietnam e rendendo i grandi gruppi meno dipendenti da Pechino.
Il mosaico della diplomazia vaccinale in Vietnam sembra allora – almeno per il momento – andare nella direzione desiderata dagli Stati Uniti: l’interessamento di Harris incoraggia il Governo verso prese di posizione anti cinesi più decise e incrementa proprio quel potere di contrattazione – produttivo, economico, geopolitico – prefigurato nel Pivot to Asia.
Utilizzare i vaccini come simbolo per rafforzare i legami con Hanoi appare come un buon metodo per esercitare il proprio soft power senza arrivare a uno scontro diretto con la Cina, permettendo agli Stati del Pacifico di non schierarsi apertamente. Per concludere con le parole di Jonathan Head, “questi temi [il supporto alla campagna vaccinale, l’invio di attrezzature mediche, la protezione del libero scambio, nda] generano molta più attrattiva nel sud-est asiatico rispetto all’intenzione dell’amministrazione Trump di proiettare semplice potenza militare nel Mar Cinese Meridionale, fino ad arrivare a una escalation delle controversie commerciali con Pechino. Nessuno dei Paesi di questa regione vuole, di fatto, che gli venga esplicitamente chiesto di scegliere tra Stati Uniti e Cina.”