“A nome della Commissione, appoggio al 100% il compromesso politico raggiunto. Il pacchetto generale è ottimo ed equilibrato. Sono fermamente convinto che questo accordo rappresenti un passo avanti fondamentale e sono sicuro che la nuova Politica agricola comune incoraggerà un’agricoltura sostenibile e competitiva, tutelando gli agricoltori e mettendo a disposizione alimenti sani per tutta la società.” Sono le parole di Janusz Wojciechowski, Commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, pronunciate il 28 giugno durante la sessione pubblica del Consiglio agricoltura e pesca dell’Unione Europea.
Dopo tre anni di lavori, Parlamento europeo, Commissione e Stati membri rappresentati dal Consiglio sembrano aver trovato un accordo definitivo sulla riforma della Politica agricola comune (Pac).
Mentre le istituzioni europee celebrano una Pac più verde, associazioni, sindacati e parte del mondo scientifico raccontano una realtà diversa, e vedono nel compromesso raggiunto un doppio fallimento: ambientale, perché le strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 contenute nel Green Deal non saranno vincolanti al momento della valutazione dei piani di spesa degli Stati europei nel settore agricolo; sociale, perché nonostante l’inserimento di una forma di condizionalità, rimangono aperti dubbi importanti sulla tutela dei lavoratori e, soprattutto, sulla distribuzione dei sussidi.
Il Green Deal tradito
La Pac è solo parzialmente allineata con gli impegni su clima, ambiente e biodiversità promossi dal Green Deal e dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. I negoziati europei, avvenuti nei primi mesi del 2021, hanno evidenziato proprio queste criticità.
“Il risultato raggiunto dai negoziati è largamente insoddisfacente, innanzitutto perché di breve respiro. Quella che avrebbe dovuto rappresentare la Pac 2021-2027, a causa delle difficoltà di accordo, è diventata la Pac 2023-2027, destinata a regolare il settore per poco più di quattro anni. – dichiara ad Agenda 17 Paolo Borghi, professore presso il Dipartimento di giurisprudenza di Unife – Solo un quarto degli aiuti diretti agli agricoltori sarà collegato al rispetto di buone pratiche ambientali; il Parlamento europeo aveva chiesto almeno il 30%. L’accordo raggiunto sugli ecoschemi è stato quindi meno soddisfacente del previsto.”
Anche per Federica Luoni della Lega italiana protezione uccelli (Lipu – BirdLife Italia), attiva nella coalizione Cambiamo agricoltura, “l’accordo è deludente, in particolare per il contrasto alla perdita di biodiversità e ai cambiamenti climatici. È prevalsa la linea conservatrice del Consiglio.”
Oltre alla riduzione del peso dei finanziamenti legati all’adozione di misure sostenibili (gli ecoschemi), con la nuova Pac l’obbligo della rotazione delle colture potrà essere aggirato attraverso la diversificazione dei prodotti coltivati e, come ricorda ancora Federica Luoni, la quota di aree naturali obbligatorie “sarà solo il 4% ed esclusivamente per i seminativi, con molte eccezioni tra cui le risaie, che in Italia hanno perso quasi completamente la loro valenza ambientale.”
La scelta di una percentuale così modesta avrà conseguenze molto negative, perché l’inclusione di piccole oasi e corridoi naturali all’interno dei terreni coltivati mantiene viva la biodiversità tipica delle zone agricole e sostiene gli impollinatori, fondamentali proprio per la riproduzione di tante specie coltivate.
I finanziamenti penalizzano le piccole aziende agricole
Molte le perplessità anche in ambito sociale. “Questa Pac non aiuta l’agricoltura e gli agricoltori – dichiara ad Agenda 17 Fabrizio Garbarino, presidente dell’Associazione rurale italiana (Ari), parte del Coordinamento europeo Via Campesina (Ecvc) – anzi, continua a penalizzare le piccole aziende agricole e a sostenere i grandi gruppi, continua ad accanirsi su un unico modello. Si tratta di una grande occasione mancata e di un doping verso alcune realtà poco resilienti.”
Siamo lontani infatti dalla redistribuzione dei fondi auspicata dai piccoli agricoltori e ambientalisti: la maggior parte dei sussidi continuerà a confluire sulle grandi aziende, con il rischio che in alcuni casi si applichino anche logiche clientelari, come rilevato pochi mesi fa da un’inchiesta del New York Times.
Non è un segreto che nella definizione di questo accordo sulla Pac il peso degli interessi di settore e delle lobby sia stato notevole. “Quando parliamo di lobby in relazione alla Pac – precisa Garbarino – parliamo delle grandi centrali sindacali europee come Coldiretti. Siamo di fronte a una potentissima volontà politica forte delle associazioni di categoria, talvolta anche in contraddizione con gli interessi della maggior parte degli iscritti.”
Unica nota positiva, anche se dai confini ancora incerti, è l’inserimento della condizionalità sociale, un importante strumento di lotta al fenomeno del caporalato: a partire dal 2025 verranno negati i sussidi agli imprenditori che non garantiranno gli standard europei ai diritti dei lavoratori.
“Si tratta di una vittoria importantissima, storica – conclude Garbarino. – Si parla finalmente anche dei lavoratori e non solo degli imprenditori. Ora sarà necessario però capire come verrà tradotta: la condizionalità sociale dovrà diventare realtà per garantire che chi porta avanti sfruttamento e caporalato venga perseguito e perda i finanziamenti, ma i meccanismi sono ancora fumosi. Noi faremo una proposta, perché venga tenuta presente la differenza tra grandi e piccoli proprietari e soprattutto perché si investa in sistemi di controllo veramente efficienti.”
La palla passa all’Italia
Ci sono anche elementi positivi nella nuova Pac. “Un buon risultato – dichiara il prof. Borghi – è stato raggiunto per la filiera del vino, con novità di rilievo in tema di etichettatura, e, più in generale, a sostegno della politica di ‘qualità’. Sarà espressamente consentito ai consorzi di tutela di prodotti a denominazione di origine protetta (Dop) o di indicazione geografica protetta (Igp) di “programmare” – cioè limitare – la produzione per sostenere il prezzo.”
Ma adesso la palla passa agli Stati nazionali. Infatti, dagli ecoschemi alla condizionalità sociale, “la questione vera adesso – secondo Federica Luoni – è come queste regole verranno applicate nei diversi Stati, perché mai come ora i regolamenti sono una ‘scatola’ da riempire.”
Una svolta da parte italiana sembra però improbabile. Da un lato, il tema è poco sentito dai cittadini, dall’altro, al momento la posizione dei rappresentanti del nostro Paese sull’accordo coincide con quella tenuta dalle istituzioni europee e da Wojciechowski. “Abbiamo chiuso l’accordo politico sulla nuova Pac, una riforma storica – ha spiegato con un video pubblicato su Twitter il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli (Movimento 5 Stelle) – da più di trent’anni non c’era una riforma così strutturata della Politica agricola comune.
Elemento qualificante la condizionalità sociale: più diritti per i lavoratori senza incidere sulla burocrazia per le imprese agricole. Tanti elementi che tengono dentro sia la questione ambientale, quindi il rispetto dell’ambiente, e ovviamente la questione economica, il sostegno economico alle aziende.”
L’allineamento di Patuanelli sembra condiviso anche dagli altri soggetti politici in campo, come dimostrato da episodi passati. Uno fra tutti quello avvenuto il 23 ottobre del 2020, quando gli europarlamentari hanno avuto la possibilità di votare contro la riforma della Pac, ormai già fortemente indebolita e non più aderente agli intenti del Green Deal. Tra gli italiani, si registrarono solo cinque voti contro la Pac, da parte di europarlamentari del gruppo misto iscritti al Movimento 5 Stelle. Il resto del Movimento e tutti gli altri partiti votarono compatti a favore, forti di un accordo tra i partiti europei S&D, PPE e Renew che la rete ambientalista BirdLife Europe definì in quell’occasione “bacio della morte” del Parlamento alla natura europea.
2 thoughts on “La nuova Politica agricola europea non rispetta il Green Deal e delude ambientalisti e piccoli agricoltori”