Secondo un recente studio dell’European Institute for Gender Equality (EIGE), durante la prima ondata della pandemia c’è stata una perdita di 2,2 milioni di posti di lavoro per le donne. Con la successiva ripresa estiva, inoltre, hanno guadagnato solo la metà degli incarichi rispetto agli uomini, prova del fatto che anche a lungo termine l’impatto economico sarà maggiore per loro.
Tra le iniziative intraprese per una ripresa più inclusiva, recentemente la Commissione europea ha adottato una proposta di direttiva per la parità di retribuzione tra uomini e donne che svolgono lavori di pari valore. Nonostante sia un diritto già previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) e da una direttiva 2006, secondo i dati Eurostat nel 2019 le donne europee guadagnavano ancora in media il 14,1% in meno all’ora rispetto agli uomini e il divario pensionistico nell’Unione europea era pari al 29%.
L’obiettivo della proposta è favorire una maggiore trasparenza salariale e un migliore accesso alla giustizia per le vittime di discriminazioni retributive. “Si tratta di una proposta importante – afferma Silvia Borelli, docente di Diritto del lavoro ed European labour law presso l’Università di Ferrara – che si inserisce nel programma d’azione del pilastro sociale europeo. Una raccomandazione in tal senso c’era già, ma si è deciso di trasformarla in una direttiva e renderla vincolante. Se adottata, può sicuramente portare importanti miglioramenti nella tutela del lavoro femminile.”
Principi sanciti dalla Commissione europea
Nella stessa data, la Commissione europea ha adottato il Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali volto a costruire un modello sociale ed economico che offra uguali opportunità indipendentemente da sesso, razza od origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale. Tra i venti principi che lo caratterizzano rientra la parità di genere.
Il Pilastro fu proclamato nel 2017 e, in occasione del social summit di Porto del 7 maggio, i leader europei hanno rinnovato l’impegno ad attuarlo. “Rispetto al piano sono un po’ scettica – rivela Borelli – perché lo leggo soprattutto come un’operazione tesa a migliorare l’immagine dell’Unione europea. Quando fu promosso, la popolarità dell’Unione stava drasticamente calando per le misure di austerity seguite alla crisi economico-finanziaria del 2008. Così, alla vigilia delle elezioni del 2019 e con le destre nazionaliste in crescita, l’Europa si rese conto di dover fare qualcosa e reagì con una serie di misure tra cui questo Pilastro.”
Si tratta di una dichiarazione politica, che impegna a occuparsi delle tematiche sociali. “In tal senso – continua Borelli – c’è sicuramente stata una spinta nel finalizzare iniziative legislative attivate in precedenza, ad esempio, la direttiva europea sul work life balance che riguarda l’uguaglianza di genere che è stata approvata dal Parlamento nel 2019. Non sono certo cambiamenti epocali, ma rappresentano uno slancio politico importante per sbloccare una situazione che in Europa era ferma da dieci anni.”
Anche una questione di stereotipi e di mancanza di servizi
Il problema non è però solo economico. Secondo il Report on gender equality in the EU 2021, a ostacolare un’equa partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono soprattutto la mancanza di strutture di assistenza, gli stereotipi di genere e il sessismo.
Prendiamo ad esempio il telelavoro: se da un lato ha salvaguardato l’occupazione, dall’altro ha accresciuto la difficoltà di equilibrare lavoro e vita privata per le donne. Subiscono infatti più interruzioni nello smart working per assistere i figli e supportarli nella didattica a distanza, con conseguente diminuzione della loro produttività e possibili limitazioni nella progressione della carriera e nella retribuzione.
A ciò va aggiunto, come emerge dai dati della Commissione europea, il problema della segregazione, cioè la concentrazione di un solo genere in determinati settori educativi e professionali (segregazione orizzontale) o in determinate posizioni (segregazione verticale e il fenomeno del “soffitto di cristallo”, che impedisce l’avanzamento di carriera per motivi razziali o sessuali). Le donne sono cioè sovra rappresentate nei settori a bassa retribuzione, come l’assistenza e l’educazione, mentre oltre l’80% della forza lavoro nelle professioni meglio retribuite, ad esempio nelle discipline Science, Technology, Engineering and Mathematichs (STEM), è maschile.
Nonostante ciò, il 44% degli europei ritiene ancora che il ruolo più importante per la donna sia la cura della casa e della famiglia. Un recente sondaggio condotto da Ipsos mostra inoltre che solo il 3% degli italiani ritiene che l’uguaglianza di genere migliorerà nei prossimi anni e il 37% considera il divario retributivo una questione importante ma non prioritaria.
“Sicuramente c’è una componente culturale – concorda Borelli – con stereotipi di genere dilaganti. Per contrastarli, un primo passo su cui lavorare è il linguaggio di genere. L’Unione europea fatica a farlo perché al suo interno ci sono troppe lingue ma a livello nazionale si può agire, come testimonia il lavoro che stanno facendo l’Accademia della Crusca o la Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui). Il linguaggio infatti è performativo della realtà al punto che, se chiamo avvocato un’avvocata, sto già dando una lettura di genere a quella professione.”
“La pandemia – sottolinea Borelli – ha fatto emergere in modo evidente l’importanza dei servizi, che andrebbero potenziati. È vero che c’è un problema di effettività della normativa, poiché alcune leggi non vengono applicate, però c’è anche un enorme problema di mancanza di servizi, che supportano il lavoro femminile e la condivisione dei ruoli.”
“Sarebbe bello – continua Borelli – avere un congedo per la cura, da declinare come si vuole: cura dell’ambiente, di un famigliare, di un amico o degli animali. Certamente congedi e servizi costano, ma sono investimenti convenienti perché creano occupazione e tutelano l’educazione dei bambini e l’assistenza degli anziani, entrambe spesso a carico delle donne.”
L’uguaglianza di genere nelle istituzioni: le posizioni contrarie
Anche tra le istituzioni non mancano le difficoltà. Polonia e Ungheria hanno infatti ottenuto la rimozione della dicitura “uguaglianza di genere” dalla dichiarazione congiunta dei leader al vertice di Porto, richiesta già avanzata in passato per i trattati di libero scambio con i Paesi in via di sviluppo. I due capi di Stato considerano infatti il termine “genere” un’espressione ideologicamente motivata, che allarga la parità tra uomini e donne alla comunità LGBTQ+.
“Finora abbiamo inteso genere come uomo e donna – sottolinea Borelli – ma in realtà è uno spettro con varie tonalità e questa visione non è accettata in tutta Europa. È un problema noto da tempo e non mancano strategie legate alla rule of law, cioè l’esigenza di garantire le regole fondamentali dello stato di diritto.”
Cosa significa allora accettare queste condizioni? “Di fatto – conclude Borelli – ci sono troppi interessi economici. Polonia e Ungheria sono due Paesi grandi e forniscono un importante bacino di lavoratori, oltre a zone con un costo del lavoro più basso. Inoltre i loro voti servono, per cui si sceglie la via diplomatica e si abbassa l’asticella. Ovviamente è una questione di priorità: il tema dei diritti umani fa molto rumore sull’opinione pubblica, ma le istituzioni europee sono mosse prima di tutto da motivazioni economiche e la tutela di quei diritti, pur presente, pesa sicuramente meno.”
2 thoughts on “La giurista Borelli analizza iniziative e proposte per parità e tutela del lavoro femminile dopo la pandemia
L’impatto economico del Covid-19 è stato pesante per l’occupazione femminile. Si è aggravata la precarietà
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