In questo periodo, più che mai, è evidente l’importanza dei vaccini nella lotta alle malattie infettive. Nel 2019, la malaria ha fatto registrare 229 milioni di casi e 409.000 decessi stimati, la maggior parte dei quali nell’Africa sub-sahariana; facile intuire, quindi, quel che un vaccino contro la malaria potrebbe significare per questi Paesi.
Forse, la ricerca ne ha trovato uno: si chiama R21, e a quanto sembra è il primo candidato a raggiungere un’efficacia del 75%, traguardo fissato nel Malaria vaccine technology roadmap dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Lo studio, pubblicato in via preliminare su The Lancet e in attesa di peer review, riferisce i risultati di un trial clinico di fase II che ha coinvolto 450 bambini dell’area di Nanoro, Burkina Faso.
Il lavoro è frutto di una collaborazione tra Jenner Institute, già produttore del vaccino Astrazeneca, e Institut de Recherche en Sciences de la Santé (IRSS) di Nanoro. Porta le firme, tra gli altri, di Halidou Tinto, professore di parassitologia e direttore regionale del IRSS, e di Adrian Hill, professore di genetica a Oxford e direttore del Jenner Institute.
Il trial conferma alta efficacia
Questo trial è solo l’ultimo in una serie di studi volti a valutare gli effetti di R21. In quello precedente si era testato il vaccino su persone di diverse età per stabilirne sicurezza e tollerabilità; visti i risultati positivi, è stato possibile allargare il campione e concentrarsi su coloro che più di altri subiscono gli effetti della malaria, i bambini.
I soggetti che hanno partecipato allo studio avevano dai cinque ai diciassette mesi di età, e sono stati divisi casualmente in tre gruppi. I primi due hanno ricevuto il vaccino R21, insieme a dosi di adiuvante minori o maggiori a seconda del gruppo. Gli adiuvanti sono sostanze date insieme ai vaccini che potenziano la risposta del nostro sistema immunitario; quello usato in questo caso è prodotto da Novavax. Il terzo gruppo faceva da controllo, e ha ricevuto vaccino antirabbico.
Lo studio è stato condotto in doppio cieco, vale a dire che soltanto i farmacisti sapevano cosa veniva somministrato ai bambini. Né i ricercatori né le famiglie sapevano a che gruppo apparteneva ciascun bambino: in questo modo, si è garantito che i risultati non fossero influenzati da aspettative e preconcetti degli studiosi.
I ricercatori hanno seguito i bambini nel tempo, riportando risultati sorprendenti: l’efficacia di R21, ovvero la riduzione dei casi di malaria nei vaccinati rispetto al normale, a distanza di un anno è stata del 71% nel gruppo con meno adiuvante, del 77% nel gruppo con la dose maggiore.
Anche la tollerabilità è stata ottima, con febbri leggere come principale effetto avverso. Il vaccino, quindi, con la dose più alta di adiuvante centrerebbe l’obiettivo dell’Oms di almeno il 75% di efficacia.
Il problema della malaria nei Paesi del Sud del Mondo
La malaria è causata da protozoi, organismi unicellulari più complessi dei batteri, del genere Plasmodium. I plasmodi vengono iniettati nelle vittime con le punture delle zanzare Anopheles, che fanno da vettore. Oggi, la disinfestazione ha minimizzato il problema nei Paesi occidentali, ma non è sempre stato così.
Nel Diciannovesimo secolo, le aree paludose del delta del Po erano terreno fertile per la malaria. A Ferrara, in particolare, la malattia era oggetto degli studi di medici e scienziati. La malaria ci ha condizionati al punto che, probabilmente, alcune malattie del sangue, le anemie mediterranea e falciforme, si sono evolute nell’uomo perché conferiscono una protezione dai plasmodi. Le mutazioni dell’emoglobina, cause di queste anemie, sono di per sé problematiche, ma rappresentavano un vantaggio rispetto alla prospettiva della malaria. In Africa, la situazione è ancora grave. La quasi totalità dei casi nella regione è causata da Plasmodium falciparum, la specie di plasmodio più pericolosa nell’uomo; è anche classificato come probabilmente carcinogeno (gruppo 2A) dalla International Agency for Research on Cancer. L’immunità indotta dal vaccino R21 è diretta proprio contro P. falciparum.
Sono i bambini i primi a fare le spese della malattia. “Il rischio che un bambino muoia per la malaria prima di completare il primo anno di vita è elevatissimo nella regione africana: di sessantotto su mille nati vivi”, ricorda Carlo Contini, docente di malattie infettive e direttore dell’Unità complessa di malattie infettive dell’Università di Ferrara. “È circa sei volte maggiore rispetto a quello registrato nella regione europea.”
Ci sono diversi modi per prevenire l’infezione, dalle zanzariere intrise di insetticida alla chemioprofilassi, cioè l’assunzione preventiva di farmaci. Non sempre, però, si riesce ad attuarli. I ricercatori hanno monitorato l’uso di questi metodi nei bambini dello studio: molte famiglie facevano uso di zanzariere con insetticida, ma la profilassi era un’altra storia. Nella stagione delle piogge, quella a maggior rischio di malaria, in Burkina Faso si consigliano quattro dosi di chemioprofilassi, una al mese. Eppure, la maggior parte dei bambini che hanno partecipato allo studio non ha ricevuto tutte le dosi nella stagione seguita alle vaccinazioni; un terzo non ne ha ricevuta nessuna.
Secondo il World malaria report 2020 gli sforzi per combattere la malattia, che nella regione africana stavano lentamente dando i frutti, hanno subìto importanti arresti a causa della pandemia da SARS-CoV-2. “Spesso ci si dimentica della malaria, visto che non coinvolge il nostro Paese”, continua Contini. “È molto raro che vengano fatti investimenti seri in termini farmacologici e vaccinali. Solo ora si sta muovendo qualcosa.”
Superati i difetti del primo vaccino poco efficace
R21 non è il primo vaccino a conferire protezione da P. falciparum. Negli anni scorsi, il vaccino RTS,S prodotto da GlaxoSmithKline era stato il primo a dimostrare un effetto significativo nel ridurre i casi di malaria. Dal 2019, RTS,S è stato introdotto con un progetto pilota in alcune regioni di Ghana, Kenya e Malawi.
Per quanto RTS,S sia stato innovativo, la sua efficacia si è rivelata modesta. Nelle stesse condizioni di R21, ovvero su bambini dai cinque ai diciassette mesi e durante il primo anno dalla somministrazione, l’efficacia era del 55,8% contro il 77% massimo di R21; a due anni di distanza, l’efficacia di RTS,S scendeva al 36,3%. In più, è riportato che le dosi di richiamo di RTS,S non riescono a riportare l’immunità ai livelli anticorpali che seguivano alle prime dosi, cosa che al contrario R21 riuscirebbe a fare. Questo è importante per mantenere l’immunità a distanza.
I risultati di R21 sembrano promettenti, ma bisogna ricordare che la sperimentazione ha ancora molta strada da fare, e che soltanto quando sarà finita il confronto con RTS,S potrà godere del quadro completo. I bambini che hanno partecipato a questo studio saranno seguiti ancora per un anno. La fase III del trial è già stata pianificata, e dovrà testare gli effetti di R21 su 5mila bambini in cinque diverse località africane. “Resterà da vedere se la persistenza del titolo anticorpale si manterrà nel tempo, attraverso degli studi prospettici più esaustivi”, conclude Contini. Possiamo solo sperare che un vaccino, qualunque vaccino, si dimostri presto all’altezza della lotta a questa malattia.
(Simone Carbonera, studente del Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza)