Generazione Z. Nell’era dell’insoddisfazione e dell’incertezza, il diritto del lavoro è rimasto indietro rispetto alle nuove esigenze dei giovani. Intervista ad Alberto Avio, giurista Unife

Generazione Z. Nell’era dell’insoddisfazione e dell’incertezza, il diritto del lavoro è rimasto indietro rispetto alle nuove esigenze dei giovani. Intervista ad Alberto Avio, giurista Unife

Le nuove esigenze dei giovani adulti e l’introduzione del lavoro da remoto, delineano un quadro  per nati tra la fine degli anni Novanta ed il 2010 che racconta una storia di insoddisfazione e l’incertezza sul futuro lavorativo. Abbiamo chiesto ad Alberto Avio, docente di diritto del lavoro dell’Università di Ferrara come si è evoluto il diritto del lavoro negli ultimi anni in relazione a questa situazione.

Il diritto del lavoro è nato per tutelare esigenze diverse da quelle attuali

Uno dei dati più rilevanti riguarda la tendenza dei giovani a cambiare spesso lavoro, a volte per rifuggire da ambienti tossici o poco gratificanti. ”Le cose sono sicuramente cambiate rispetto a venti  anni fa, non c’è dubbio, ma quando si parla di diritto del lavoro dobbiamo considerare che nasce per dare voce a quei lavoratori che hanno meno potere contrattuale e che quindi magari non si possono concedere il lusso di rifiutare un lavoro -premette Avio -. Il diritto del lavoro nasce proprio per chi non può, per limitare l’abuso datoriale. 

Il rapporto di lavoro per come lo si intendeva negli anni Novanta, ingessato, ha subito dagli anni Duemila in poi diverse modifiche, a partire dalle azioni di Massimo D’Antona e dalla legge Biagi del 2003 che, tra le altre cose, hanno introdotto una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro italiano, nuove tipologie contrattuali, la semplificazione delle procedure di assunzione e licenziamento, l’inclusione lavorativa di categorie svantaggiate. 

Il tutto ha ridefinito quegli spazi contrattuali individuali che venivano ostacolati e sta cercando di andare incontro alle esigenze dei singoli.”

Alberto Avio  docente di diritto del lavoro dell’Università di Ferrara (© Unife)

Siamo indietro di dieci anni rispetto al mutamento avvenuto

“Oggi il diritto del lavoro ha difficoltà a confrontarsi con il mondo che cambia e le nuove generazioni – denuncia Avio -. 

Per i giovani adulti di oggi non vale più il motto ‘vivere per lavorare’, ci sono delle normative europee, come la Direttiva 2003/88/CE, che regolano la definizione dei tempi di lavoro e di non lavoro, ma in Italia siamo ancora molto indietro. 

Anche per quanto riguarda l’avvento delle nuove tecnologie e la regolamentazione delle nuove modalità di lavoro, come quello da remoto. Esistevano già delle norme pre-pandemia Covid19, che ha sdoganato e dato il via a questo nuovo modo di lavorare. 

Nel 2017, infatti, la Legge 22 maggio 2017, n. 81, aveva già introdotto il concetto di lavoro agile. Oggi viene utilizzato spesso, con i suoi pro e contro. 

Immagine creata con Copilot (©Bianca Antonica)

Il pro consiste nel poter lavorare da casa, non dovendo affrontare lunghi spostamenti e più comodamente, il contro, che lamenta la maggior parte dei lavoratori, è il fatto che non ci sia più un effettivo distacco da quello che è tempo lavorativo e quello che non lo è, quando il datore di lavoro dovrebbe garantirlo.

Per non parlare delle ricadute sulla socialità, lavorare da remoto estranea il soggetto anche dal punto di vista sindacale, del collettivo che si mette insieme per difendere i propri diritti.

Dal punto di vista legislativo in Italia siamo almeno dieci anni indietro, possiamo cercare di tornare al passo regolamentando fenomeni già accaduti per tamponare i problemi che hanno già creato.” 

Alle aziende non importa  la life balance dei giovani. Partire dalle imprese medio piccole

Quello che i giovani vorrebbero cercare di raggiungere è un equilibrio tra la vita professionale e privata, che sia per loro soddisfacente e gratificante. Ma la cosiddetta life balance non è una priorità delle aziende, che sicuramente non cercano lavoratori che vogliono cose diverse, o orari più flessibili, o maggiori benefit. A livello europeo ci sono stati dei tentativi di conciliazione ma i giovani vogliono sempre di più. 

“In Italia assistiamo a dei disastri – conclude Avio -, la flessibilità richiesta talvolta ai lavoratori dipende esclusivamente dalle esigenze del datore di lavoro, esistono condizioni inaccettabili come il contratto di lavoro part-time con clausola elastica.

I problemi in Italia non riguardano solo le ore lavorative quotidiane ma la regolamentazione anche dei congedi e dei permessi più lunghi, come la malattia e la maternità. Questa regolamentazione non è di competenza europea e quindi la difficoltà sta nell’intervenire con trattative per omogeneizzare queste dinamiche. 

Una soluzione potrebbe essere quella di iniziare con il concordare strategie aziendali da attuare nelle piccole e medie imprese, che rappresentano la maggior parte del comparto produttivo in Italia.”

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