L’inverno dovrebbe essere il periodo in cui la neve si accumula, raggiungendo il suo picco tra la fine di febbraio e la metà di marzo, secondo i dati storici, e costruendo una riserva d’acqua importante per la primavera e l’estate, ma la realtà che emerge dai dati attuali è ben diversa. Anche questo mese si conferma una tendenza che ormai caratterizza le stagioni invernali recenti in Italia: poche luci e molte ombre sulla risorsa idrica nivale.
Cosa succede quando le stagioni non rispondono più ai modelli del passato? Quando le temperature salgono, le precipitazioni si fanno incerte e la neve diventa una risorsa sempre più effimera? Il quarto aggiornamento mensile elaborato da Fondazione Cima sulla risorsa idrica nivale in Italia offre uno sguardo ravvicinato su una stagione che sta lasciando segni profondi sul bilancio idrico del Paese.
Il bilancio idrico nivale dell’Italia si mantiene in negativo, con un deficit nazionale dello Snow Water Equivalent (SWE) pari al -57% rispetto alle medie storiche. Questo valore riflette una tendenza in corso da diversi anni, segnalando una progressiva riduzione della disponibilità di neve. La fusione precoce della neve è direttamente influenzata dall’aumento delle temperature, con conseguenze dirette sulla disponibilità idrica per i mesi successivi.

(ⓒFondazione Cima)
“Questi dati non rappresentano un’anomalia isolata, ma piuttosto un segnale persistente nelle ultime stagioni. Possiamo evidenziare come questa stagione stia mettendo in luce anomalie ricorrenti nel nostro clima recente, un fenomeno che si sta manifestando attraverso una scarsità di nevicate e un’accelerazione dei processi di fusione“, spiega Francesco Avanzi, ricercatore di Fondazione Cima.
Riguardando a come questa stagione si è sviluppata, l’inizio è stato incerto: un novembre insolitamente secco ha ritardato la formazione del manto nevoso, privando le montagne della solida base su cui normalmente si accumula la neve nei mesi successivi. Dicembre ha tentato di correggere questo squilibrio con alcune precipitazioni, ma le ripetute ondate di calore hanno compromesso significativamente questo accumulo. Nei primi due mesi dell’anno, poi, il panorama è cambiato nuovamente. Gennaio ha portato nevicate abbondanti su parte delle Alpi, alimentando la possibilità di un parziale recupero. Tuttavia, febbraio non ha sostenuto le speranze: temperature superiori alla media hanno accelerato il processo di fusione, soprattutto a media e bassa quota.
Sulle Alpi, questo andamento è stato particolarmente evidente nel bacino del Po, che raccoglie circa la metà della risorsa idrica nivale italiana. Dopo una fase transitoria di recupero a inizio gennaio, l’aumento delle temperature ha innescato una fusione accelerata della neve, riportando il deficit a livelli importanti. Anche il bacino dell’Adige registra un deficit significativo della copertura nevosa, sebbene alle quote più elevate si osserva una maggiore resistenza del manto nevoso, grazie a temperature comunque più basse del punto di fusione anche se maggiori della norma.
Sugli Appennini, il quadro è ancora più complesso. Dopo un dicembre con qualche nevicata, i mesi successivi hanno visto una sostanziale assenza di precipitazioni significative. Il bacino del Tevere registra un deficit del 95%, segnando il peggior bilancio degli ultimi tredici anni al momento.
Il grafico seguente fotografa la situazione dei fiumi italiani, evidenziando deficit in tutti i principali corsi d’acqua, che si fanno più marcati lungo la dorsale appenninica e al Sud.

L’acqua derivante dalla fusione della neve è una componente cruciale del bilancio idrico italiano. Ma la sua distribuzione sta cambiando: la fusione avviene prima, spesso in periodi in cui la domanda idrica è ancora bassa, rendendo più complessa la gestione delle risorse. Le sfide del futuro riguardano, quindi, non solo la quantità di neve accumulata, ma anche il momento in cui questa diventa disponibile per il sistema idrico.
Quali sono le prospettive per i prossimi mesi? Secondo le previsioni stagionali elaborate da ECMWF1, il centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine, la primavera sarà più calda della norma su tutto il territorio nazionale. Questo implica una probabilità elevata di fusione accelerata del manto nevoso, con implicazioni dirette sulla portata dei fiumi e sulla disponibilità di acqua per il settore agricolo e civile. Le precipitazioni, invece, potrebbero attestarsi su valori medi o leggermente superiori alla norma, almeno per il Centro-Nord, ma l’esperienza degli ultimi mesi ha dimostrato che queste proiezioni devono essere interpretate con cautela.
(Testo originale su L’Altra Montagna)