La campagna per la legge di iniziativa popolare Pratobello ’24 voluta per “proteggere il territorio sardo dall’invasione indiscriminata di pale eoliche e pannelli fotovoltaici”, ha interessato l’intera Isola e ha raccolto più di 210 mila firme, ben oltre le 10mila richieste dalla normativa e le 50 mila, obiettivo che comitati e organizzatori si erano prefissati.
Il 2 ottobre i moduli compilati sono stati depositati in Consiglio regionale dai comitati contro eolico e fotovoltaico, tra una folla di manifestanti.
È l’esito di un dibattito e confronto pubblico che hanno conosciuto toni e momenti assai aspri, un percorso emblematico che mostra come la contestazione dei comitati sorti dal basso ha saputo organizzarsi passando dalla fase della protesta a quella di una proposta organica in grado di confrontarsi con un’ Amministrazione regionale che per prima ha approvato una legge regionale sulla individuazione delle aree idonee (legge n 45).
La legge regionale, voluta proprio per tutelare il territorio dall’assalto indiscriminato delle imprese, e difesa contro quelle che l’amministrazione ha ritenuto indebite interferenze, è stata comunque giudicata dai movimenti insufficiente e pericolosa per il territorio.
Dolores Demuro, attivista indipendente a tutela delle aree rurali, ricostruisce la situazione di malcontento e di protesta contro le rinnovabili in Sardegna, fino a Pratobello ‘24.
La Sardegna è suddivisa amministrativamente in 377 comuni, con una popolazione media di 2000 abitanti per paese, tralasciando Cagliari capoluogo, l’hinterland e le altre tre città. Sostanzialmente possiamo parlare per lo più di comunità rurali.
La particolarità del territorio sardo fa sì che la maggior parte dei paesi abbiano di pertinenza una zona montuosa o collinare importante nelle zone interne o una località balneare nella costa.
Dopo anni di emigrazione da parte di tanti giovani sardi, il fallimento delle industrie metalmeccaniche e della visione del “benessere altrove”, nella nostra Isola c’è chi ha deciso di restarci e di riprendere il mano il mestiere del padre o tante volte del nonno: pastorizia, agricoltura, artigianato.
È un microcosmo per necessità la comunità rurale che, nelle politiche dell’Unione europea, ha trovato un grande riflettore sotto il quale non ha faticato ad entrare.
La svolta dopo la crisi industriale: sviluppo sostenibile con le politiche dell’Unione europea
Attualmente sono 17 i Gal (Gruppi di azione locale) nelle aree rurali e 4 i Flag (Gruppi di azione locale per la pesca) nelle aree costiere. Tutti interessati dalle politiche di programmazione europea e cofinanziati dai fondi Fears (Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale) destinati dall’Europa alle politiche agricole e allo sviluppo delle aree rurali. Occupano un territorio pari all’80% dell’intera Sardegna e coinvolgono oltre 600 mila persone.
Se dalla fine degli anni Novanta ad oggi i Gal continuano ad avere tanto successo, lo si deve al fatto che le loro politiche di sviluppo sostenibile, e soprattutto di coinvolgimento delle comunità, hanno trovato la piena armonia con un territorio e una tradizione che già portavano avanti un determinato stile di vita, talvolta sminuito dai media ma oggi rivelatosi tra i più sostenibili.
La concertazione tra produttori privati, imprenditori, cittadini, associazioni di categoria e istituzioni ha fatto sì che questi piccoli microcosmi diventassero anche competitivi e si affacciassero, oltre che sul mercato agroalimentare, anche sulla filiera di un turismo più sostenibile, con il coinvolgimento delle comunità delle aree interne, senza raccontargli la favola che si devono costruire cattedrali nel deserto per accogliere migliaia di turisti.
Attraverso le sagre, le varie manifestazioni, i cammini religiosi o laici, si è sviluppata ed è tuttora in continua evoluzione una rete che coinvolge il ricettivo, fatto non solo dei piccoli alberghi delle comunità rurali, ma soprattutto di agriturismi, B&B o altre forme di alloggio.
In questo contesto, che ben si sposa con il 2° pilastro dell’Ue, la politica a favore dell’agricoltura e sviluppo aree rurali per l’appunto non è mancato e non manca l’approccio alle Fer (Fonti energie rinnovabili)
Abbiamo diverse comunità energetiche. Una è da esempio nel Comune di Benetutti che dal 2021 ha inaugurato la prima smart city, totalmente indipendente, una delle prime città smart in Italia. Già dal 2009 ha iniziato a produrre l’energia elettrica per il fabbisogno dell’intera comunità, attraverso l’installazione di pannelli fotovoltaici.
La recente costituzione delle comunità energetiche dei Comuni di Ussaramanna e Villanovaforru ha dato il via ad una serie di iniziative simili, portate avanti da diverse Unioni di Comuni.
Vent’anni fa l’arrivo dei primi impianti eolici: piccoli e compensati
L’approccio più significativo con gli impianti eolici lo abbiamo avuto a partire dagli anni Duemila, periodo in cui la Sardegna è stata letteralmente invasa dalla prima tranche di impianti in diversi casi già veicolati dalla politica. Erano impianti comunque di minori dimensioni rispetto a quelli che si vorrebbero installare oggi.
Rappresentavano la novità, il futuro e si cercava ancora un compromesso con il territorio.
Venivano proposte compensazioni che, all’epoca, parevano interessanti per i piccoli comuni che dovevano fare i conti con le ingenti spese pubbliche e con i servizi che spesso non riuscivano a elargire. A questo poi si aggiungevano vaste aree boschive incendiate, che poi a breve venivano interessate da importanti progetti di impianti.
Ora l’eredità è un paesaggio deturpato
Venti anni dopo purtroppo si è visto il risultato per lo più negativo di questi impianti. Finito il loro ciclo di vita, nessuno si è occupato della rimozione degli aerogeneratori e tanto meno del loro smaltimento.
Le nostre campagne pullulano ormai di enormi pale arrugginite, che aspettano la sepoltura. In pochi decenni è stato alienato gran parte del patrimonio boschivo sardo e il paesaggio ha subito un irreversibile trasformazione.
Al 2013 risultavano già installati impianti eolici per una potenza pari a 950 MW, suddivisa in 29 impianti di proprietà delle più grandi multinazionali delle Fer.
Durante la pandemia iniziano le richieste di nuovi impianti: enormi e senza compromessi
Ma tornando ai nostri giorni… A fine 2019 inizi 2020, in piena pandemia, sono arrivate le richieste più bizzarre: individuazione siti per deposito scorie radioattive, indagazione miniere, domande di centinaia di ettari per installazione a terra di pannelli fotovoltaici e, non ultimo, i parchi eolici. Queste sono arrivate in una situazione ben diversa rispetto a 20 anni prima, ma comunque in un contesto che veniva altresì stravolto dal lockdown della pandemia che tutti aimè abbiamo vissuto.
Si pensava ancora agli aerogeneratori di media tg, alti max 80 – 100 m. e con cabina corrente annessa, ma ci si è presto accorti che non era così. Zero compromessi con il territorio, zero informazione, ma solo imposizioni. Le più grandi società che si dividono il mercato delle Fer hanno deciso la spartizione delle aree agricole e forestali della Sardegna e, non ultimo, anche il mare.
Solo negli ultimi due anni sono pervenute ben oltre 800 richieste di connessione di nuovi impianti di cui: 547 per impianti fotovoltaici per ca. 24 GW, 248 per impianti eolici pari a 16,7 GW e 29 richieste per impianti eolici offshore per quasi 14 GW (dati Terna), con richieste di allaccio alla rete nazionale per una potenza pari a 56 GW, sufficiente alle necessità di un’intera nazionale industrializzata, a detta degli esperti.
Oggi la Sardegna è la quinta regione per potenza eolica installata. Annovera oltre 600 impianti per una potenza totale pari a 1.186 MW (dati: www.qualenergia.it)
Oltre 2.500 pale eoliche di tipo industriale di grandi dimensioni con una media di 200 m. di altezza per 163 m. di diam., che andrebbero ad aggiungersi a quelle già esistenti. Per l’ennesimo sacrificio delle aree rurali, con una sottrazione del suolo pari a 70.000 ettari.”
“Da un lato abbiamo la politica green dell’Ue che dovrebbe andare di pari passo con lo sviluppo sostenibile delle comunità locali, ma che le multinazionali cercano di stravolgere e usare per i propri interessi. Dall’altro abbiamo il 2° pilastro dell’Ue, le politiche a favore dello sviluppo delle aree rurali come simbolo di sostenibilità e auspicio per un miglior controllo del territorio, salvaguardia, tutela habitat, produzioni di qualità, stile di vita e turismo sostenibile.
La Sardegna nel bene e nel male, preservata grazie anche a chi ci ha vissuto prima di noi, è un terreno abbastanza fertile per entrambi gli obiettivi.
I comitati contro la speculazione energetica
I comitati sono delle organizzazioni spontanee di cittadini, generalmente eterogenei anche negli orientamenti politici, che si ritrovano però concordi nel voler risolvere un problema o meglio nel voler difendere qualcosa, come il territorio in cui vivono o il ripristino dei servizi essenziali in un territorio, ad esempio: la sanità.
I primi comitati di recente in Sardegna sono nati in seguito alla comunicazione da parte del governo delle aree idonee a deposito scorie nucleari.
Stranamente non ci si trovava di fronte all’indicazione di zone degradate o inquinate. Per la prima volta si mettevano a rischio aree pregiate, che sino ad allora non avevano attirato nessuna mira speculativa. Aree interne, facenti per lo più capo a comunità rurali dove, forse proprio per l’assenza dell’approccio politico invasivo, si stava sviluppando un’economia diversa, più partecipata e più sostenibile.
Si parla della piana di Villamar dove si è ripreso a coltivare i grani antichi, dando il via ad una filiera regionale della produzione derivata dai cereali; si parla dei piccoli borghi intorno al parco regionale della Giara di Gesturi, nota oltre che per i cavallini che vi vivono ancora allo stato brado, per il paesaggio geologico, naturalistico e archeologico; si parla delle aree intorno ai laghi del medio Flumendosa e Mulargia, etc.
Per la prima volta dopo tanto tempo e tanta TV, che è arrivata anche qui, la gente si riuniva intorno a un problema comune, che faceva vacillare una delle poche certezze di quest’Isola: il bene paesaggio che ti circonda. Con il bene paesaggio vacillava il bene salute.
Con i progetti di installazione di tante pale eoliche (perchè scusate non mi va più di chiamarli parchi), ricadenti per lo più in aree vincolate, pregiate o sopra la propria vigna di vigneti DOC, i comitati si sono diffusi a oltranza. Sono nati per l’esigenza di informazione. Sono nati perché non si fidavano più del politico di turno. Sono nati perchè la gente delle comunità rurali non riesce più a stare passivamente ad aspettare “che accada”.
Oggi i comitati in tutta la Sardegna sono venti, con due coordinamenti principali. Ma crescono si può dire di giorno in giorno, ogni qualvolta si palesa in un territorio l’imminente installazione di un nuovo progetto di tipo industriale, sia eolico o definito “agrivoltaico” di grande taglia o ogni volta che si intravede uno scempio ambientale di agro genere. “
Le manifestazioni dei comitati, fino al risultato di Pratobello ‘24
I comitati sardi sinora hanno promosso manifestazioni importanti e soprattutto hanno portato gli stessi amministratori comunali a farsi carico delle loro preoccupazioni e delle loro istanze. Si auspica che a loro si aggiungano anche i politici regionali e, chissà, anche lo stesso Governo nazionale. In effetti quello che la gente chiede è il ripristino della legalità e il rispetto dei vincoli esistenti, tra cui quello idrogeologico spesso sottovalutato e causa poi di tragedie.
Tra le manifestazioni portate avanti, spiccano per coinvolgimento e presenze: “E-vento di Saccargia”, tenutosi nelle campagne di Codrongianus (SS), nel piazzale della basilica dedicata alla SS. Trinità di Saccargia, diventata un po’ il simbolo della speculazione energetica, con impianti già installati e progetti incombenti. La manifestazione si è svolta il 15 giugno 2024 con la partecipazione di importanti artisti e musicisti e ha richiamato 6 mila persone provenienti da tutta l’Isola.
Non è stata da meno anche quella svoltasi il 30 agosto a Cagliari, con meta il Palazzo regionale, per far sentire la voce di un’intera popolazione contro i continui paventati scempi ai danni dell’intero territorio sardo.
I comitati si sono messi in moto, molti sindaci li hanno ascoltati e da qualche amministratore delle comunità più interne ci sono state riflessioni e iniziative.
Ed eccoci arrivati a Pratobello ‘24, una proposta di legge che è partita dal basso, un’iniziativa popolare contro l’eolico e il fotovoltaico che ha raccolto in poco tempo migliaia di firme. Il nome è stato dato in ricordo di tutte quelle donne e bambini che a giugno del 1969, per pura sopravvivenza dell’intera comunità di Orgosolo, riuscirono a fare in modo che il territorio dal quale ricavavano il cibo non diventasse l’ennesima servitù militare.
La proposta in seguito è stata formulata, facendo riferimento proprio a tutti quei vincoli e a quella legalità che ogni volta che si elaborano le osservazioni/opposizioni si devono scrivere e riscrivere, quando invece andrebbero semplicemente fatti rispettare da parte delle istituzioni, a chi quelle leggi e quei divieti li vìola continuamente. Per noi è stato un grande risultato.