Dopo un’attesa di quasi un anno, solo a dicembre 2024 è stato firmato il decreto che sblocca i fondi per il Reddito di libertà per il triennio 2024-2026: dieci milioni di euro per ognuno dei tre anni. “Pur sembrando una buona notizia – dichiara Antonella Veltri, presidente di Donne in rete contro la violenza (D.i.Re) – questi fondi sono attesi da quasi un anno dalle donne che ne hanno fatto richiesta. In molti casi, questo ritardo ha pregiudicato i percorsi di libertà delle donne, che hanno dovuto rivedere i loro progetti di vita. Quello che non sembra chiaro è che le vite delle donne non possono aspettare.”
Il reddito di libertà, introdotto nel 2020, consiste in un contributo economico di 500 euro al mese (all’inizio era 400 euro) per un massimo di dodici mesi per aiutare le donne che escono da una relazione violenta a ricostruirsi una vita indipendente. Il contributo può essere usato per sostenere le spese abitative e la formazione di figli e figlie minori e per riacquisire l’autonomia professionale.
Le domande vanno presentate all’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), accompagnate dalla dichiarazione del centro antiviolenza e dei servizi sociali di riferimento che attestino il percorso di fuoriuscita dalla violenza della donna e il suo bisogno economico. Per fare domanda bisogna essere cittadine italiane o comunitarie oppure in possesso di regolare permesso di soggiorno.
I dieci milioni annui basteranno solo per 1667 donne
Nonostante negli anni i fondi siano aumentati rispetto ai tre milioni iniziali, restano insufficienti rispetto al numero di donne che ne avrebbero bisogno. Ogni anno ne potranno beneficiare circa 1667 donne, quando quelle accolte dai centri antiviolenza di D.i.Re sono 23mila, di cui il 59% senza reddito sicuro e quasi una su tre a reddito zero, secondo l’ultimo report annuale dell’organizzazione. Considerando tutti i centri antiviolenza, le donne che hanno chiesto aiuto nel 2023 sono state più di 61mila, secondo l’Istituto nazionale di statistica (Istat).
Molte donne potrebbero rinunciare a presentare domanda a causa dell’iter burocratico complesso, delle lunghe attese e dell’obbligo di dover contattare i servizi sociali. Inoltre, anche per le donne che riescono a ottenere il reddito di libertà, 500 euro mensili non sono sufficienti per fare fronte a tutte le spese e dodici mesi non sono abbastanza per ricostruirsi una vita indipendente. Infine, a partire dal 2027, i fondi torneranno a scendere a sei milioni annui.
Donne in condizione di vulnerabilità economica
Secondo il XXIII rapporto annuale dell’Inps, dall’avvio della misura al 31 maggio 2024 sono state presentate 6.489 domande, di cui 2.772 sono state accolte tramite le risorse nazionali, per un totale di circa 13,5 milioni di euro, oltre a 629 ulteriori domande liquidate in Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia grazie a risorse aggiuntive previste dalle due Regioni.
Il 42% delle donne richiedenti è nata all’estero e quasi la metà risiede in Italia meridionale. Sei donne su dieci hanno tra i trentacinque e i cinquantaquattro anni, tuttavia l’età varia da diciotto anni a ottantadue anni, mostrando come la violenza di genere può colpire in tutte le fasi della vita. Sette donne su dieci sono madri.
Negli anni dal 2019 al 2023, una percentuale dal 30% al 47% risultava impiegata nel settore privato extra-agricolo, in grande maggioranza con la qualifica di operaia e in molti casi con una posizione part-time e a tempo determinato, con una retribuzione media annua di circa 8mila euro. La presenza in altri settori (domestico, pubblico, agricolo) è marginale (1%-4%). Se già questi dati indicano vulnerabilità economica, ne consegue anche che una percentuale consistente delle donne richiedenti non è presente negli archivi Inps sul lavoro e si trova quindi disoccupata o fuori dalle forze di lavoro.