“La COP29 avrebbe certamente potuto raggiungere un risultato più significativo per ciò che riguarda il tema climate finance, le compensazioni per l’adattamento di regioni fragili responsabili per piccole quote del riscaldamento globale, che sopportano costi molto elevati – afferma Massimiliano Mazzanti, direttore del Dipartimento di economia e management dell’Università di Ferrara, che ha partecipato ai lavori a Baku – . Vi sono comunque delle luci, in attesa delle prossime COP30 e 31, rispettivamente in Brasile e Australia. A Baku, ad esempio, il tema dei crediti di carbonio che nasceva dall’embrione di Parigi 2015 ha visto un importante passo in avanti.”
Come è noto, i 1.300 miliardi di dollari annui, che avrebbero dovuto essere mobilitati entro il 2035 per aiutare i Paesi poveri a mitigare e adattarsi al cambiamento climatico, a Baku sono rimasti sulla carta e ci si è fermati a 300 miliardi annui, da erogare entro undici anni, con l’impegno dei Paesi industrializzati, reperibili da fonti pubbliche e private o tramite le banche per lo sviluppo, partendo dalla base attuale di 100 miliardi.
Abbinare strumenti finanziari pubblici e privati; il ruolo dei green bond e dei leader
“La raccolta dei fondi – afferma Mazzanti – potrebbe essere maggiore e più credibile, anche con l’attivazione di campagne di crowdfunding globale, ma servirebbe un ruolo più significativo delle grandi fondazioni private, istituzioni finanziarie e banche di investimento dei principali Paesi attraverso la fiscalità.
Occorre legittimare e rendere credibile la raccolta e il trasferimento fondi attraverso l’azione di leader globali, pubblici e privati. Sul lato dei progetti di mitigazione, che hanno ritorni privati ed elementi di bene pubblico, l’emissione di bond di lunga durata di natura istituzionale è una via che può essere incrementata, nell’alveo già strutturato e crescente dei green bonds. Rimane vero che la sfida di abbattimento delle emissioni di gas clima alteranti è intrinsecamente complessa e il successo delle negoziazioni altamente non lineare e da analizzare anche nelle sue dinamiche di medio periodo, oltre la contingenza.
Non dimentichiamo – sottolinea l’economista – che siamo in presenza di un bene pubblico globale, con costi e benefici connessi fortemente intertemporali. Il free riding dei singoli stati e attori è intrinseco sia nelle azioni di mitigazione, sia nell’attivazione di finanziamenti. Ogni attore ha incentivi ad attendere che siano altri a fare la prima mossa: per questo i leader sono molto rilevanti per innescare dinamiche sistemiche proattive.”
Europa leader nelle green technologies. Reinvestire le rendite fossili in innovazione, formazione e salute
“L’Europa deve mantenere il suo ruolo storico di leader – prosegue Mazzanti – per affermare uno spazio geo politico e consolidare la relazione tra buone (well designed) politiche e innovazione, dinamica che storicamente ha supportato essendo capofila nelle green technologies. Sinergia – decarbonizzazione e competitività – richiamata dall’ultimo Draghi report: è su questa sinergia che occorre porre nuova enfasi, in quanto la quota di green technologies (brevetti) globali si sta spostando negli ultimi anni verso il Sud-est asiatico. Vero è che i Paesi coinvolti sono caratterizzati da livelli di sviluppo economico e istituzionale diversi: questo è uno dei temi che rende difficile la cooperazione.
In sintesi, indipendentemente dalla governance del Paese e dal reddito pro capite, la regola di sostenibilità e sviluppo economico è che le rendite legate ai fossili e i surplus commerciali siano reinvestiti in innovazione, formazione e salute: i pilastri dello sviluppo umano. Una società sostenibile è una società che investe in conoscenza per il progresso di lungo periodo.
Va tenuto inoltre sempre presente – sottolinea Mazzanti – che, per mitigare il free riding sul tema globale, la riduzione degli impatti emissivi è strettamente correlata alla diminuzione dell’inquinamento locale (pollution), un elemento di benessere reale soprattutto nei centri urbani e territori ad alta densità abitativa e industriale, si pensi alla via Emilia e Nord Italia.
Il Clima è fenomeno globale ma con impatti locali molto significativi. Questa enfasi dovrebbe aumentare l’accettabilità sociale delle politiche climatiche attraverso il riconoscimento dei benefici ambientali, sulla salute e di creazione di innovazione, nuova conoscenza, nuove competenze e lavori.”
In attesa di COP30 e 31: il carbon pricing resta un fattore cruciale ma manca un percorso negoziale
Rispetto al tema dei crediti di carbonio, la posizione di Mazzanti è di cauto ottimismo: ”Standard comuni in relazione ai carbon markets internazionali sono stati finalizzati – afferma l’economista -. Il carbon pricing, soprattutto attraverso lo sviluppo di sistemi di emission trading, si sta espandendo nei Paesi emergenti e consolidando partendo dall’esperienza europea (EU ETS, Direttiva del 2003). Certamente i mercati dei gas serra e l’emersione di un prezzo non sono sufficienti per la transizione ecologica, ma restano un fattore cruciale e necessario.”
Un passo importante in preparazione delle prossime Conferenze potrebbe essere il piano “Trio di Rio”, presentato a Baku dalla Presidenza, progetto che promuove in modo coordinato un’azione tra le tre principali Convenzioni delle Nazioni unite adottate a Rio de Janeiro: cambiamenti climatici, biodiversità e lotta alla desertificazione. Un impegno per rispondere in maniera integrata alle tre sfide globali, strettamente interconnesse.
In proposito, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo (AICS), avverte però che: “Manca ancora un percorso negoziale dedicato che unisca clima, biodiversità e desertificazione, simile a quelli già avviati in passato sull’agricoltura. Sarà sicuramente un grande tema dei negoziati di Belem e di Bangkok nel 2025, con la speranza che arrivi un messaggio anche da Riyadh dove il prossimo 2 dicembre inizia la Cop-desertificazione. Sebbene lontano nel tempo, bisogna iniziare a pensare ad un nuovo regime post-2030, che prenda atto anche degli sforzi limitati messi in campo sino ad ora. Una sfida colossale, che richiederà uno sforzo ancora più grande dell’architettura dell’Accordo di Parigi.”