A pochi giorni dalla chiusura del crowdfunding per finanziare il progetto CultMeat – la carne coltivata in laboratorio – dell’Università di Torino, l’obiettivo raggiunto è del 293%. Un successo che merita di essere analizzato e approfondito perché coinvolge diversi fronti, scientifici, sociali ed economici, e si colloca dentro un dibattito pubblico molto vivace.
In anteprima ad Agenda17, Marianna Gilli, ricercatrice del Dipartimento di Economia e management dell’Università di Ferrara mostra i risultati di due sondaggi sulla carne coltivata che il suo team ha sottoposto, prima dell’entrata in vigore della legge n.172/2023. Il primo sondaggio riguarda i potenziali utilizzatori della carne coltivata, futuri chef, il secondo i potenziali consumatori.
Secondo i risultati, il 70% dei potenziali consumatori intervistati sarebbe disposto a provarla e il 60% dei cuochi la utilizzerebbe nella propria cucina. “Tra chi invece era contrario al suo utilizzo e consumo – racconta Gilli – abbiamo evidenziato barriere di carattere emotivo, la paura che potesse non essere buono o sano.”
“Questo progetto – afferma Gilli in relazione alla scelta di un’istituzione finanziata con fondi pubblici di lanciare un crowdfunding e al suo successo – è l’esempio di come questo tipo di finanziamenti possano funzionare per le attività di ricerca.”
Forti vantaggi per l’economia, soprattutto in Europa
Uno dei principali punti di forza del progetto CultMeat è stato rendere l’intero processo di crescita e differenziamento delle cellule staminali in laboratorio quanto più economico e scalabile, eliminando delle procedure l’utilizzo di molecole, come fattori di crescita e citochine, che arrivano a costare anche 5 milioni al grammo.
L’aspetto economico, quando si parla di novel food, è molto impattante, anche se dal 2013, anno in cui il primo hamburger coltivato è stato realizzato con un investimento di 325mila dollari, si sono fatti passi da gigante, arrivando nel 2018 a poter produrre una piccola bistecca per un costo unitario di soli cinquanta dollari.
Un recente articolo del Good Food Institute Europe, basato su un’analisi di Systemiq, stima che, con la costruzione di adeguate infrastrutture, la carne coltivata potrebbe contribuire all’economia dell’Unione europea (Ue) con un valore di mercato stimato tra 15 e 80 miliardi di euro entro il 2050. L’Ue potrebbe sfruttare in questo senso la sua esperienza nei settori delle biotecnologie e farmaceutico arrivando a soddisfare fino all’85% della domanda di componenti chiave per le colture cellulari e circa il 20% della domanda globale, affermandosi quindi come leader del settore.
Cuochi e consumatori favorevoli, ma serve più informazione
Anche se in Italia la legge n.172/2023 vieta la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti prodotti a partire da colture cellulari, molti progetti di ricerca, come quello del gruppo dell’Università di Ferrara, si sono concentrati sull’analisi di fenomeni sociali ed economici legati al tema.
A differenza di altri novel food, come la farina di grilli, che vengono più associati a sensazioni come il disgusto, una grossa fetta di consumatori ammette di associare il termine “coltivata” al termine “sintetica”, facendo risuonare nella testa il pensiero di qualcosa di plasticoso e, dunque, poco appetitoso.
Un’altra differenza con altri novel food si riscontra anche nella fascia medio-bassa della popolazione in cui vi è una scarsa conoscenza dell’argomento: molti faticano a distinguere la carne coltivata dalla carne a base vegetale e la maggior parte non ha gli strumenti per comprendere in maniera esaustiva il processo di produzione, quindi ne rifugge.
Dal punto di vista economico la carne coltivata deve essere vista come una vera e propria nuova tecnologia sul mercato che, in quanto tale, incontra spesso impedimenti sociali e legislativi. “Vi è una sorta di miopia collettiva secondo cui l’immissione in commercio di cibi come la carne coltivata possa far diminuire drasticamente i posti di lavoro. Questo sarebbe vero in una prima breve fase iniziale ma poi la situazione si ribalterebbe completamente, prevedendo non solo nuovi posti di lavoro ma posti con salari più alti che quindi a lungo termine aumenterebbero il benessere dei lavoratori” spiega Gilli.
Cosa si immagina nel futuro?
“Non credo che, con le previsioni di oggi, la carne coltivata andrà a prendere tutto il mercato. Penso piuttosto a un futuro prossimo in cui la carne coltivata diventerà il cibo quotidiano da consumare nelle case e quella di allevamento, invece, verrà riservata a cene fuori o a occasioni speciali. Con questo cambiamento di rotta nelle nostre abitudini alimentari l’impatto sugli allevamenti intensivi e sullo sfruttamento degli animali calerebbe drasticamente” conclude.