Il “Patto per il futuro” recentemente adottato dall’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) rappresenta una prospettiva realistica di rilancio di un’organizzazione che sembra incapace di governare i grandi problemi globali (dalla pace, alla salute, all’ambiente) o segna l’ultima utopia?
“Per provare a rispondere a questa domanda – afferma ad Agenda17 Serena Forlati, docente di diritto internazionale all’Università di Ferrara, organizzatrice del convegno “Le Nazioni unite alla vigilia dell’ottantesimo anniversario: contestazione, resilienza, cambiamento” (28 e 29 novembre Dipartimento di Giurisprudenza Unife) – bisogna tenere presente che l’Onu è uno strumento creato dagli Stati: fa sostanzialmente ciò che i suoi membri le chiedono e le permettono di fare.
Non mi riferisco solo agli ambiti come quello del mantenimento della pace, ma anche ad altri settori, in cui la realizzazione dei suoi obiettivi è ostacolata in diversi modi – anche solo per il fatto che alcuni Stati membri non versano i contributi finanziari dovuti.
Tuttavia, l’Onu – afferma Forlati – ha mostrato nei decenni anche la capacità di cambiare e adattarsi, rispondendo alle critiche e attrezzandosi per meglio reagire alle sfide del mondo contemporaneo; il ‘Patto per il futuro’ è un passo in questa direzione. Per valutare se si tratti di un’utopia o di un tentativo con qualche speranza di successo, ci si deve anche chiedere se in assenza dell’Onu sarebbe più difficile affrontare i complessi problemi globali: la risposta è, secondo me, affermativa. Molti Stati ne sono consapevoli e sono disponibili a impegnarsi in questa direzione.”
Consiglio di sicurezza inadatto al Mondo multipolare
L’azione 39 del “Patto per il futuro” in particolare impegna i Paesi membri a migliorare l’efficacia e la rappresentatività del Consiglio di sicurezza, l’organo dell’Onu che dovrebbe occuparsi di assicurare la pace e la sicurezza internazionale, eventualmente autorizzando anche un’azione militare. La sua efficacia di intervento è però complicata da un funzionamento anacronistico, che riflette l’ordine mondiale subito dopo la Seconda guerra mondiale.
Il Consiglio di sicurezza è formato da cinque membri permanenti con diritto di veto e dieci membri non permanenti senza diritto di veto, eletti dall’Assemblea generale per periodi di due anni e non immediatamente rinnovabili. I cinque membri permanenti sono Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina. I dieci seggi non permanenti sono divisi in gruppi regionali: tre per l’Africa, due per l’Asia-Pacifico, due per l’Europa occidentale-altri Stati, due per l’America Latina-Caraibi, uno per l’Europa orientale.
Ma, dopo la decolonizzazione e la fine della Guerra Fredda, il Mondo è molto cambiato e l’Onu oggi conta 193 Stati membri rispetto ai cinquantuno iniziali; questo comporta che i Paesi in via di sviluppo e quelli medio-piccoli sono sottorappresentati nel Consiglio di sicurezza.
Negli ultimi trent’anni sono nate diverse proposte di riforma riguardanti la rappresentanza e il potere di veto, con lo scopo di evitare che il Consiglio decida secondo le convenienze politiche dei suoi membri, soprattutto quelli con diritto di veto, anziché in base a principi universali.
Diverse proposte di riforma, ma il compromesso è difficile
Una proposta di riforma è stata avanzata da quattro Paesi uniti nel G4, Germania, Giappone, India e Brasile, che chiedono un seggio permanente per ciascuno, oltre a due seggi permanenti per l’Africa e quattro seggi non permanenti in più, per un totale di un Consiglio di venticinque membri. Il potere di veto andrebbe inizialmente limitato ai cinque membri attuali, con la possibilità di decidere successivamente una sua estensione ai nuovi membri permanenti.
Una proposta alternativa viene da un gruppo di più di cinquanta Paesi, Uniting for Consensus, tra cui Italia, Spagna, Pakistan, Corea del Sud, Argentina, Messico, Canada. Essi si oppongono alla creazione di nuove posizioni privilegiate permanenti e chiedono invece di aggiungere dieci nuovi seggi non permanenti con durata più estesa, assegnati a diversi gruppi regionali e in base al contributo alle attività dell’Onu.
Questi nuovi seggi avrebbero durata di tre-cinque anni senza rinnovo immediato oppure di due anni con possibilità di rielezione immediata.
In qualità di focal point del gruppo Uniting for Consensus, l’Italia ha proposto una limitazione graduale del diritto di veto, nell’ottica di un’abolizione completa in futuro. Le proposte di limitazione variano dall’escluderlo in alcune decisioni, come l’ammissione di nuovi membri e gli interventi umanitari, al considerarlo solo quando posto da almeno due membri, oltre a spiegare la motivazione del suo uso al Consiglio e all’Assemblea generale (quest’ultima misura è stata adottata nel 2022, pur non essendo coercitiva).
Una terza proposta è quella dell’Unione africana (Ua), che chiede due seggi permanenti e cinque (due in più rispetto alla situazione attuale) non permanenti. L’Ua è contraria al diritto di veto, ma, se lo mantenessero gli attuali cinque membri permanenti, dovrebbe essere esteso anche a quelli nuovi.
Rimane però un profondo disaccordo su quali dovrebbero essere i due Paesi con seggio permanente (i candidati più probabili sono Nigeria, Egitto e Sudafrica).
“Gli interessi contrapposti di diversi gruppi di Paesi rendono difficile arrivare a un compromesso – afferma Forlati – tenendo presente che ogni modifica della Carta Onu, per entrare in vigore, deve ottenere la ratifica da parte di due terzi degli Stati membri, compresi i cinque membri permanenti.
Se è difficile prevedere quando ci saranno le condizioni per arrivare davvero a una modifica della Carta, il ‘Patto per il futuro’ dà indicazioni importanti.
In particolare – continua la giurista-, l’accettazione da parte degli Stati Uniti dell’idea di attribuire seggi permanenti al continente africano (senza diritto di veto), se fosse confermata, sarebbe uno sviluppo significativo. Il coinvolgimento permanente nei lavori del Consiglio porterebbe certamente a una maggiore influenza dei Paesi che dovessero eventualmente essere prescelti. Resta tuttavia vero che, senza il diritto di veto, la loro posizione sarebbe comunque molto meno dirimente rispetto agli attuali membri permanenti.”
L’obiettivo di riformare il diritto di veto non è realistico
Dal 1946 a oggi il veto è stato usato ben 280 volte dai cinque membri permanenti, in molti casi per ostacolare risoluzioni contro conflitti armati, come per l’Ucraina e per la Palestina.
Oltre alle ipotesi di limitazione già menzionate, la Francia ha proposto un impegno volontario a non usare il potere di veto quando sono in gioco atrocità di massa, mentre un’altra proposta da parte di funzionari dell’Onu ritiene che una doppia maggioranza di due terzi dei Paesi membri e due terzi della popolazione mondiale possa sovrascrivere un veto.
Nonostante il “Patto per il futuro” abbia affermato di volere raggiungere un accordo sul veto, secondo Forlati “sarà sostanzialmente impossibile riformare le regole relative; non è realistico pensare che i membri permanenti rinuncino a tale diritto – mentre la loro approvazione è richiesta perché ogni modifica della Carta Onu possa entrare in vigore. Neppure la proposta della Francia ha incontrato il favore degli altri membri permanenti. Gli sviluppi di questi ultimi mesi lo dimostrano purtroppo in modo lampante.”
L’Assemblea generale può supplire in parte all’inerzia del Consiglio, ma le sue misure non sono coercitive
A questo punto, potrebbe l’Assemblea generale intervenire per superare il problema del veto? Come spiega Forlati, “già dal 1950 la risoluzione Uniting for Peace prevede che, laddove il Consiglio non possa deliberare a causa della mancata unanimità tra i membri permanenti, l’Assemblea generale si possa riunire anche in sessione straordinaria per fare ‘raccomandazioni appropriate ai membri’. Ad esempio, l’Assemblea si è riunita su questa base per condannare l’aggressione della Russia contro l’Ucraina il 22 febbraio 2022.
Sempre dal 2022, poi, – continua la docente – l’Assemblea si è attribuita un ‘mandato permanente’ di discutere una situazione ogni qualvolta venga esercitato rispetto a essa il diritto di veto. Tuttavia, le misure che l’Assemblea adotta non sono tipicamente di natura coercitiva: in particolare, da molto non fa più ricorso alla procedura Uniting for Peace per disporre l’invio di missioni militari.”
Proprio il “Patto per il futuro” ha sottolineato l’importanza di applicare completamente la risoluzione Uniting for Peace e quella relativa alla discussione sul veto, oltre a rendere più accessibile il lavoro del Consiglio a tutti i membri dell’Assemblea generale, come richiesto anche dai gruppi di riforma citati, che propongono incontri pubblici e consultazioni regolari con i Paesi non membri del Consiglio interessati dai temi trattati.